Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11964 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 11964 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19994/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliate in ROMA, C.SO NOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che le rappresenta e difende;
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e COGNOME;
-controricorrente-
nonché contro
NOMECOGNOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 8288/2018, depositata il 28/12/2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, la sostituta procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto alla Corte di accogliere il primo motivo del ricorso, con assorbimento del secondo.
Sentito il difensore delle ricorrenti, NOME COGNOME che ha chiesto di accogliere il ricorso, cassare la sentenza impugnata e decidere nel merito, rigettando la domanda di STE.
Sentiti i difensori della controricorrente, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto di confermare il dispositivo della sentenza impugnata, con correzione della sua motivazione ovvero, in via subordinata, di cassare con rinvio stabilendo i principi di diritto lussemburghese applicabili al caso in esame.
FATTI DI CAUSA
Nel 2004 la società a responsabilità limitata RAGIONE_SOCIALE, con patrimonio e attività costituiti dal complesso immobiliare denominato Castello di Tor Crescenza sito in Roma, ha cambiato la propria denominazione sociale in RAGIONE_SOCIALE e ha trasferito la propria sede nel Granducato del Lussemburgo, ove ha modificato la denominazione in RAGIONE_SOCIALE Nel 2010 vi è stata una assemblea straordinaria della società, tenutasi in Lussemburgo, nella quale è stata nominata amministratrice unica ( gérante ) NOME COGNOME In quella occasione NOME COGNOME ha nominato NOME COGNOME soggetto estraneo alla società, mandatario generale e procuratore, attribuendogli il potere di compiere ‘nel Granducato
del Lussemburgo e all’estero, in nome e per conto della società, tutti gli atti e le operazioni necessarie, senza eccezioni ed esclusioni, sempre comunque nei limiti dell’oggetto sociale della società’.
Nel 2012 NOME COGNOME ha conferito il Castello di Tor Crescenza alla società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che dapprima con contratto preliminare si è obbligata a venderlo a Mordechai Israelachvili e poi lo ha conferito alla società RAGIONE_SOCIALE
2. Nel 2013 RAGIONE_SOCIALE ha chiamato in causa -davanti al Tribunale di Roma -le società RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che fosse dichiarata la nullità dei due atti di conferimento in conseguenza della inefficacia della attribuzione dei poteri a NOME COGNOME da parte della amministratrice della società attrice. Il Tribunale di Roma, che non ha preso posizione in relazione alla legge applicabile, ha rigettato la domanda, ritenendo ‘non invalidamente conferita la procura al NOME‘.
3. Con la sentenza n. 8288/2018, la Corte d’appello di Roma, decidendo in secondo grado, ha accolto la domanda. La Corte d’appello ha anzitutto affermato l’applicazione della legge italiana, in quanto secondo l’art. 25 della legge di diritto internazionale privato n. 218/1995 si applica la legge italiana se in Italia ‘si trova l’oggetto principale’ della società, oggetto principale che nel caso della società RAGIONE_SOCIALE è indiscusso che si trovi in Italia, costituendo il complesso del Castello di Tor Crescenza ‘l’unico e intero patrimonio’ della società. La Corte d’appello ha quindi stabilito che il conferimento a un soggetto terzo rispetto alla società, quale NOME COGNOME, di poteri illimitati di gestione (sotto il profilo territoriale e di contenuto) si pone in contrasto con l’art. 2381, comma 2 del codice civile (che prevede la delega da parte del consiglio di amministrazione della società delle proprie attribuzioni unicamente a componenti del medesimo consiglio). La Corte d’appello ha così dichiarato la nullità dell’attribuzione dei
poteri da parte della amministratrice della società a NOME COGNOME e, di conseguenza, l’inefficacia dei due conferimenti del Castello di Tor Crescenza alle due società convenute.
4. Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso a questa Corte, anzitutto contestando l’applicabilità della seconda parte del primo comma dell’art. 25 della legge 218 del 1995, in quanto il giudice d’appello non ha considerato che il significato e la portata della norma sono stati profondamente incisi dal diritto europeo, che ne impone la disapplicazione qualora se ne dia una interpretazione con esso incompatibile.
La controparte RAGIONE_SOCIALE ha resistito al ricorso, in particolare sottolineando che, essendo l’oggetto principale della società in Italia, l’efficacia dei poteri attribuiti a NOME COGNOME e la validità dei successivi conferimenti alle società ricorrenti devono essere esaminati in base alla legge italiana, senza alcuna interferenza interpretativa da parte del diritto comunitario.
Questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 11600/2022, ha chiesto alla Corte europea di giustizia, ai sensi dell’art. 267 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla seguente questione: ‘se gli artt. 49 e 54 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea ostino a che uno Stato membro, in cui è stata originariamente costituita una società (società a responsabilità limitata), applichi alla stessa le disposizioni di diritto nazionale relative al funzionamento e alla gestione della società qualora la società, trasferita la sede e ricostituita la società secondo il diritto dello Stato membro di destinazione, mantenga il centro della sua attività nello Stato membro di partenza e l’atto di gestione in questione incida in modo determinante sull’attività della società’.
