Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12960 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12960 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23408-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE BARI NOME COGNOME, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA RAGIONE_SOCIALE BARI, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.23408/2020
COGNOME
Rep.
Ud.23/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 2406/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 14/01/2020 R.G.N. 740/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
la Corte d’Appello di Bari ha respinto l’appello dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo concesso a NOME COGNOME, dipendente dell’Università in servizio presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, la quale aveva agito in sede monitoria nei soli confronti dell’Università chiedendo il pagamento della somma di € 19.761,76 a titolo di «equiparazione stipendiale prevista dall’ art. 31 d.p.r. n. 761/79» per il periodo settembre 2012/settembre 2014;
la Corte territoriale ha richiamato il principio di diritto affermato da Cass. S.U. n. 8521/2012 quanto alla legittimazione passiva dell’Università e del Policlinico, rilevando che il personale universitario strutturato nel Servizio Sanitario Nazionale, pur trovandosi in rapporto di impiego con l’Università, è in rapporto di servizio con l’Azienda Ospedaliera, sicché il dipendente può agire nei confronti di entrambe le amministrazioni;
nel caso di specie, peraltro, il pagamento era stato richiesto dalla COGNOME alla sola Università ed il contraddittorio era stato esteso nel giudizio di primo grado al Policlinico ai sensi dell’art. 106 cod. proc. civ. senza che nei confronti di quest’ultimo l’Ateneo avesse formulato domanda di garanzia, perché le conclusioni dell ‘atto, da leggere alla luce delle argomentazioni sviluppate nello stesso, erano volte ad ottenere una pronuncia che escludesse la legittimazione passiva dell’Università,
limitandola alla sola Azienda Ospedaliera, non già la condanna di quest’ultima a corrispondere, a titolo di garanzia impropria, all’Università le somme eventualmente pagate al Santacroce in esecuzione della sentenza;
la Corte distrettuale ha aggiunto che in tal senso la chiamata del Policlinico era stata interpretata dal Tribunale, che non aveva emesso alcuna statuizione nel dispositivo quanto ai rapporti fra le due amministrazioni, e ne ha tratto, quale conseguenza , che l’appellante avrebbe dovuto denunciare in appello l’omessa pronuncia nel quale sarebbe incorso il giudice di primo grado;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Università degli Studi di Bari sulla base di due motivi, ai quali hanno opposto difese, con controricorso, l’Azienda Ospedaliera e NOME COGNOME;
le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
C on il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., l’Università ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 106 cod. proc. civ. e sostiene, in sintesi, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, la chiamata in causa dell’Azienda Ospedaliera era finalizzata a far valere il rapporto di garanzia impropria, perché il chiamante aveva chiesto di essere tenuto indenne da ogni conseguenza pregiudizievole derivante dall’eventuale sentenza di co ndanna al pagamento di somme in favore della COGNOME;
la seconda censura addebita alla sentenza gravata la violazione dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 761/1979 perché, si sostiene, ponendo a carico della sola Università l’obbligazione di pagamento, il giudice d’appello ha finito per porsi in contrasto con la disposizione sopra indicata nella parte in cui prevede che
le somme necessarie per la corresponsione dell’indennità di perequazione sono versate alle Università dalle Regioni;
2.1. aggiunge la ricorrente che con il lodo arbitrale del 20 aprile 2012 sono stati definiti i rapporti fra l’Università e la Regione Puglia con la previsione dell’obbligo posto a carico dell’Azienda di corrispondere le somme necessarie per il pagamento de ll’indennità perequativa, sicché legittimamente l’erogazione era stata sospesa a seguito del mancato rispetto da parte dell’Azienda dei termini di pagamento previsti dal Lodo;
il ricorso è inammissibile, per le ragioni precisate da Cass. n. 25335/2022 pronunciata in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa;
