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Licenza scommesse: quando è obbligatoria per VLT?

Una società che gestiva un centro scommesse è stata multata per aver installato apparecchi da intrattenimento (VLT) senza la specifica licenza scommesse richiesta dall’art. 88 TULPS. La Corte di Cassazione ha confermato la sanzione, chiarendo che l’onere di dimostrare un’eventuale esclusione discriminatoria dalle gare pubbliche, che potrebbe giustificare la mancanza della licenza, spetta all’operatore. La Corte ha inoltre stabilito che il principio della retroattività della sanzione più favorevole non si applica a questa tipologia di illecito amministrativo.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenza Scommesse e VLT: La Cassazione chiarisce gli obblighi

L’installazione di apparecchi da intrattenimento come le VLT all’interno di un centro scommesse richiede una specifica licenza scommesse? E a chi spetta dimostrare di essere stato discriminato nell’accesso alle gare pubbliche per l’ottenimento di tale licenza? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su questi temi, delineando i confini degli obblighi per gli operatori del settore e i principi che governano le sanzioni amministrative. La decisione analizza il complesso rapporto tra la normativa nazionale in materia di giochi e i principi del diritto dell’Unione Europea sulla libertà di stabilimento e prestazione dei servizi.

Il Caso: VLT in un centro scommesse senza autorizzazione

Una società, operante come centro di trasmissione dati per un bookmaker straniero, si è vista notificare un’ordinanza ingiunzione dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per il pagamento di 40.000 euro. La sanzione era dovuta all’installazione di quattro apparecchi da intrattenimento (previsti dall’art. 110, comma 6, lett. a del TULPS) in assenza della prescritta licenza di Polizia, specificata dall’art. 88 del TULPS.

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente accolto l’opposizione della società, annullando la sanzione. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione, ripristinando la validità dell’ordinanza ingiunzione. La vicenda è quindi approdata in Corte di Cassazione, dove la società ha sollevato tre principali motivi di ricorso.

La questione della licenza scommesse e la discriminazione UE

Il motivo principale del ricorso si basava sulla presunta violazione del diritto dell’Unione Europea. La società sosteneva di essere stata vittima di una discriminazione che le aveva impedito di ottenere la concessione nazionale e, di conseguenza, la licenza scommesse necessaria. Secondo questa tesi, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (in casi noti come Placanica, Costa-Cifone, etc.) imporrebbe di disapplicare la normativa nazionale che richiede la licenza qualora l’operatore sia stato ingiustamente escluso dalle procedure di gara.

L’onere della prova a carico dell’operatore

La Corte di Cassazione ha rigettato questa argomentazione, stabilendo un principio fondamentale sull’onere della prova. Se è vero che la normativa nazionale può essere disapplicata in caso di contrasto con i principi europei, spetta a chi invoca tale disapplicazione (in questo caso, l’operatore del centro scommesse) dimostrare di aver subito una concreta discriminazione. Non è sufficiente un generico richiamo alla giurisprudenza europea. L’operatore deve fornire la prova che l’impossibilità di ottenere le autorizzazioni necessarie derivi da un’illegittima esclusione dalle gare o da un altro comportamento discriminatorio dello Stato. Nel caso di specie, tale prova non è stata fornita.

Principio del ‘Favor Rei’ non applicabile alle sanzioni amministrative

Un secondo motivo di ricorso riguardava l’ammontare della sanzione. La società lamentava l’applicazione di una norma precedente, più severa, anziché una legge successiva che aveva ridotto l’importo della multa. Si invocava, in sostanza, il principio di retroattività della legge più favorevole (favor rei), tipico del diritto penale.

Anche questo motivo è stato respinto. La Corte ha ribadito che, secondo la giurisprudenza consolidata, tale principio non si applica automaticamente alle sanzioni amministrative. L’estensione di questa garanzia è limitata solo a quelle sanzioni che, per la loro gravità e finalità, hanno una natura sostanzialmente “punitiva” secondo i criteri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (i cosiddetti “criteri Engel”). La sanzione in questione, pur essendo significativa, non è stata ritenuta così afflittiva da rientrare in questa eccezione.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su un’attenta ricostruzione della giurisprudenza nazionale ed europea. Per quanto riguarda il primo punto, ha sottolineato che il sistema del “doppio binario” (concessione statale più licenza di polizia) è di per sé compatibile con il diritto UE, a patto che non sia applicato in modo discriminatorio. Tuttavia, l’onere di provare tale discriminazione incombe sull’operatore economico che la lamenta, in applicazione del principio generale sancito dall’art. 2697 del codice civile. Non avendo la società ricorrente fornito prove specifiche della sua illegittima esclusione dalle gare, la richiesta di disapplicare l’art. 88 TULPS è stata ritenuta infondata.

Sul secondo punto, relativo alla sanzione, la Corte ha spiegato che la regola generale per gli illeciti amministrativi è quella del tempus regit actum, ovvero si applica la legge in vigore al momento della commissione del fatto. L’eccezione basata sui criteri Engel è rigorosa e non si applica a sanzioni pecuniarie come quella in esame, che non presentano un carattere di eccezionale afflittività paragonabile, ad esempio, alle sanzioni per abusi di mercato.

L’unico motivo accolto ha riguardato la condanna alle spese legali in favore dell’Amministrazione, poiché questa si era difesa in giudizio con un proprio funzionario e non con un avvocato del libero foro. In questi casi, non possono essere liquidati onorari e diritti di procuratore.

Le conclusioni: cosa cambia per gli operatori del settore

Questa ordinanza consolida importanti principi per gli operatori del settore dei giochi e delle scommesse. In primo luogo, conferma la piena validità dell’obbligo di munirsi della licenza scommesse ex art. 88 TULPS per installare apparecchi da intrattenimento. In secondo luogo, chiarisce in modo definitivo che l’operatore che intende sottrarsi a tale obbligo, invocando una discriminazione ai sensi del diritto europeo, deve fornire una prova rigorosa e specifica di tale discriminazione. Infine, ribadisce la non applicabilità generalizzata del principio del favor rei alle sanzioni amministrative in questo campo, a meno che non si tratti di sanzioni di natura eccezionalmente punitiva.

È possibile installare apparecchi da intrattenimento (VLT) in un centro scommesse senza la licenza di polizia ex art. 88 TULPS?
No, la sentenza conferma che i soggetti che esercitano scommesse possono installare tali apparecchi solo se in possesso della licenza di polizia ex art. 88 TULPS. La licenza ex art. 86 TULPS non è sufficiente per i locali già soggetti all’autorizzazione per le scommesse.

A chi spetta l’onere di provare la discriminazione da parte dello Stato che ha impedito di ottenere la licenza scommesse?
L’onere della prova del comportamento discriminatorio spetta all’operatore che intende farlo valere. Egli deve dimostrare che la mancata ottenimento delle concessioni o autorizzazioni è stata causata da un’illegittima esclusione dalle gare o da un altro comportamento discriminatorio dello Stato.

Si applica il principio della legge più favorevole (favor rei) a una sanzione amministrativa per la violazione delle norme sui giochi?
No, la Corte ha stabilito che, per questa tipologia di sanzione amministrativa, non trova applicazione il principio di retroattività della legge successiva più favorevole. Tale principio è riservato alle sanzioni di natura prettamente “punitiva” secondo i criteri della giurisprudenza europea, caratteristica non riscontrata nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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