Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4540 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4540 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
COGNOME NOME
-intimato – avverso la sentenza n. 2835/2023 della Corte d’Appello di ROMA pubblicata il 17/04/2023 e non notificata.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/2/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Oggetto: Preliminare compravendita
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24050/2023 R.G. proposto da
COGNOME quale erede di COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente – contro
1. Ai fini della migliore comprensione dei fatti di causa, è opportuno riassumere la vicenda sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’Appello, integrata, quanto allo svolgimento dei giudizi di merito, con gli elementi risultanti dal ricorso.
Con atto di citazione notificato il 21/7/2011, COGNOME nella sua qualità di procuratore speciale di COGNOME NOME, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Velletri-Sez. distaccata di Albano Laziale, COGNOME AngeloCOGNOME affermando che, con scrittura privata del 10/12/1991, aveva stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE di cui era amministratore unico COGNOME COGNOME, un contratto preliminare di compravendita, avente ad oggetto alcuni immobili, siti in Marino, INDIRIZZO Scozzesi, n. 25/27, oltre a due box auto e un posto auto, al prezzo di lire 225 milioni, di cui aveva versato vari acconti nell’anno 2000, che il contratto era stato in realtà sottoscritto dal fratello gemello dell’amministratore unico, COGNOME NOME, tant’è che l’amministratore aveva disconosciuto la propria firma, come accertato nel diverso giudizio n. 40602/00, incardinato dalla società onde ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento della promissaria acquirente, che il firmatario aveva perciò stipulato un contratto di vendita di cosa altrui e che, avendo egli acquistato dalla società gli stessi beni immobili, la sua obbligazione era divenuta esigibile, e chiedendo, dunque, che venisse pronunciata sentenza costitutiva di trasferimento del compendio ai sensi dell’art. 2392 cod. civ. e in via gradata, previa declaratoria di responsabilità aquiliana del convenuto, che questi venisse condannato al risarcimento del danno in forma specifica, mediante trasferimento del compendio immobiliare, con condanna all’estinzione del mutuo da lui contratto, o al risarcimento per equivalente commisurato al valore dei beni o, in via subordinata, perché venisse disposta la risoluzione del contratto, con condanna della controparte alla restituzione delle somme versate.
Costituitosi in giudizio, COGNOME NOME chiese il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 361/17, il Tribunale adito rigettò la domanda.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME, già costituitasi nel giudizio di primo grado in sostituzione della madre nel frattempo deceduta, si concluse, nella resistenza dell’appellato, con la sentenza n. 2835/2023, pubblicata il 20/4/2023, con la quale la Corte d’Appello di Roma rigettò l’appello, ritenendo l’appellato privo di legittimazione passiva, in assenza di prova dell’avvenuta sottoscrizione, da parte sua, del preliminare di vendita, e la pretesa risarcitoria infondata in ragione della mancata dimostrazione dell’apposizione della firma sul contratto da parte dell’appellato.
Contro la predetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME affidandolo a tre motivi. COGNOME NOME é rimasto intimato.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta l’illegittimità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza del difetto di legittimazione passiva della parte appellata in relazione sia alla domanda svolta ex art. 2932 cod. civ., sia alla richiesta
risarcitoria, in violazione degli artt. 100 e 112 cod. proc. civ., condividendo quanto a suo dire affermato dal giudice di primo grado, ancorché questo non avesse rilevato il difetto di legittimazione passiva di COGNOME NOME, come del resto neppure quest’ultimo aveva evidenziato, e per avere ritenuto infondata la tesi, affermata dall’appellante, circa l’obbligo assunto da COGNOME NOME di trasferire ad essa la proprietà dei beni, avendo apposto la propria firma con il nominativo del fratello COGNOME senza considerare che la circostanza della sottoscrizione del preliminare da parte del predetto in luogo del germano COGNOME era stata consacrata nella sentenza n. 143/06 del Tribunale di Velletri ed era coperta dal giudicato e che il predetto, pur avendo percepito somme di denaro in seguito al preliminare, aveva acquistato lui stesso i beni, ottenendo anche un mutuo dalla Banca Monte dei Paschi di Siena. Pertanto, ad avviso della ricorrente i giudici avrebbero dovuto ritenere sussistente la legittimazione passiva di NOME.
1.2 Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Al riguardo occorre osservare come i giudici di merito abbiano fondato il disconoscimento del difetto di legittimazione passiva del controricorrente, aderendo a quanto affermato da Tribunale non tanto in ordine alla legittimazione, quanto piuttosto alla mancata dimostrazione della perdita incolpevole dell’originale del documento e della sottoscrizione, ad opera di COGNOME Angelo in luogo di COGNOME quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, intestataria dell’atto.
Ed è alla stregua di tale considerazione che la Corte di merito ha parlato, sia pure impropriamente, di difetto di legittimazione passiva di COGNOME NOME, essendo stato evocato in giudizio, al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 cod. civ., un soggetto che
non risultava, alla stregua del compendio probatorio offerto, obbligato al trasferimento in quanto non sottoscrittore dell’atto.
E’ allora evidente come la censura, per un verso, non attinga la ratio decidendi della motivazione, in contrasto col principio secondo cui i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata devono avere i caratteri non solo della specificità e della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530), e, per altro, verso si appunti su una questione, quella del giudicato asseritamente formatosi sulla sottoscrizione del preliminare ad opera dell’intimato, di cui non vi è menzione nella sentenza e che la censura non spiega adeguatamente, non essendo stato chiarito quando e come quel giudicato si era formato.
Del resto, se è vero che, in tema di ricorso per cassazione, a fronte di un’eccezione di giudicato esterno, ancorché meramente assertiva, è compito del giudice di legittimità verificare l’effettiva esistenza di una pronuncia avente tale valenza, poiché il giudicato esterno è assimilabile agli elementi normativi e il suo accertamento, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, è effettuabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, in quanto corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione (Cass., Sez. 3, 26/10/2017, n. 25432), è anche vero che detto giudicato deve emergere da atti comunque prodotti nel giudizio di merito oppure, quando formatosi successivamente, dai documenti prodotti in uno col ricorso o fino all’udienza di discussione prima dell’inizio delle relazioni (Cass., Sez. U, 16/6/2006, n. 13916; Cass., Sez. U, 28/11/2007, n. 24664; Cass., Sez. 2, 22/1/2018, n. 1534; Cass., Sez. L, 21/4/2022, n. 12754), ciò che nella specie non è avvenuto.
Consegue da quanto detto l’infondatezza della censura.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello affermato che l’azione aquiliana fosse basata sull’apposizione della firma di COGNOME NOME in corrispondenza del nome del fratello e che questa circostanza non fosse rimasta provata, sostenendo che la perizia grafologica non fosse stata espletata in quanto la COGNOME non aveva prodotto l’originale della scrittura privata, senza considerare, però, che le allegazioni in ordine alla ricerca dell’originale e alla impossibilità di reperirlo si riferivano al motivo (il secondo) afferente alla domanda di cui all’art. 2392 cod. civ., ma non anche al motivo (il terzo) afferente all’illecito comportamento della controparte idoneo a fondare le domande di risoluzione del contratto, di restituzione delle somme versate in conto prezzo e di risarcimento del danno, dimostrate, invece, attraverso varia documentazione e prove orali. A causa di tale errore, i giudici avevano ritenuto che non fosse stata dimostrata la responsabilità del convenuto, ma del suo germano quale sottoscrittore del preliminare, oltre ad avere erroneamente affermato che l’illecito richiedesse la dimostrazione dell’apposizione, da parte del convenuto, della firma sul preliminare, non raggiungibile se non con la perizia grafologica.
Con il terzo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito trascurato una serie di fatti (la sottoscrizione del preliminare; l’esistenza di altro preliminare contrapposto per il quale la RAGIONE_SOCIALE aveva già citato la COGNOME; il versamento, da parte della ricorrente, di somme a titolo di acconto sul prezzo della compravendita; la vendita, da parte di RAGIONE_SOCIALE , dello stesso immobile oggetto di compromesso con la
COGNOME; la denuncia sporta dalla COGNOME per truffa nei confronti dei fratelli COGNOME), che denotavano l’illecito commesso dai fratelli COGNOME NOME e COGNOME in riferimento alla richiesta di restituzione delle somme versate al primo, pur con un preliminare recante il nome del secondo.
Il secondo e terzo motivo, da analizzare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
Risulta dalla sentenza impugnata che la ricorrente aveva chiesto, in via gradata, che venisse accertata la responsabilità aquiliana dell’appellato per quanto occorso e che lo stesso venisse condannato al risarcimento del danno o in forma specifica, attraverso il trasferimento, in suo favore, della proprietà dell’immobile compromesso in vendita, o per equivalente, sulla base del valore del bene, oppure, in via ulteriormente gradata, in caso di impedimenti fattuali o giuridici all’accoglimento della domanda di trasferimento, che venisse dichiarata la risoluzione del preliminare e condannato l’appellato alla restituzione delle somme versate in conto prezzo e al risarcimento dei danni.
I giudici di merito hanno, in proposito, ritenuto che la domanda risarcitoria fosse fondata proprio sul fatto che COGNOME NOME avesse apposto la propria firma sul contratto, sicché, non essendo stata detta circostanza dimostrata, la domanda andava rigettata.
Orbene, la censura non attinge, ancora una volta, la ratio decidendi della sentenza, rapportata alla domanda proposta, in contrasto col principio descritto nel motivo che precede, posto che la richiesta risoluzione del contratto, incidendo sulla fase esecutiva dello stesso, non poteva che supporre la sua riconducibilità alla persona evocata in giudizio.
Le due censure, invece, l’una incentrata sulla dedotta violazione di legge e l’altra sull’omesso esame di circostanze, tentano di spostare l’attenzione sulla diversa questione della riferibilità della
deduzione e prova della perdita incolpevole dell’originale del documento alla domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, piuttosto che alla domanda di risoluzione, cui era correlata anche quella di risarcimento, senza considerare, però, che, come detto, la risoluzione implica la sussistenza di un contratto riconducibile al soggetto evocato in giudizio e che tale aspetto è stato ritenuto non provato dai giudici, essendo stato a loro dire dimostrato che il contratto era stato sottoscritto dal fratello NOME e che gli acconti erano stati versati alla società, con la conseguenza che mancava la prova del dedotto danno.
Appare allora evidente come la seconda censura, pur ricondotta alla violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, alleghi, in realtà, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Con specifico riferimento alla terza censura, va, poi, osservato come, ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e dunque anche al caso di specie (il procedimento in appello è stato incardinato nel 2017), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di
rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994), incombenza questa rimasta nella specie inadempiuta.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza della prima censura e l’inammissibilità delle restanti, il ricorso deve essere rigettato.
Nulla deve disporsi in ordine alle spese, non avendo l’intimato spiegato difesa.
6. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., da interpretarsi alla stregua del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, secondo cui la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della cassa delle ammende deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 4.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5/2/2025.