Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11454 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11454 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7482/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, ed elettivamente domiciliata agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende in forza di legge;
– controricorrente e ricorrente incidentale -nonché nei confronti di
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ;
– intimato –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 3974/2022 depositata il 09/11/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ingiungeva al Ministero della Giustizia il pagamento dell’indennizzo per l’irragionevole durata del processo svoltosi dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli per il riconoscimento dell’indennizzo ex lege 24 marzo 2001, n. 89, definito con decreto del 30.10.2017 e con sentenza del TAR Campania del 09.07.2021 in sede di ottemperanza.
1.1. Il Consigliere Delegato respingeva il ricorso sul rilievo che il merito di primo grado e l’ottemperanza, unitariamente considerati, avevano avuto una durata – al netto del periodo intercorrente tra le due fasi – di anni 2, mesi 6 e giorni 5, sicché non risultava superata la ragionevole durata ritenuta di anni 4, di cui uno per il merito del giudizio presupposto di equa riparazione e anni 3 per la fase esecutiva di ottemperanza.
La ricorrente proponeva opposizione avverso il decreto di rigetto innanzi alla Corte d’appello di Napoli in composizione collegiale, che accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, revocava il decreto nel procedimento monitorio, osservando che:
sulla scorta della decisione della Consulta (sentenza n. 36 del 2016) e della giurisprudenza di legittimità successiva (per la quale la durata complessiva dei due gradi di giudizio del procedimento di equa riparazione è ragionevole ove non ecceda il termine di un anno per grado: Cass. n. 1835 del 2021), considerato che va riconosciuta l’unitarietà incondizionata fra le fasi di cognizione e di esecuzione, ove sia lo Stato il soggetto debitore, escluso solo il tempo relativo all’inerzia
che il creditore ha mantenuto fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio del procedimento esecutivo (Cass., Sez. Un., n. 19883 del 2019), nel caso di specie al giudizio presupposto di equa riparazione deve riconoscersi una durata complessiva di anni 2, mesi 6 e giorni 28, superiore di 1 anno e la frazione di anno superiore a mesi 6 rispetto alla durata fissata dalla giurisprudenza sopra richiamata (non essendosi svolto il giudizio di legittimità nella fase di cognizione), per una l iquidazione complessiva di € . 1.000,00 (€ . 500,00 per 2 anni);
sia le spese del procedimento monitorio sia quelle del presente giudizio di opposizione devono seguire la soccombenza e sono liquidate in importi corrispondenti ai valori minimi delle rispettive tabelle (nn. 8 e 12) del D.M. n. 55/2014, come da ultimo modificato dal D.M. n. 147/2022, in considerazione della somma riconosciuta a titolo di indennizzo e della natura delle questioni giuridiche affrontate, con l’aumento previsto dall’art. 4, comma 1bis (30% dei compensi per deposito degli atti con modalità telematiche).
Il decreto collegiale è impugnato per la cassazione da NOME COGNOME con ricorso basato su quattro motivi e illustrato da memoria.
Resiste il Ministero della Giustizia depositando controricorso e contestuale ricorso incidentale, affidato a due motivi.
La ricorrente principale resistite con controricorso al ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. RICORSO INCIDENTALE
Ritiene la Corte che l’ordine logico delle questioni imponga la previa disamina dei motivi di ricorso incidentale che pongono in discussione la stessa ammissibilità della domanda indennitaria e l’individuazione del soggetto obbligato.
