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Licenza scommesse: Cassazione e autorizzazioni TULPS

La Corte di Cassazione ha confermato una sanzione amministrativa a un’operatrice per l’installazione di apparecchi da gioco senza la specifica licenza scommesse prevista dall’art. 88 TULPS. La Corte ha rigettato il ricorso, chiarendo che l’operatore che invoca il diritto dell’Unione Europea per giustificare la mancanza del titolo deve fornire la prova rigorosa di essere stato discriminato nell’accesso alle concessioni. È stata inoltre esclusa la buona fede, poiché l’operatrice era consapevole della necessità dell’autorizzazione.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenza scommesse: quando è obbligatoria e limiti della tutela UE

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30148/2024, è tornata a pronunciarsi sul complesso tema della licenza scommesse e sulla sua interazione con il diritto dell’Unione Europea. La decisione offre importanti chiarimenti sull’obbligo di munirsi dell’autorizzazione di polizia ex art. 88 TULPS e sui limiti entro cui un operatore può invocare la normativa comunitaria per giustificare l’assenza di tale titolo. Il caso analizzato riguarda una sanzione per l’installazione di apparecchi da gioco in un centro affiliato a un bookmaker estero.

I fatti di causa

Una operatrice del settore del gioco pubblico riceveva un’ordinanza ingiunzione dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per il pagamento di una sanzione di 6.000 euro. La contestazione riguardava l’installazione di due apparecchi da intrattenimento senza essere in possesso della necessaria autorizzazione di polizia prevista dall’art. 88 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS).

L’operatrice proponeva opposizione, ma sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello confermavano la legittimità della sanzione. Giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, la ricorrente ha basato la sua difesa su tre motivi principali, incentrati sulla presunta non necessità della licenza specifica, sulla violazione del diritto UE e sulla propria buona fede.

I motivi del ricorso e il nodo della licenza scommesse

La difesa della ricorrente si articolava su tre punti cardine:

1. Violazione delle norme nazionali (TULPS): Si sosteneva che il possesso di una licenza generica (ex art. 86 TULPS) fosse sufficiente per installare gli apparecchi in questione, e che la licenza scommesse specifica (ex art. 88 TULPS) non fosse necessaria.
2. Contrasto con il diritto dell’Unione Europea: Questo era l’argomento centrale. L’operatrice, affiliata a un noto bookmaker straniero, sosteneva che quest’ultimo fosse stato vittima di discriminazione, essendo stato escluso dalle gare per l’assegnazione delle concessioni in Italia. Di conseguenza, l’assenza della concessione e della conseguente autorizzazione di polizia non poteva esserle imputata, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in particolare, nella celebre sentenza Placanica). Secondo questa tesi, la normativa nazionale restrittiva avrebbe dovuto essere disapplicata.
3. Assenza di colpevolezza (Buona Fede): Infine, la ricorrente deduceva di aver agito in buona fede, indotta in errore dalla complessità e dall’oggettiva incertezza del quadro normativo, caratterizzato da interpretazioni contrastanti sia a livello nazionale che europeo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una disamina dettagliata per ciascun motivo di doglianza e consolidando principi giuridici di fondamentale importanza pratica.

L’obbligo della doppia autorizzazione

La Corte ha innanzitutto ribadito la sua giurisprudenza consolidata: per l’esercizio delle scommesse e l’installazione di apparecchi da gioco in locali a ciò dedicati, è indispensabile la licenza di polizia ex art. 88 TULPS. Questa autorizzazione è specifica e si aggiunge ad altri titoli abilitativi, non potendo essere sostituita dalla licenza prevista dall’art. 86 TULPS. La ratio è quella di garantire un controllo di polizia più stringente su attività considerate socialmente rischiose.

Onere della prova e disapplicazione del diritto nazionale

Sul punto più controverso, relativo al diritto UE, la Cassazione ha precisato i confini della cosiddetta “tutela Placanica”. Sebbene sia vero che la normativa nazionale che impone una licenza scommesse debba essere disapplicata se l’operatore è stato illegittimamente escluso dal mercato, spetta all’operatore stesso dimostrare tale discriminazione. L’onere della prova grava su chi intende far valere il comportamento discriminatorio dello Stato.

Nel caso di specie, la ricorrente non ha fornito alcuna prova che il bookmaker estero per cui operava avesse subito un’esclusione illegittima dalle gare di concessione. Anzi, non è emerso nemmeno che avesse partecipato alla gara rilevante. In assenza di tale dimostrazione, il principio della disapplicazione non può operare e la normativa nazionale resta pienamente efficace.

L’esclusione della buona fede

Infine, la Corte ha escluso che l’operatrice potesse invocare la buona fede. In materia di sanzioni amministrative, la colpa si presume. Per vincere questa presunzione, non è sufficiente allegare la generica complessità della normativa. È necessario dimostrare l’esistenza di elementi positivi che abbiano ingenerato un convincimento incolpevole sulla liceità della propria condotta. Al contrario, nel caso in esame, l’operatrice era pienamente consapevole della necessità della licenza ex art. 88 TULPS, tanto da averne fatto espressa richiesta. Tale circostanza, secondo la Corte, smentisce qualsiasi ipotesi di errore scusabile.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza tre principi chiave per gli operatori del settore dei giochi e delle scommesse:
1. Necessità della licenza specifica: L’autorizzazione ex art. 88 TULPS è un requisito imprescindibile per chi svolge attività di scommesse e installa apparecchi da gioco, e non è surrogabile da altre licenze.
2. Onere della prova rigoroso: L’operatore che lamenta una violazione del diritto UE deve provare concretamente di aver subito una discriminazione nell’accesso al mercato delle concessioni. Non è sufficiente un generico richiamo alla giurisprudenza europea.
3. Limiti della buona fede: La difesa basata sulla buona fede ha scarse possibilità di successo quando l’operatore è un professionista del settore e dimostra, con i suoi stessi atti (come la richiesta di autorizzazione), di essere a conoscenza degli obblighi di legge.

Per installare apparecchi da gioco in un centro scommesse è sufficiente la licenza commerciale generica (ex art. 86 TULPS)?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che per tale attività è indispensabile possedere la specifica autorizzazione di polizia per l’esercizio delle scommesse, prevista dall’art. 88 del TULPS.

Un operatore affiliato a un bookmaker estero può evitare una sanzione per mancanza della licenza scommesse invocando il diritto dell’Unione Europea?
Sì, ma solo a condizione che dimostri in modo rigoroso che il bookmaker per cui opera sia stato illegittimamente e discriminatoriamente escluso dalle procedure di gara per l’assegnazione delle concessioni in Italia. L’onere di fornire questa prova spetta all’operatore.

La complessità della normativa sui giochi può giustificare la mancanza di una licenza e far riconoscere la buona fede dell’operatore?
No, secondo la Corte, un operatore del settore non può invocare la buona fede se era consapevole della necessità dell’autorizzazione, come nel caso in cui ne avesse già fatto richiesta. La complessità della legge, da sola, non basta a escludere la colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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