le Sezioni Unite di questa Corte, ricostruita ed analizzata la normativa succedutasi nel tempo con la quale è stato disciplinato il rapporto di reciproca collaborazione che si instaura fra il Servizio Sanitario Nazionale e le Università, hanno evidenziato che mentre sul piano materiale l’attività sanitaria è convogliata in un modello aziendale unico, individuato nell’azienda ospedaliera universitaria, la gestione, anche finanziaria, è rimessa alla Regione ed all’Università, con la conseguenza che la soluzione delle questioni giuridiche ed economiche fa necessariamente capo ad entrambi i soggetti pubblici;
3.1. si realizza, cioè, una cogestione anche dei rapporti di lavoro che intercorrono con il personale universitario “strutturato” nel Servizio Sanitario Nazionale, personale che, pur trovandosi in rapporto di impiego con l’Università è in rapporto di servizio con l’Azienda Ospedaliera, con la conseguenza che, rispetto alla domanda del dipendente universitario di pagamento di differenze retributive, va affermata la legittimazione passiva di entrambe le amministrazioni in quanto parti, rispettivamente,
del rapporto di impiego e di quello di servizio ( Cass. S.U. n. 9279/2016 che richiama Cass. S.U. n. 8521/2012);
3.2. a detto principio la successiva giurisprudenza di questa Corte ha dato continuità (cfr. fra le tante Cass. n. 29765/2020; Cass. n. 22984/2020; Cass. n. 3408/2020; Cass. n. 30129/2018; Cass. n. 6794/2018; Cass. n. 5388/2018) e ne ha tratto anche la conseguenza della solidarietà dell’obbligazione assunta nei confronti del prestatore, solidarietà che opera, ex art. 1294 cod. civ., ogniqualvolta dalla legge o dal titolo non risulti il carattere parziario dell’obbligazione medesima;
3.3. dai richiamati principi non si è discostata la Corte territoriale la quale, dopo aver evidenziato che correttamente la COGNOME aveva evocato in giudizio uno dei soggetti legittimati, ha poi escluso che l’Università avesse formulato, con l’atto di chiamata in causa del terzo, una richiesta di manleva;
3.4. il primo motivo, che censura detto capo della decisione, oltre ad essere formulato senza il necessario rispetto dell’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. ( gli atti processuali non sono trascritti, non sono allegati al ricorso né la ricorrente fornisce specifiche indicazioni sulla loro localizzazione nel fascicolo processuale), non intercetta entrambe le rationes decidendi della pronuncia perché, come evidenziato nello storico di lite, il giudice d’appello non si è limitato ad interpretare diversamente la domanda rispetto a quanto sostenuto dalla difesa dell’Università ma, per respingere l’impugnazione, ha anche aggiunto che, qualificata l’azione nei termini sollecitati dall’appellante, sarebbe stato necessario da pa rte di quest’ultimo uno specifico motivo di gravame, non formulato, volto a denunciare il vizio di omessa pronuncia nel quale sarebbe incorso il Tribunale che sulla domanda di manleva non aveva provveduto;
3.5. questa seconda ratio , sufficiente a sorreggere il decisum , non è stata oggetto di specifica censura sicché trova applicazione il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi , né contiene un mero obiter dictum , insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione.» (Cass. n. 17182/2020);
parimenti inammissibile è il secondo motivo, incentrato sul Lodo Arbitrale del 20 aprile 2012, perché anche rispetto a detto documento non risulta assolto l’onere di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non avendo l’Università né trascritto nelle part i rilevanti l’atto né fornito indicazioni quanto ai tempi ed ai modi della produzione nel giudizio di merito;
si aggiunga che, sulla base di quanto esposto in ricorso, il Lodo riguarda i rapporti interni fra debitori solidali e rileva ex art. 1298 cod.civ., ma non può essere opposto al creditore che abbia agito nei confronti di uno solo dei debitori solidali ex art. 1292 cod. civ.;
in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, di conseguenza, l’Università va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute da
ciascun controricorrente, liquidate come da dispositivo, da distrarre, quanto a NOME COGNOME in favore dell’Avv. NOME COGNOME che ha reso la prescritta dichiarazione;
7. si deve dare atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, perché l’esenzione prevista in via generale dal richiamato d.P.R. ope ra per le Amministrazioni dello Stato e non per gli enti pubblici autonomi, seppure autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Università al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di ciascun controricorrente, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 3000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge, con distrazione, quanto a NOME COGNOME in favore dell’Avv. NOME COGNOME dà atto della sussistenza dell’obbligo della ricorrente principale ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rig ettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione