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Libertà di stabilimento: legge UE vince su quella italiana

Una società con sede legale in Lussemburgo ma con il suo patrimonio principale in Italia ha contestato l’applicazione del diritto societario italiano ai suoi atti di gestione interna. La Corte di Cassazione, seguendo una pronuncia della Corte di Giustizia Europea, ha stabilito che il principio di libertà di stabilimento impone l’applicazione della legge del paese di costituzione della società (Lussemburgo). Di conseguenza, ha annullato la decisione della Corte d’Appello che aveva applicato la legge italiana, rinviando il caso per una nuova valutazione basata sul diritto lussemburghese.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

Libertà di Stabilimento: La Legge della Sede Legale Prevale su Quella del Luogo d’Attività

Il principio di libertà di stabilimento all’interno dell’Unione Europea rappresenta una delle colonne portanti del mercato unico, ma la sua applicazione pratica può generare complessi conflitti tra le leggi nazionali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, guidata da una precedente pronuncia della Corte di Giustizia Europea, ha fornito un chiarimento cruciale: la legge che governa la gestione interna di una società è quella del Paese in cui ha la sede legale, non quella del Paese in cui si trova il suo principale centro di attività. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Società Transfrontaliera

La vicenda ha origine da una società, inizialmente italiana, che possedeva un importante complesso immobiliare a Roma. Nel 2004, la società ha trasferito la propria sede legale in Lussemburgo, adottando la forma giuridica di una société à responsabilité limitée (S.à r.l.) secondo il diritto locale. Anni dopo, l’amministratrice unica (gérante) della società lussemburghese ha conferito a un soggetto terzo, esterno alla compagine sociale, un mandato generale con poteri molto ampi per la gestione degli affari societari. Avvalendosi di tali poteri, questo procuratore ha successivamente trasferito la proprietà del complesso immobiliare a due società italiane.

La società lussemburghese ha quindi agito in giudizio in Italia per far dichiarare la nullità di questi trasferimenti, sostenendo l’invalidità del conferimento di poteri al procuratore.

La Decisione della Corte d’Appello e il Conflitto di Leggi

In secondo grado, la Corte d’Appello di Roma aveva dato ragione alla società lussemburghese. I giudici d’appello avevano ritenuto applicabile la legge italiana, basandosi sull’articolo 25 della legge di diritto internazionale privato (L. 218/1995). Tale norma prevede che, sebbene le società siano regolate dalla legge dello Stato di costituzione, si applichi la legge italiana se in Italia si trova la sede dell’amministrazione o “l’oggetto principale” dell’ente.

Poiché il complesso immobiliare costituiva l’intero patrimonio e l’oggetto principale della società, la Corte d’Appello ha applicato l’articolo 2381 del codice civile italiano. Questa norma vieta la delega di ampi poteri gestionali a soggetti terzi esterni al consiglio di amministrazione. Di conseguenza, ha dichiarato nullo il conferimento dei poteri e, a cascata, inefficaci i successivi atti di trasferimento dell’immobile.

L’Intervento della Corte di Giustizia Europea e la Libertà di Stabilimento

Le società acquirenti hanno impugnato la decisione in Cassazione, sostenendo che l’applicazione della legge italiana violasse il principio europeo di libertà di stabilimento (articoli 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell’UE). La Suprema Corte, ravvisando un dubbio interpretativo sul diritto comunitario, ha sospeso il giudizio e ha posto una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

La CGUE ha risposto in modo netto: gli articoli 49 e 54 TFUE ostano a una normativa nazionale che applica in via generale il proprio diritto societario agli atti di gestione di una società legalmente costituita in un altro Stato membro, per il solo fatto che essa svolga la sua attività principale nel primo Stato. Tale approccio costituisce una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento, in quanto crea incertezza e costi aggiuntivi, obbligando la società a conformarsi a due ordinamenti giuridici diversi.

Le Motivazioni della Cassazione

Alla luce della pronuncia della CGUE, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso delle società acquirenti. I giudici supremi hanno stabilito che l’interpretazione data dalla Corte d’Appello all’articolo 25 della legge 218/1995 era incompatibile con il diritto dell’Unione Europea. Il principio di libertà di stabilimento implica che una società, una volta validamente costituita secondo le leggi di uno Stato membro (in questo caso, il Lussemburgo), ha il diritto di operare in tutta l’UE seguendo le regole di governo societario del proprio ordinamento d’origine.

Applicare la legge italiana alla gestione interna della società lussemburghese rappresenterebbe un ostacolo a tale libertà. La Cassazione ha quindi affermato che il giudice italiano deve disapplicare la norma nazionale in contrasto con il diritto UE e procedere a verificare la validità del conferimento di poteri sulla base della legge lussemburghese vigente all’epoca dei fatti (2010).

Per questo motivo, la sentenza d’appello è stata cassata e la causa è stata rinviata alla Corte d’Appello di Roma, che dovrà riesaminare la questione applicando esclusivamente il diritto societario lussemburghese.

Conclusioni

Questa sentenza ha implicazioni pratiche di vasta portata per tutte le società europee che operano in Italia. Viene rafforzata la certezza del diritto: una società estera sa che la sua struttura di governance e i suoi atti di gestione interna saranno giudicati secondo la legge del suo paese di origine, anche se tutto il suo business si concentra in Italia. L’applicazione della legge italiana in deroga a questo principio (la cosiddetta lex societatis) è possibile solo in circostanze eccezionali, per la tutela di interessi generali imperativi come la lotta a costruzioni societarie puramente artificiose e fraudolente, ma non può mai derivare da una presunzione generale basata sul luogo dell’attività economica.

A una società costituita in un paese UE ma che opera principalmente in Italia, si applica la legge italiana per gli atti di gestione interna?
No. In virtù della libertà di stabilimento (artt. 49 e 54 TFUE), si applica la legge dello Stato membro in cui la società è stata costituita (la cosiddetta “legge di incorporazione”), non quella dello Stato in cui svolge la sua attività principale.

L’applicazione della legge italiana può essere giustificata per tutelare interessi come quelli dei creditori o per prevenire abusi?
Solo in casi eccezionali e provati. La Corte di Giustizia UE ha stabilito che una restrizione alla libertà di stabilimento è ammissibile solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale (es. lotta alla frode), ma non può basarsi su una presunzione generale derivante dal solo fatto che l’attività principale si svolge in un altro Stato.

Qual è il compito del giudice italiano quando deve decidere sulla validità di un atto di una società estera?
Il giudice italiano deve disapplicare la norma nazionale (in questo caso l’art. 25 della L. 218/1995) se la sua applicazione contrasta con il diritto dell’Unione Europea. Deve quindi accertare d’ufficio e applicare la legge straniera pertinente, in questo caso quella lussemburghese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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