6. La Corte europea di giustizia, con sentenza del 25 aprile 2024 (C-276/22), ha stabilito che gli artt. 49 e 54 del trattato devono essere interpretati nel senso che ‘ostano alla normativa di uno
Stato membro che prevede in via generale l’applicazione del suo diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro, ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro’.
In prossimità della pubblica udienza alla quale è stata riassegnata la causa, le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo dei due motivi in cui è articolato il ricorso contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 60 della legge n. 218 del 1995, nonché dell’art. 2381 c.c. anche in relazione all’art. 2507 c.c. e all’art. 54 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Secondo la Corte d’appello di Roma la società estera il cui oggetto principale si trova in Italia è integralmente soggetta alla legge italiana: si tratta di una interpretazione errata dell’art. 25 della legge 218 del 1995, che non considera che per le società europee opera il principio del diritto di stabilimento ad esse riconosciuto dall’art. 54 del trattato, secondo il quale una società costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro ha diritto di svolgere la sua attività nel territorio di un qualsiasi Stato membro; ciò significa che una società costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro, come il Granducato del Lussemburgo, per operare in qualsiasi altro Stato membro, come l’Italia, non ha alcun bisogno di conformare la sua struttura a quanto prescrive l’art. 25 della legge n. 218 del 1995, norma che il giudice italiano è tenuto a disapplicare nella parte in cui imporrebbe requisiti o modalità di funzionamento ulteriori e/o difformi rispetto a quelli previsti dalla legislazione dello Stato membro secondo il cui ordinamento si è costituita; ciò significa che, ferma la validità del mandato secondo la legge lussemburghese, la validità della procura in Italia è governata dall’art. 60 della legge n. 218/1995.
Alla luce della pronuncia della Corte europea di giustizia il motivo è fondato.
Ai sensi del comma 1 dell’art. 25 della legge n. 218/1995 le società sono disciplinate dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione, ma si applica la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti. Ad avviso della Corte d’appello l’assoggettamento al diritto italiano della società RAGIONE_SOCIALE, pur ricostituita nel Granducato del Lussemburgo, comporta l’applicazione della legge italiana delle società, in particolare dell’art. 2381 c.c., e della conseguente giurisprudenza che esclude la possibilità di attribuire una delega di poteri di gestione della società a soggetti terzi.
Investita della questione se gli artt. 49 e 54 del trattato ostino alla normativa di uno Stato membro, che prevede in via generale l’applicazione del suo diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro, ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro, la Corte europea di giustizia ha anzitutto stabilito che la situazione in esame, e in particolare gli atti di gestione adottati dalla società in relazione alle attività che svolge in Italia, rientrano nell’ambito della libertà di stabilimento. La libertà di stabilimento comporta infatti per le società il diritto di svolgere la loro attività in un altro Stato membro. La Corte europea ha rilevato che una normativa di uno Stato membro, ai sensi della quale la società stabilita in un altro Stato membro che svolga la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro deve rispettare nella realizzazione dei suoi atti di gestione, oltre agli obblighi eventualmente derivanti dal diritto dello Stato membro di stabilimento, il diritto del primo Stato membro, potrebbe rendere più difficile la gestione di tale società, in quanto potrebbe obbligarla a conformarsi ai requisiti imposti da entrambi tali diritti, potendo rendere meno attrattivo l’esercizio
della libertà di stabilimento e costituire di conseguenza un ostacolo all’esercizio di tale libertà. La Corte europea ha osservato che una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale e al riguardo ha sottolineato come tali ragioni non emergano dal tenore letterale dell’art. 25 della legge n. 218/1995 e dell’art. 2381 c.c. e come il Governo italiano abbia sostenuto che tale restrizione alla libertà di stabilimento è giustificata dall’obiettivo di tutela dei soci, dei creditori, dei dipendenti e dei terzi. Al riguardo la Corte ha ritenuto che interpretare l’art. 25 nel senso di implicare che qualsiasi atto di gestione debba essere assoggettato alla normativa italiana eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela degli interessi sopra ricordati. Il Governo italiano ha ancora sostenuto che la normativa italiana mira a contrastare le pratiche abusive, ostacolando comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose prive di effettività economica: al riguardo la Corte europea ha osservato come la repressione della frode e dell’evasione fiscale possa giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento, a condizione che l’obiettivo specifico della restrizione sia di impedire condotte consistenti nella creazione di costruzioni puramente artificiose prive di effettività economica, finalizzate a eludere l’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale, ma il solo fatto di stabilire la sede di una società in conformità alla legislazione di uno Stato membro, al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa, non costituisce di per sé un abuso e la mera circostanza che una società, pur avendo la propria sede in uno Stato membro, svolga la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di frode, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal trattato. Gli artt. 49 e 54 del trattato devono quindi, secondo la Corte di giustizia, essere interpretati nel senso che
ostano alla normativa di uno Stato membro che prevede in via generale l’applicazione del suo diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro, ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro.