Con il primo motivo il Ministero della Giustizia ricorrente incidentale deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, legge n. 89 del 2001, nonché dell’art. 75 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. La richiesta indennitaria di controparte aveva ad oggetto sia la non ragionevole durata della fase monocratica, sia soprattutto la non ragionevole durata del successivo giudizio di ottemperanza svoltosi dinanzi al TAR Campania dal 21/12/2018 al 09.07.2021, per un totale di anni 2, mesi 6 e giorni 18. Nella sostanza, dunque, la richiesta indennitaria aveva ad oggetto il solo giudizio di ottemperanza, in quanto protrattosi per oltre due anni e mezzo a fronte del termine di durata ragionevole di anni 1, ciò comporta che la legittimazione passiva fosse in via esclusiva riferibile al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Di qui, il difetto della legittimazione passiva del Ministero della Giustizia; questione peraltro rilevabile d’ufficio in ogni Stato e grado del procedimento.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, legge n. 89 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Quand’anche si ritenga sussistente la legittimazione passiva del Ministero della Giustizia, si eccepisce l’infondatezza della richiesta indennitaria di controparte dal momento che non sussiste alcun ritardo riparabile con riguardo al procedimento monitorio presupposto incardinato davanti alla Corte d’Appello di Napoli, essendosi lo stesso svolto in un arco temporale di dieci giorni, ovvero dal 20/10/2017 al 30/10/2017.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente e sono fondati per le ragioni che seguono.
Infatti, poiché il ricorso era riferito alla domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata di un giudizio civile di cognizione e di un conseguente giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice
amministrativo, il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto distinguere tra i due procedimenti ed individuare i Ministeri obbligati alla corresponsione dell’indennizzo nella rispettiva misura, senza poterli condannare al relativo pagamento in via solidale. Al riguardo va data continuità alla giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., tra le più recenti, Cass. n. 33764/2022 e Cass. n. 729/2023), in base alla quale si è affermato che, in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la parte che intende accampare pretese riparatorie del pregiudizio derivatole dalla non ragionevole durata di giudizi svoltisi, in relazione alla medesima vicenda, davanti a giudici ordinari e a giudici amministrativi deve convenire in giudizio sia il Ministero della Giustizia che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, non potendo valere la regola della prevalenza, nella formazione del termine irragionevole, di un tipo di giudizio rispetto a un altro; in tal caso il giudice, ove ritenga fondata la domanda in riferimento a ciascun processo, dovrà determinare separatamente l’importo gravante su ognuna delle Amministrazioni convenute per il ritardo dei giudizi di rispettiva competenza, posto che la legge individua in maniera disgiunta i soggetti passivamente legittimati per l’eccessiva protrazione di procedimenti diversi, seppur collegati, la cui durata deve formare oggetto di esame e valutazione autonomi.
Orbene, nel caso di specie, avuto riguardo alla durata dei distinti giudizi – quello ordinario di cognizione e quello, successivo, di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo -si prospetta evidente che solo per quest’ultimo si poneva un problema di durata irragionevole, poiché quello dinanzi al giudice civile era durato dieci giorni, ragion per cui la domanda di equa riparazione avrebbe potuto essere accolta soltanto nei confronti del MEF (con riferimento, per l’appunto, alla durata irragionevole del conseguente e successivo giudizio di ottemperanza),
con esclusione della sussistenza di ogni presupposto per condannare anche il Ministero della Giustizia -in relazione al solo giudizio civile di cognizione per il quale era passivamente legittimato -al pagamento ‘pro quota’ dell’equo indennizzo richiesto.
Nel caso di specie, i due dicasteri sono stati entrambi citati in giudizio e si sono entrambi costituiti, non rilevando il fatto che il Ministero delle Finanze sia rimasto contumace in sede di legittimità. Tanto basta a ritenere infondate le eccezioni sollevate nel controricorso a ricorso incidentale, relative al difetto di autosufficienza e di tardività delle doglianze elevate dal Ministero della Giustizia, non sussistendo alcun onere di identificazione della persona evocata in giudizio, a mente dell’art. 4 della legge n. 260/1958 («l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte»).
Né ha pregio l’eccezione – sollevata in memoria dalla ricorrente principale (p. 5, 1° capoverso) -in virtù della quale vi sarebbero i presupposti per rimettere la causa alle Sezioni Unite di questa Corte, visti i diversi orientamenti giurisprudenziali (così nel controricorso al ricorso incidentale, pp. 12-18). La questione ricondotta dalla ricorrente ad un secondo orientamento di questa Corte attiene, invero, ad un diverso problema, la cui soluzione era stata rimessa alla discussione in pubblica udienza (v. Cass. Sez. 2, Ordinanza interlocutoria n. 36268 del 2022), riguardante la legittimazione passiva nel l’ipotesi in cui il giudizio presupposto (a propria volta instaurato per conseguire la liquidazione di un equo indennizzo) si sia articolato in una fase di
cognizione (ai sensi della legge n. 89/2001), in una fase di esecuzione innanzi al giudice ordinario, ed in una fase di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo, ed è poi stata risolta nel senso di confermare la legittimazione, oltre che del Ministero della Giustizia, di quello dell’Economia e delle Finanze (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18397 del 2023; in precedenza: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 33764 del 16/11/2022, Rv. 666313 – 01).
