Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30612 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30612 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29574-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 702/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/11/2022 R.G.N. 228/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 26.9.2019 per assenza ingiustificata dal 19 al 24.8.2019.
La Corte territoriale, ha, rilevato che il quadro probatorio acquisito non consentiva di verificare la ricorrenza di tutti i fatti oggetto di contestazione disciplinare: risultava, invero, pacifico che il lavoratore avesse chiesto due settimane di ferie, dapprima respinte, per iscritto, dall’azienda, e poi accordate verbalmente, ma era rimasta controversa la durata del periodo autorizzato, a fronte della fruizione -da parte del COGNOME -di entrambe le settimane; considerato, pertanto, il fraintendimento tra datore di lavoro e lavoratore, il concreto disvalore del fatto non appariva tale da integrare una giusta causa di recesso, con conseguente sproporzione della sanzione adottata e applicazione della tutela indennitaria prevista dall’art. 18, comma 5.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e 32 CCNL Trasporti e logistica avendo, la Corte territoriale, trascurato che le parti collettive hanno già predisposto una gradazione delle sanzioni in un codice disciplinare che prevede per l’assenza ingiustificata del lavoratore per almeno quattro giorni consecutivi la sanzione espulsiva, previsione che il giudice doveva recepire.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2071 c.c., avendo, la Corte territoriale, effettuato una valutazione sommaria delle risultanze istruttorie.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2109 c.c. avendo, la Corte territoriale, trascurato che -pur ritenendo che le ferie autorizzate corrispondevano a due settimane -l’impresa può sempre revocare, per esigenze organizzative e produttive, le ferie già concesse.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
4.1. Questa Corte, ancora di recente (Cass. n. 8642 del 2024), ha ribadito che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito ( ex pluribus : Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003); la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità -che implica inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia – è ora sindacabile in sede di
legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, c.p.c., deve denunciare – beninteso, entro i limiti della c.d. “doppia conforme” – l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016).
4.2. Con particolare riguardo alle previsioni della contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari, questa Corte – essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale – ha più volte espresso il generale principio che tali previsioni non vincolano il giudice di merito ( ex plurimis , Cass. n. 12365 del 2019; Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011), anche se ‘la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.’ (Cass. n. 9396 del 2018; Cass. n. 28492 del 2018) e considerato, altresì,
che l’art. 30, comma 3, l. n. 183 del 2010, ha previsto che ‘nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro’ (cfr. Cass. n. 32500 del 2018; circa la natura non meramente ricognitiva delle disposizioni contenute nell’art. 30 della l. n. 183 del 2010 v. anche Cass. n. 25201 del 2016).
4.3. Ebbene, nel caso di specie la valutazione della gravità della infrazione è stata operata dal giudice di merito con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. nn. 1351 e 1977 del 2016, Cass. n. 12059 del 2015), e tale attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. ‘è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale’ (cfr. Cass. n. 13534 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005), censura non avanzata in questa sede.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.
5.1. Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del
compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
5.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
5.3. La violazione dell’art. 116 c.p.c. è configurabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass. Sez.U. n. 11892 del 2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020, nonché,
ex plurimis, Cass. n. 13960 del 2014), e, comunque, è preclusa nel caso di specie dalla presenza di una pronuncia c.d. doppia conforme.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 ottobre