3. Va pertanto affermata, alla luce della decisione della Corte europea, l’applicabilità alla fattispecie in esame delle norme di diritto lussemburghese che disciplinano il funzionamento delle società a responsabilità limitata. Ciò non significa -come hanno sottolineato alcuni commentatori della pronuncia europea -che sia del tutto esclusa l’applicabilità delle norme italiane che disciplinano il funzionamento delle società a responsabilità limitata. La Corte di giustizia, se ha negato in via generale l’applicazione del diritto italiano agli atti di gestione della società costituita all’estero che mantenga il centro della sua attività in Italia, ha considerato che la libertà di stabilimento può essere limitata di fronte a ‘motivi imperativi di interesse generale’. Si tratta peraltro di una valutazione che non può essere svolta a priori, ma che andrà effettuata a posteriori, una volta individuate le norme applicabili e alla luce delle tutele riconosciute dal diritto delle società lussemburghese e delle peculiarità della fattispecie in esame. La Corte di giustizia, nella sentenza di rinvio, sottolinea infatti che il rischio di una lesione degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei lavoratori dipende dal tipo di atto adottato e può variare in funzione della composizione dell’assetto societario della società di cui trattasi (v. il par. 42 della pronuncia); l’Avvocato generale, nelle sue conclusioni, osserva come gli interessi dei soci possano già ritenersi sufficientemente considerati dalla legislazione delle Stato di costituzione della società nel caso in cui i soggetti associati erano o potevano essere a conoscenza dell’attribuzione di poteri e degli atti che ne sono derivati (cfr. il par. 59 delle conclusioni scritte dell’Avvocato generale NOME COGNOME.
4. Si impone, quindi, la necessità di verificare la validità del conferimento di poteri a NOME COGNOME alla luce del diritto societario lussemburghese. Va ricordato che, a norma dell’art. 14 della legge n. 218/1995, l’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice (cfr., per tutte, Cass. n. 14209/2022 e Cass. n. 27365/2016); ai fini dell’individuazione delle norme del diritto straniero il giudice può ricorrere a qualsiasi mezzo, pure informale, valorizzando anche il ruolo attivo delle parti, sebbene non sussista, in capo a queste ultime, alcun onere di indicazione, né di allegazione documentale della legge straniera ritenuta applicabile (in particolare v. Cass. n. 27365/2016, appena menzionata).
Dalla pronuncia della Corte europea le parti, che pure concordano sulla necessità della applicazione della legge lussemburghese, traggono conclusioni opposte.
Ad avviso delle ricorrenti sarebbe inevitabile la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte dovrebbe pronunciare nel merito e rigettare la domanda a suo tempo proposta dalla STE, non avendo controparte provato l’invalidità secondo l’ordinamento lussemburghese della procura rilasciata il 30 agosto 2010. D’altro canto, sostengono le ricorrenti, la validità del ‘mandato’ e della ‘procura’, conferiti a NOME COGNOME da NOME COGNOME durante l’assemblea generale della società RAGIONE_SOCIALE del 30 agosto 2010, andrebbe dedotta dalla mera circostanza che sia stata adottata durante un’assemblea presieduta da un notaio lussemburghese ‘della quale altri notai lussemburghesi hanno tranquillamente preso atto e ne hanno attestato, con apostille, la regolarità’.
Secondo la controricorrente, ferma la necessità alla luce della pronuncia del giudice europeo di applicare il diritto lussemburghese, il medesimo diritto imporrebbe la conferma della pronuncia della Corte d’appello con la sola correzione della
motivazione, laddove ha affermato l’applicabilità della legge italiana. La legge lussemburghese che disciplina le società commerciali del 1915 per le società a responsabilità limitata prevede -sottolinea la controricorrente -che possa essere delegata a soggetti anche estranei alla società ‘la gestione quotidiana degli affari’ e la rappresentanza della medesima società, soggetti che rispondono in relazione all’attività svolta ‘in base alle regole generali del mandato’, così l’art. 710 -15, n. 4 della legge. Essendo secondo tale disposizione possibile unicamente il conferimento della gestione giornaliera, che secondo la Corte di cassazione belga comprende ‘gli atti e le decisioni che non vanno al di là dei bisogni della vita quotidiana della società, quanto gli atti e le decisioni che in ragione del loro carattere urgente non giustificano l’intervento dell’organo amministrativo’, l’avvenuto conferimento totale dei poteri gestionali a un terzo da parte della gérante non può che ritenersi nullo.
La controricorrente richiama la disposizione di cui all’art. 710 -15, n. 4 della legge del 1915. Tale disposizione è però stata inserita nella legge del 1915 nel 2016 (legge 10 agosto 2016, in vigore dal 23 agosto 2016), mentre il conferimento di poteri di cui si discute è avvenuto nel 2010.
La tipologia della société à responsabilité limitée , assente nella stesura originaria della legge del 1915 è stata introdotta nel 1933 (dalla legge 18 settembre 1933), sul modello della société à responsabilité limitée francese (a sua volta introdotta nell’ordinamento francese con legge del 7 marzo 1925), mediante la previsione nella legge del 1915 di una nuova sezione composta dagli artt. 179202. In particolare, l’art. 191 ha previsto che le società a responsabilità limitata sono gestite da uno o più mandatari soci o non soci, retribuiti o meno, che sono nominati sia con l’atto costitutivo della società, sia con un atto successivo, per un tempo limitato o illimitato; salvo diversa previsione dello
statuto, gli amministratori hanno tutti i poteri per agire in nome della società in tutte le circostanze e non sono revocabili per legittima causa.
Dopo la sua introduzione nel 1933, la disciplina della société à responsabilité limitée è stata modificata nel 1972 per armonizzare il diritto lussemburghese con quello europeo, in particolare con la direttiva europea n. 68/151. La legge 23 novembre 1972, per quanto interessa, ha cambiato l’art. 191, eliminando la previsione per cui gli amministratori hanno tutti i poteri per agire in nome della società in tutte le circostanze, e ha inserito l’art. 191 -bis , che al primo comma dispone che ‘salvo diversa previsione dello statuto, ciascun amministratore può compiere tutti gli atti necessari o utili per il raggiungimento dell’oggetto sociale, salvo quelli che la legge riserva alla decisione dei soci’ e all’ultimo comma prevede che ‘la società è vincolata dagli atti compiuti dagli amministratori anche se questi eccedono l’oggetto sociale a meno che essa non dimostri che il terzo sapeva che l’atto si poneva in contrasto con l’oggetto sociale ovvero non lo poteva ignorare, considerate le circostanze’.
La riforma del 2016 -che ha avuto una gestazione durata vent’anni ha profondamente mutato la disciplina della société à responsabilité limitée avvicinandola a quella delle società per azioni e modellando quindi la sua governance su quella prevista dagli artt. 53, 60 e 60bis della legge del 1915. A differenza che per le società in accomandita, per le quali la legge 12 luglio 2013 ha disposto che il contratto sociale possa permettere agli amministratori ‘di delegare i loro poteri a uno o più mandatari’, senza la previsione di limiti, per le società a responsabilità limitata la possibilità di delega a terzi trova oggi il limite, comune alle società per azioni, della ‘gestione giornaliera’, limite che come si è già detto -non era presente nella precedente disciplina.
Ferma la necessità di pervenire alla cassazione della gravata pronunzia, in quanto frutto dell’applicazione della legge sostanziale italiana, si impone il rinvio al giudice di merito che dovrà, alla luce della disciplina lussemburghese delle società a responsabilità limitata temporalmente applicabile alla fattispecie in esame, determinare la validità del conferimento di poteri a NOME COGNOME in particolare accertando, sulla base dell’allora statuto della società RAGIONE_SOCIALE, l’esistenza di regole specifiche relative ai poteri del gérant della società e quale fosse l’oggetto sociale della medesima, tenendo in considerazione l’assetto societario e che il conferimento di poteri è avvenuto durante l’assemblea generale straordinaria della società RAGIONE_SOCIALE tenutasi a Lussemburgo il 30 agosto 2010.
È assorbita l’ultima parte del primo motivo di ricorso che presuppone, secondo la prospettazione dei ricorrenti, la validità del mandato conferito a Ferrari. È assorbito anche il secondo motivo, che contesta, invocando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2381 c.c. in relazione all’art. 2475 -bis c.c., alla Corte d’appello di avere applicato l’art. 2381 c.c., facendo valere l’inefficacia della procura nei confronti di un terzo (la società ST alla quale è stato conferito l’immobile), terzo al quale l’inefficacia è opponibile solo se si prova che questi abbia intenzionalmente agito a danno della società. Profilo quest’ultimo il cui esame è subordinato alla preliminare decisione in ordine alla validità del conferimento dei poteri a NOME COGNOME
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma. Il giudice di rinvio provvederà in relazione alle spese del presente giudizio, nonché in relazione alle spese sostenute dalle parti nel giudizio di rinvio pregiudiziale che si è svolto davanti alla Corte europea di giustizia.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità e del giudizio svoltosi davanti alla Corte europea di giustizia, alla Corte d’appello di Roma, in diversa