3.2. Nel caso che ci occupa, il ritardo irragionevole del giudizio presupposto è attribuibile unicamente al giudizio di ottemperanza svoltosi innanzi al TAR Campania, per una durata superiore alla ragionevole durata di 1 anno e la frazione di anno superiore a sei mesi, quindi essendo indennizzabili anni due. Risulta, infatti, incontestato che il giudizio svoltosi innanzi alla Corte d’Appello di Napoli nella fase monitoria sia durato soli 10 giorni (dal 20.10.2017 al 30.10.2017: così nel ricorso incidentale, p. 4 rigo 11; così nel ricorso principale, p. 3 righi 14-17).
Pertanto, il ricorso incidentale va accolto. questa Corte -decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ. -in accoglimento del ricorso incidentale condanna il solo Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro pro tempore al pagame nto di €. 1.000,00 in fav ore di NOME COGNOME oltre interessi dalla domanda.
II. RICORSO PRINCIPALE
Si può passare, ora all’esame, dei motivi formulati con il ricorso principale.
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la nullità del decreto collegiale e del procedimento per anomalia motivazionale (mancanza di motivazione sotto l’aspetto materiale grafico; motivazione apparente, perplessa, incomprensibile), in relazione alla
liquidazione e quantificazione dei compensi del procedimento di opposizione; violazione e/o falsa applicazione delle norme ex art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost. (art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.). La pronuncia viene censurata nella parte in cui la Corte d’Appello di Napoli, per la liquidazione dei compensi del procedimento di opposizione indicati in dispositivo in € . 962,20, non ha indicato espressamente: lo scaglione di valore della causa utilizzato; le specifiche attività processuali effettivamente ritenute espletate; le voci della tabella per le fasi in concreto espletate e liquidate; le ragioni per cui ha ritenuto equo e congruo liquidare i compensi sui valori minimi, anziché medi (v. art. 4, comma 1, D.M. n. 55 del 2014). In tesi, lo scarno apparato argomentativo non consente di comprendere e verificare la determinazione e liquidazione dei compensi, trattandosi anche di liquidazione inferiore a quanto indicato nella specifica nota spese prodotta dalla parte vittoriosa.
5. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione – in relazione alla liquidazione e quantificazione dei compensi del procedimento di opposizione -degli artt. 10, 14, 91, cod. proc. civ., 2233, comma 2 cod. civ., 24, comma 1 legge 13 giugno 1942, n. 794, 13, comma 6 legge 13 dicembre 2012, n. 247, 2, comma 1, 4, commi 1 e 5, 5, commi 1 e 3 D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e nuova tabella 12 D.M. n. 55/2014 (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.). Premesso che al procedimento di opposizione in questione è applicabile la nuova tabella dei compensi (cioè quella che ha modificato il D.M. n. 55/2014 con D.M. 13 agosto 2022, n. 147) in quanto entrata in vigore il 23.10.2022 (i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, debbono essere applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del
decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata: Cass. Sez. U, n. 17405 del 12/10/2012, Rv. 623533 -01), dal combinato disposto degli artt. 10, 14 comma 1 cod. proc. civ., 5 comma 1, D.M. n. 55 2014, emerge che il valore della causa ai fini della liquidazione dei compensi è dato dal disputatum contemperato dal criterio del decisum ; pertanto, lo scaglione di valore applicabile alla controversia per la fase di opposizione è quello compreso tra € . 1.100,01 e € . 5.200,00, rilevato sia dalla somma in concreto liquidata alla ricorrente in sede di opposizione (€ . 1.000,00), sia dalle spese di lite del procedimen to monitorio (€ . 449,00). Individuato lo scaglione, all’interno di esso devono applicarsi i valori medi previsti dalla nuova Tabella 12, che tiene conto dei parametri professionali di cui all’art. 4, comma 1, D.M. n. 55/2014; nonché le quattro fasi (per il combinato degli artt. 5, comma 1, e 4, comma 1, lett. a), b), c), d) del D.M. n. 55/2014). Ne deriva che la Corte d’ Appello avrebbe dovuto liquidare alla ricorrente € . 2.915,00 per i compensi del procedimento di opposizione. La cifra riconosciuta, invece, in dispositivo (€ . 962,20) risulta essere addirittura inferiore ai minimi tariffari, che pure la stessa Corte ha dichiarato di voler applicare, corrispondenti al 50% dei valori medi per tutte le fasi, e cioè € . 1.457,50.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente perché entrambi sollevano la questione, sotto i due diversi profili della carenza di motivazione e della violazione di legge, del rispetto dei criteri
di liquidazione delle spese di lite, ed entrambi sono infondati per le ragioni che seguono.
6.1. N on è condivisibile l’individuazione dello scaglione tariffario secondo quanto argomentato nel secondo motivo di gravame, ove -ai fini dell’individuazione del valore della controversia – sono state sommate al decisum le spese riconosciute in sede di procedimento monitorio. Diversamente da quanto argomentato in ricorso, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali – sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza: Cass. Sez. U, Sentenza n. 19014 del 11/09/2007, Rv. 598765 -01; più di recente, ex multis : Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4520 del 2022). Diversamente nelle situazioni in cui il giudizio di secondo grado accolga parzialmente l’impugnazione, ovvero abbia per oggetto esclusivo la valutazione della correttezza della decisione di condanna di una parte alle spese del giudizio di primo grado: in tali casi la determinazione del valore della controversia, ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, va fissato sulla base del criterio del disputatum , integrato dal criterio del decisum .
Nel caso di specie, avendo il giudice accolto l’opposizione, stante la corrispondenza tra disputatum e decisum, corrispondente al valore di € . 1.000,00, lo scaglione di riferimento è il primo della tabella 12, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale.
6.2. Individuato correttamente lo scaglione, il giudice dell’opposizione ha adottato i valori minimi delle tabelle 8 e 12 motivando la scelta « … in considerazione della somma riconosciuta a titolo di indennizzo e della natura delle questioni giuridiche affrontate…» (v. sentenza p. 6 primi due righi). Del resto, l’obbligo di apposita e specifica motivazione è imposto al giudice del merito solo nel caso in cui egli ritenga di dover scendere anche al di sotto o salire al di sopra dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, n. 3242 del 05.02.2024; Cass. n. 14198/2022; Cass. n. 19989/2021; Cass. n. 2386/2017). Nel caso che ci occupa, i minimi tariffari sono stati rispettati, tenendo conto delle quattro voci: in parte qua il motivo è, dunque, privo di fondamento.
Deve escludersi sia la mancanza di motivazione ovvero la motivazione apparente (vizio che ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture: v. per tutte Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01), sia la violazione di legge.
7. Con il terzo motivo si deduce nullità del decreto collegiale del procedimento; violazione – in relazione alla domanda di liquidazione della maggiorazione di legge sui compensi del procedimento di opposizione per manifesta fondatezza delle tesi difensive della ricorrente – del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato; violazione e/o falsa applicazione della norma ex art. 112 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.). La Corte d’appello non si è
pronunciata in merito alla maggiorazione di legge di 1/3 sui compensi per manifesta fondatezza delle tesi difensive, benché la ricorrente ne avesse fatto espressa richiesta con ricorso in opposizione (reiterata nelle note della trattazione scritta). Omessa pronuncia che si realizza nell’analoga situazione di aumento del compenso dovuto per la redazione degli atti con tecniche informatiche (Cass. n. 23088 del 18.08.2021).
Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione – in relazione alla domanda di liquidazione della maggiorazione di legge sui compensi del procedimento di opposizione per manifesta fondatezza delle tesi difensive della ricorrente -delle norme ex artt. 13, comma 6, legge n. 247 del 2012 e art. 4, comma 8, D.M. n. 55 del 2014 (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.). Con riferimento all’art. 4, comma 8, D.M. n. 55 del 2014 rileva la ricorrente che il legislatore ha previsto un’ipotesi di soccombenza qualificata riconoscibile ex ufficio dal giudice, avente una duplice finalità: non solo scoraggiare pretestuose resistenze processuali, ma soprattutto valorizzare l’abilità tecnica del difensore. Pertanto, non rileva che si tratti di un aumento facoltativo rimesso alla discrezionalità del giudice, posto che resta il suo dovere motivazionale al riguardo, indicando le ragioni che hanno determinato l’esercizio del potere discrezionale.
Il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, per evidente connessione logica, e sono entrambi infondati.
Si denuncia l’omessa pronuncia su l mancato riconoscimento della maggiorazione per manifesta fondatezza delle proprie tesi difensive. Tale maggiorazione è prevista dal comma 8 dell’art. 4 del D.M. n. 55/2014, secondo cui «il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito può essere aumentato fino a un terzo
rispetto a quello altrimenti liquidabile quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate». Si tratta di un aumento non obbligatorio, che può essere riconosciuto dal giudice e che nel caso in esame non è stato inserito, ragion per cui deve rilevarsi che la Corte d ‘A ppello abbia ritenuto implicitamente -così rimanendo esclusa anche la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. -di escluderne la spettanza all’esito della fase di opposizione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22342 del 2023).
Si denuncia, altresì, il mancato aumento per l’utilizzo di tecniche informatiche nella redazione degli atti. L’art. 4, comma 1 -bis, del D.M. n. 55 del 2014 prevede l’aumento del 30% del compenso «di regola» e sempre che gli atti depositati con modalità telematiche effettivamente consentano la rapida ricerca testuale degli atti stessi e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno di essi. L’aumento è rimesso all’esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, orientato da un apprezzamento di fatto sulle tecniche informatiche in concreto adoperate dal difensore nel deposito telematico e perciò sindacabile in sede di legittimità solo se, a monte, sia dimostrato che tali tecniche redazionali informatiche siano state effettivamente usate. Nel caso di specie, dal ricorso non è reso palese che la tecnica informatica redazionale adottata dall’opponente consentisse la ricerca testuale all’interno del ricorso e all’interno dei documenti allegati (tra le tante, di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15521 del 2024).
10. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, occorre disporre quanto segue: deve essere accolto il ricorso incidentale, e decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti, va disposta l’ elisione -dal provvedimento impugnato -della condanna al pagamento dell’equo
indennizzo, riconosciuto in favore della COGNOME, (anche) a carico del ricorrente Ministero della Giustizia, così restando ferma, in via esclusiva, la condanna del solo MEF a detto pagamento in tal modo pronunciando sul merito con la presente decisione; va rigettato il ricorso principale.
S ussistono i presupposti per l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità fra tutte le parti, stante l’evocazione in giudizio da parte della ricorrente di entrambe le Amministrazioni fin dal merito, con la conferma delle spese liquidate a vantaggio della COGNOME con l’impugnato provvedimento (e ferma rimanendo la già disposta distrazione in favore del difensore antistatario), da porsi a carico del solo MEF, con compensazione nei confronti del Ministero della giustizia.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso incidentale e rigetta il ricorso principale;
cassa il decreto impugnato in relazione al ricorso incidentale accolto e, decidendo nel merito, condanna il solo Ministero dell’Economia e delle Finanze (con esclusione di ogni responsabilità per il ricorrente incidentale Ministero della Giustizia) al pagamento dell’indennizzo come riconosciuto nella misura di euro 1.000,00, oltre interessi legali dalla domanda, in favore di COGNOME NOME con la conferma delle spese liquidate a vantaggio di quest’ultim a con l’impugnato provvedimento (e ferma rimanendo la già disposta distrazione in favore del difensore antistatario), spese da porsi a solo carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze , compensate le spese processuali di merito rispetto al Ministero della giustizia;
compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile del