Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8641 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8641 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35790/2018 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2567/2017 depositata il 30/10/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME evocava in giudizio innanzi al Tribunale di Piacenza la madre NOME COGNOME e la sorella NOME COGNOME per sentir dichiarare la nullità di quattro testamenti, olografi e pubblici, redatti dal defunto padre NOME COGNOME, deducendo la violazione dell’art. 735, c. 1, cc; chiedeva condannarsi NOME COGNOME, a favore della quale il defunto marito aveva costituito l’usufrutto generale vitalizio su un fabbricato sito in Piacenza, a conferire alla massa l’importo dei canoni di locazione percepiti dal decesso del de cuius alla domanda; chiedeva inoltre la condanna di NOME COGNOME al conferimento alla massa della somma di € 10.800,00, quale valore dell’automobile del de cuius e di un fucile non ricompresi nei testamenti. In via subordinata, chiedeva dichiararsi l’annullabilità dei testamenti ex art. 624 e ss. Cpc e 1427 e ss. Cc e che si procedesse al ripristino della comunione ereditaria.
Il Tribunale di Piacenza respingeva la domanda.
La Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado.
Il Giudice d’Appello riteneva che la mancata dichiarazione della morte della convenuta COGNOME NOME da parte del suo difensore non comportasse la nullità della procura sulla base del principio dell’ultrattività del mandato e che non sussistesse una situazione di conflitto di interesse con la posizione di COGNOME NOME; la corte rigettava la domanda di dichiarazione di cessazione della materia del contendere in seguito alla morte di COGNOME NOME in quanto
persisteva la situazione di contrasto tra l’attore e la sorella; rigettava, altresì, l’ istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione del giudizio di usucapione di un terreno introdotto da COGNOME NOME nei confronti della sorella.
La Corte riteneva, infine, insussistente la lesione della quota di legittima, sulla base delle risultanze della CTU.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso COGNOME NOME sulla base di otto motivi.
Ha resistito con controricorso COGNOME NOME
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, rigettata l’eccezione di inammissibilità del controricorso per essere privo del requisito di autosufficienza in quanto riporterebbe in modo incompleto lo svolgimento del processo nei gradi di merito e le contestazioni ai motivi di ricorso.
Osserva il collegio che il controricorso soddisfa i requisiti previsti dall’art.370 c.p.c., sia con riferimento alla vicenda processuale che alla confutazione dei motivi di ricorso.
No nostante l’art.366 c.p.c. n. 4 si applichi anche al controricorso, ciò, non significa affatto che il controricorso debba contenere dei propri motivi specifici e speculari rispetto a quelli del ricorso, essendo sufficiente una pur minima confutazione del ricorso (Cass. 4249/2015; Cass.2262/2006).
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1394 c.c., 1395 c.c., 1722 cc, 81 c.p.c., 83 c.p.c., 110 c.p.c. e 112 cpc, in relazione agli artt 360, comma 1, n. 3 e 4 cpc ed all’art. 360, comma 1, n. 5 cpc, per non avere la Corte d’appello, dopo il decesso di COGNOME NOME, ravvisato l’esistenza di un conflitto di interessi tra le posizione della predetta e quelle di COGNOME NOME, che erano difese dallo stesso difensore, il quale, nel giudizio di primo grado, non aveva dichiarato il decesso e si era costituito in appello con il mandato originario.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello fatto corretta applicazione del principio di ultrattività del mandato, non avendo il difensore di COGNOME NOME dichiarato la morte della propria assistita nel corso del giudizio di primo grado.
Come affermato da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. 15295/2015; Cass. 710/16; Cassazione civile sez. III, 07/05/2021, n.12183), nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 cpc, il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta proposizione dell’impugnazione.
Né, in seguito alla morte di COGNOME NOME, era sopravvenuto un conflitto di interessi in quanto nel presente giudizio si controverte dell’eredità paterna.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la situazione di conflitto di interessi -che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 20950/2017) può essere non solo attuale, ma anche potenziale- non è riferibile alla astratta eventualità, bensì in stretta correlazione con il concreto rapporto esistente tra le parti i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione (Cass. 20991/2020).
Con il secondo e terzo motivo di ricorso, che il ricorrente propone unitariamente, si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 81 c.p.c., 100 c.p.c. e 112 c.p.c, in relazione agli artt. 360 n. 3 e 4 cpc e 360 n. 5 cpc, per non avere la Corte d’appello dichiarato la cessazione della materia del contendere in seguito alla morte della convenuta COGNOME NOME.
I motivi sono infondati in quanto la cessazione della materia del contendere presuppone che sia venuta meno la ragione di contrasto tra le parti e quindi l’interesse ad ottenere un risultato utile senza l’intervento del giudice mentre, nel caso in esame, il contrasto non era venuto meno dopo il decesso di COGNOME NOME, in considerazione delle domande svolte dall’attore nei confronti di COGNOME NOME.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art.295 c.p.c., la violazione dell’art.347 c.p.c. per apoditticità, illogicità e carenza di motivazione, in relazione all’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., per non avere la Corte d’appello sospeso il presente giudizio in attesa del passaggio in giudicato della domanda di usucapione, proposta dal ricorrente nei confronti della sorella
e della madre in relazione ad un bene caduto in successione in relazione al quale il testatore aveva disposto la divisione.
Il motivo è infondato, sebbene sia esatto che tra il giudizio di usucapione e quello di divisione d’un medesimo bene , pendente tra le medesime parti, interceda un nesso di pregiudizialità-dipendenza in senso tecnico-giuridico, come ben illustrato dall’ordinanza n. 2951/18 (resa in consapevole , motivato e condivisibile dissenso rispetto a taluni altri precedenti di questa Corte).
Infatti, dallo stesso motivo di ricorso si evince che la causa (pregiudiziale) di usucapione pende in grado d’appello innanzi alla medesima Corte distrettuale (in disparte la mancata riunione ex art. 274 c.p.c., ovviamente neppure censurabile in questa sede) sotto il n. di R.G. 3312/16 (v. pag. 34 del ricorso).
Ciò implica che in quella causa la sentenza di primo grado sia stata pronunciata in epoca necessariamente anteriore alla data della sentenza oggetto del ricorso in esame. Ne deriva, quindi, che ai sensi della giurisprudenza di questa Corte (v. S.U. n. 10027/12, ribadita in parte qua da S.U. n. 21763/21 e dall’ordinanza n. 9470/22), la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente è necessaria fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia stata definita con sentenza non passata in giudicato, il giudice della causa dipendente può, alternativamente, scegliere di conformarsi alla predetta decisione, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, attraverso, però, il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337,
comma 2, c.p.c., ovvero, ancora, decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che la sentenza emessa nella causa pregiudicante possa essere riformata o cassata.
Ora, mentre la sospensione del processo adottata ai sensi dell’art. 337, cpv. c.p.c. è suscettibile d’impugnazione mediante il regolamento di competenza, nei limiti specificati dai precedenti di questa Corte (cfr. nn. 14146/20, 16142/15 e 23977/10), non è altrettanto possibile impugnare -né col regolamento ex art. 42 c.p.c. né col ricorso ordinario per cassazione -il diniego di tale sospensione, dato il suo carattere latamente facoltativo e l ‘applicabilità , in caso di contraddittorietà di giudicati, d ell’ art. 336, cpv. c.p.c. (come di recente affermato da S.U. n. 21763/21).
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 540 c.c., 542 c.c. e 553 c.c. e segg., 734-735 I e II comma, 1362 e segg. c.c., in relazione all’art 360 nn. 3 e 4 c.p.c., oltre alla violazione dell’art 115 c.p.c, in relazione all’art 360, comma 1, n.3, 4 e 5 c.p.c., ed alla nullità della sentenza per omessa motivazione in relazione all’art 360, comma 1, n. 5 cpc. Il ricorrente deduce che la Corte di merito non si sia pronunciata sull’illegittima ed esclusiva attribuzione dei cespiti immobiliari alla madre COGNOME NOME, né sul computo delle quote di riserva, errando nell’interpretazione dei testamenti. Il ricorrente sostiene l’erroneità della decisione anche in relazione alla domanda di riduzione, essendo stato il ricorrente pretermesso dal de cuius , criticando le conclusioni del CTU, che avrebbe errato nel
calcolare la quota di riserva sulla base dell’art.542 c.c., senza considerare che i testamenti sarebbero viziati da nullità.
Con il sesto motivo di ricorso, si deduce l’erroneità della CTU in relazione al calcolo della quota di riserva, oltre alla nullità della sentenza per vizio di motivazione.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono inammissibili.
La Corte d’appello ha accertato che non vi era stata preterizione del ricorrente, il quale era stato istituito erede testamentario ed aveva partecipato alla divisione operata dal testatore, a nulla rilevando che ad uno degli eredi siano stati attribuiti soltanto beni immobili e ad un altro erede beni mobili.
Quanto all’asserita lesione della quota di riserva, la Corte distrettuale ha aderito alle conclusioni del CTU, che ha determinato il valore complessivo dell’asse ereditario formato dal relictum ed ha valutato il valore delle singole quote formate dal testatore nella divisione ed assegnate ai tre eredi, giungendo alla conclusione che la quota di legittima degli eredi era di ammontare inferiore alla quota testamentaria del ricorrente, sì da escludere in radice la lesione della sua quota di legittima.
Il motivo si limita a generiche critiche alla sentenza, con censure di violazione di legge che mascherano doglianze sulla valutazione delle risultanze istruttorie; il ricorrente contesta l’interpretazione dei testamenti senza riportare, nemmeno in via riassuntiva le parti che assume erroneamente interpretate e senza dedurre i canoni ermeneutici violati; inammissibile è, infine, la censura di illogicità della motivazione, ai sensi del
novellato art.360, comma 1, n.5 c.p.c. (Cass. Sez. Unite N.8053/2014).
Anche le doglianze relative alle conclusioni della CTU impingono il merito della causa e sono inammissibili in sede di legittimità.
Secondo la giurisprudenza granitica di questa Corte, il giudice del merito, che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l’obbligo della motivazione è assolto già con l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate; il rigetto delle contrarie deduzioni delle parti, e, dall’altra, delinea il percorso logico della decisione e ne costituisce motivazione adeguata, insuscettibile di censure in sede di legittimità (Cass. 1815/2015; Cass., n. 282/2009; Cass. 8355/2007).
Con il settimo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda subordinata di annullamento dei testamenti per violazione degli artt. 624 c.c., 1427 c.c. e 112 cpc, in relazione all’art 360 n.5 cpc.
Il motivo è infondato.
COGNOME NOME aveva proposto, in primo grado, domanda di annullamento dei testamenti; la domanda era stata rigettata dal primo giudice e la decisione non era stata impugnata con l’atto d’appello, che, solo nelle conclusioni aveva reiterato la domanda di annullamento.
Ne consegue che, in assenza di un motivo di impugnazione sul capo della sentenza che aveva rigettato la domanda di annullamento dei testamenti, non è ravvisabile il vizio di omessa pronuncia.
Con l’ottavo motivo di ricorso, si deduce ‘la nullità della sentenza per violazione dell’art 112 cpc, in relazione all’art 360 n. 5 c.p.c., omissione di pronuncia, travisamento dei fatti e contraddittorietà’, per avere la Corte di merito omesso di pronunciarsi sulla domanda di reintegrazione dei cespiti indicati nell’atto introduttivo, limitando la pronuncia solo all’auto ed al fucile.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello non si è pronunciata sulla reintegrazione degli altri cespiti, in quanto non ha ravvisato la lesione della quota di legittima.
Quanto al fucile ed all’auto, essi sono stati inclusi nell’asse ereditario e, considerato che erano nel possesso della sorella, la stessa è stata condannata a pagare al fratello la quota di 1/3 del controvalore, secondo la stima del CTU.
Non è quindi ravvisabile il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di reintegrazione, avendo la Corte d’appello optato per la condanna al pagamento del controvalore.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7 .500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda