Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14758 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14758 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7982-2023 proposto da:
U.P.P.I. – RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1155/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/12/2022 R.G.N. 209/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N. 7982/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 22/01/2025
CC
del 22/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 290/2022 il Tribunale di Milano aveva dichiarato ‘il difetto di legittimazione passiva (di) U.P.P.I. RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Ancona, INDIRIZZO; nulla sulle spese’. Tanto in giudizio introdotto da COGNOME NOME con ricorso in cui aveva proposto una serie di domande, gradatamente formulate, in ordine al licenziamento per giusta causa a lui intimato e, in subordine, per il caso di accertamento della cessazione del rapporto di lavoro tra le parti; giudizio nel quale nessuno si era costituito quale parte convenuta.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’Appello di Milano, nella ritenuta contumacia anche in secondo grado di RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Milano, in riforma della suddetta sentenza di primo grado, impugnata dal COGNOME, dichiarava l’illegittimità del licenziamento a lui intimato per giusta causa e, per l’effetto, condannava l’U.P.P.I. a corrispondere all’appellante la somma di € 15.015,00 lordi a titolo di indennità di cui all’art. 8 L. n. 604 del 1966, nonché € 2.502,50 lordi a titolo di indennità sostitutiva del preavviso; condannava, inoltre, l’appellata al pagamento di ulteriori somme in dettaglio indicate per vari titoli.
Per quanto qui interessa, secondo la Corte territoriale doveva ritenersi legittimata passiva in questa causa U.P.P.I. –RAGIONE_SOCIALE con C.F. P_IVA, con sede legale in INDIRIZZO –
20129 Milano.
Procedeva, quindi, ad esaminare nel merito le varie domande proposte dal lavoratore appellante, che accoglieva nei termini e nei limiti specificati in motivazione e in dispositivo.
Avverso tale decisione U.P.P.I. –RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e successiva memoria.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve darsi conto che la ricorrente anche in questa sede aveva chiesto la riunione del presente giudizio a quello R.G. n. 16755/2022, relativo al ricorso per cassazione che la stessa U.P.P.I. aveva proposto avverso l’ordinanza n. cronologico 1909/2022, depositata il 16.5.2022, che la Corte d’appello di Milano aveva reso nel corso del medesimo giudizio in cui è stata poi emessa la sentenza qui impugnata.
1.1. Ebbene, con ordinanza 13.3.2024, n. 6635, questa Corte ha dichiarato inammissibile quel ricorso per cassazione avverso la citata ordinanza, sul rilievo che ‘la corte di merito, nel disporre la notifica del ricorso e del decreto di fissazione di udienza a soggetto che aveva ritenuto, allo stato degli atti, titolare del rapporto in questione, aveva emesso un provvedimento di natura non definitoria della questione ed ancor meno del giudizio, ben potendo, all’esito dell’andamento del processo, assumere una differente decisione’; aggiungendo, tra l’altro, che doveva ritenersi assorbita anche
l’istanza di riunione, stante la valutata inammissibilità del ricorso.
1.2. Pertanto, non vi è luogo a provvedere anche in questa sede sull’istanza di riunione originariamente avanzata dalla ricorrente.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c.: ‘Violazione di legge rispetto all’art. 101 c.p.c.’. Secondo la stessa, ‘la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui ha dichiarato RAGIONE_SOCIALE parte processuale nonostante la medesima non sia stata mai convenuta in giudizio dalla controparte ai sensi e per gli effetti dell’art. 101 c.p.c.’. Per la stessa, infatti, ‘il Signor COGNOME non ha mai identificato altro soggetto all’infuori di UPPI Ancona quale titolare passivo del rapporto soggettivo oggetto di giudizio’.
Con il secondo motivo denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. ‘Violazione di legge rispetto agli artt. 157, 164 e 291 c.p.c.’. Secondo la ricorrente, la stessa sentenza <>.
Con un terzo motivo denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. ‘Violazione di legge rispetto all’art. 112 c.p.c.’. Per la ricorrente, la Corte ha erroneamente ‘condannato RAGIONE_SOCIALE Milano a pagare al Signor COGNOME le Somme da Restituire in assenza di
domanda del ricorrente, così incorrendo nel vizio di ultrapetizione ai sensi dell’art 112 c.p.c.’, perché il ricorrente si era ‘limitato a formulare domanda di accertamento negativo circa la debenza ad RAGIONE_SOCIALE Milano delle Somme da Restituire’.
Con un quarto motivo denuncia ex art. 360 n. 5 c.p.c. ‘Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio’. Deduce che ‘la condanna di RAGIONE_SOCIALE Milano al pagamento delle Somme da Restituire disposta dalla Corte d’appello d i Milano in favore del Signor COGNOME è, altresì, fondata su un grossolano errore di valutazione di un fatto decisivo dedotto in giudizio dallo stesso ricorrente’, perché, ‘contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, le Somme da Restituire non sono state affatto ‘trattenute’ da p arte di RAGIONE_SOCIALE Milano, ma sono state integralmente pagate da quest’ultima in favore del Signor COGNOME prima dell’introduzione del giudizio di primo grado’.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente per connessione, sono infondati.
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, espresso più volte, anche a Sezioni Unite, la legitimatio ad causam , attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, mentre l’effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite (così, tra le altre, Cass., sez. un., n. 34452/2023 in motivazione; sez. un., 16.2.2016, n. 2951; sez. lav., 12.6.2016, n. 17092). Cass., sez. un, 4.6.2021, n. 15575, ha specificato che trattasi di una condizione dell’azione diretta ad ottenere dal giudice una qualsiasi decisione di merito (sia essa favorevole o contraria), risolvendosi nella
titolarità del potere o del dovere di promuovere o di subire un giudizio, indipendentemente dalla sussistenza e titolarità effettiva, attiva o passiva, del rapporto giuridico di diritto sostanziale dedotto in giudizio. E, diversamente dalla questione della titolarità passiva del rapporto (che implica indagini di fatto e decisioni di merito), la legittimazione passiva deve essere verificata con riguardo alla sola formulazione della domanda e al rapporto in essa istituito tra il convenuto e la fattispecie dedotta quale causa petendi .
Nell’impugnata sentenza la Corte ha osservato che il Tribunale, pur avendo concesso, su richiesta dello stesso ricorrente, termine perentorio per la rinnovazione della notifica ad ‘ U.P.P.I. –RAGIONE_SOCIALE con C.F.: P_IVA, con sede legale in INDIRIZZO -20129 Milano ‘, aveva ‘però ritenuto di non poter dichiarare la contumacia, rilevando invece la carenza di legittimazione passiva dell’associazione convenuta, non essendovi coincidenza tra quella indicata nel ricorso e quella destinataria della notifica’.
8.1. La Corte, nel non condividere tale soluzione, ha, tra l’altro, rilevato ‘come svariati elementi indicati nel ricorso di primo grado nonché numerosi documenti prodotti non potessero lasciare dubbi sull’identificazione del datore di lavoro del ricorrente e, pertanto, sulla relativa legittimazione passiva’.
Dopo aver indicato in dettaglio tali elementi (cfr. pag. 10 della sentenza), ha considerato che essi, ritenuti ‘inequivoci’ ‘-uniti alla notificazione del ricorso presso la sede di Milano dell’associazione inducono a ritenere che non potesse residuare alcun dubbio circa la corretta indicazione del datore
di lavoro chiamato in giudizio’.
Da tanto derivava per la Corte che, ‘in riforma della sentenza impugnata, deve ritenersi legittimata passiva in questa causa U.P.P.I. –RAGIONE_SOCIALE con C.F. P_IVA, con sede legale in INDIRIZZO -20129 Milano’.
Ritiene il Collegio che, in punto di legittimazione passiva ad causam della convenuta, tali considerazioni della Corte distrettuale siano aderenti ai principi di diritto dianzi premessi, in quanto si fondano sulla formulazione delle domande dell’attore e sulla relativa prospettazione versata nel ricorso introduttivo del giudizio. La stessa Corte, invero, aveva più estesamente riferito in narrativa tale prospettazione (cfr. pagg. 25 dell’impugnata sentenza), comprensiva del testo della nota di contestazione disciplinare che l’istante riportava nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, e che contiene l’indicazione di ‘RAGIONE_SOCIALE Milano’ (cfr. inizio di pag. 3).
Nota, allora, il Collegio che praticamente tutte le argomentazioni della ricorrente prescindono, invece, da tale prospettazione. In particolare, la stessa assume costantemente nell’atto d’impugnazione in esame che il lavoratore avrebbe identificato ‘RAGIONE_SOCIALE Ancona quale soggetto convenuto in giudizio’, laddove la denominazione ‘RAGIONE_SOCIALE Ancona’ non compare mai neanche negli stralci del ricorso introduttivo che la ricorrente a più riprese riporta in fotoriproduzione nel corpo del ricorso per cassazione.
Dall’intestazione di quell’atto risultava, piuttosto, che il lavoratore intraprendeva il giudizio ‘CONTRO U.P.P.I. –RAGIONE_SOCIALE (C.F.
P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede legale in Ancona, INDIRIZZO e sede amministrativa ed operativa in Milano, INDIRIZZO
11 . Quest’ultimo rilievo introduce all’esame del connesso secondo motivo di ricorso.
Da quanto dedotto e documentato dalla stessa ricorrente per cassazione (cfr. in particolare la copia notificata degli atti introduttivi del primo grado) risulta quanto segue: a) con istanza datata 21.9.2021 i difensori dell’attore, rappresentando di aver omesso ‘di notificare nei termini di legge il ricorso ed il decreto di fissazione di udienza nella sede legale della convenuta’, chiedevano al giudice adito di ‘disporre il differimento dell’udienza per consentire ai sottoscritti legali di provvedere a notificare il ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. ed il decreto di fissazione di udienza presso la sede legale della convenuta sita in Milano, INDIRIZZO; b) il giudice procedente, con decreto in data 24.9.2021, ‘al fine di consentire la notifica del decreto di fissazione di udienza presso la sede legale della convenuta sita in Milano, INDIRIZZO, fissava ‘l’udienza del 15 dicembre 2021 ore 9,30’; c) il ricorso introduttivo, l’originario decreto di fissazione di udienza, l’istanza e l’ulteriore decreto ora detti, come pure constatato nell’impugnata sentenza (cfr. pag. 9 della stessa), erano, quindi, notificati dall’Ufficiale Giudiziario il 30.9.2021 all’U.P.P.I. –RAGIONE_SOCIALE con C.F. P_IVA, con sede legale in INDIRIZZO -20129 Milano.
Ebbene, condivisibilmente la Corte di merito ha ritenuto che tale notificazione ‘ha determinato ex tunc la
sanatoria dei vizi del ricorso ex art. 164 c. 2 c.p.c.’, perché ‘ha raggiunto lo scopo di mettere a conoscenza la predetta associazione della sua chiamata in causa, senza che potesse residuare alcun dubbio sulla compiuta identificazione della controparte’.
13.1. In particolare, le uniche indicazioni fuorvianti contenute nell’intestazione del ricorso introduttivo (ossia, il codice fiscale pertinente alla sede di Ancona dell’associazione e l’indicazione di tale sede quale ‘sede legale’, con la contestuale indicazione di quella di INDIRIZZO in Milano quale ‘sede amministrativa ed operativa’) erano state ovviate e sostituite dall’univoca indicazione -sia nell’istanza di parte del 21.9.2021, sia nel nuovo decreto di fissazione di udienza del 24.9.2021, sia, infine, nella relata di notifica del 30.9.2021 -della sede di ‘INDIRIZZO 20129 Milano’ quale sede ‘legale’ dell’ ‘U.RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA)’.
Non essendo intervenuta in precedenza alcuna notificazione del ricorso introduttivo e dell’originario decreto di fissazione di udienza, e non essendosi costituito alcuno per l’associazione convenuta, correttamente la Corte di merito ha fatto riferimento al principio delineato dal comma secondo dell’art. 164 c.p.c. (le cui previsioni trovano applicazione anche nel rito del lavoro: Cass. S.U. n. 11353/2004; Cass. nn. 4557/2009; 896/2014; v. anche di recente, ex multis , nella motivazione Cass. n. 24392/2024).
In particolare, l’indicazione in ricorso di una sede legale e di un codice fiscale errati poteva indurre assoluta incertezza, non su chi fosse prospettato in ricorso come legittimato passivo nei termini avanti chiariti, bensì sul soggetto da
convenire in giudizio.
Il relativo rilievo del giudice di primo grado non è stato esplicitato in termini di nullità nel decreto con il quale è stata fissata la nuova udienza, era però nondimeno chiaro in tale provvedimento perché lo stesso giudice, non si era limitato a rifissare altra udienza, ma, su analoga richiesta di parte, aveva tanto disposto ‘al fine di consentire la notifica del decreto di fissazione di udienza presso la sede legale della convenuta sita in Milano INDIRIZZO‘.
In relazione al terzo ed al quarto motivo di ricorso, il controricorrente ha prospettato la sopravvenuta cessazione della materia del contendere.
13.1. In particolare, ha fatto presente che ‘alla prima udienza relativa al giudizio iscritto a R.G. 1303/2023 (giudizio relativo al recupero del credito del controricorrente nei confronti della ricorrente di cui alla gravata sentenza) tenutasi innanzi il Tribunale di Milano -Sezioni Esecuzioni il 23 marzo 2023, come risulta dal verbale di udienza, il controricorrente -tramite i propri legali -dichiarava la non debenza in suo favore dell’importo di € 33.605,38 lordi già incluso negli atti di precetto e pignoramento, non debenza che si ribadisce nel presente giudizio’.
Ha anche documentato tali circostanze mediante copia del cennato verbale d’udienza del 23 marzo 2023 relativo alla suddetta causa innanzi al Tribunale di Milano -Sezioni Esecuzioni.
13.2. In proposito, la ricorrente, pur avendo considerato tale richiesta della controparte nella propria memoria difensiva (cfr. pag. 3 della stessa), ha dedotto e richiesto quanto segue:
‘In subordine, considerata la pacifica adesione di controparte ai motivi di gravame dedotti, si chiede che codesta Corte voglia, in accoglimento del terzo e/o quarto motivo di gravame CASSARE’ la sentenza impugnata.
Osserva il Collegio che il controricorrente non ha propriamente ‘aderito’ ai suddetti motivi di ricorso, che, del resto, per come formulati, attengono ad errores in procedendo , bensì ha ribadito la non debenza in proprio favore (già riconosciuta nel cennato distinto procedimento davanti al Tribunale di Milano) dell’importo di € 33.605,38 lordi, ossia, il fatto di diritto sostanziale sotteso alle censure di cui al terzo e quarto motivo di ricorso; il che induce l’inammissibilità di tali due motivi per sopravvenuta carenza d’interesse della ricorrente a veder decisi gli stessi motivi.
Tenendo conto, pertanto, dell’esito del giudizio di cassazione e, segnatamente, del dato sopravvenuto testé evidenziato, la ricorrente va condannata al pagamento di metà delle spese del presente giudizio, liquidate per intero come in dispositivo, con conseguente compensazione tra le parti della restante metà di dette spese. La ricorrente, inoltre, è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso e dichiara inammissibili il terzo ed il quarto motivo per sopravvenuta carenza di interesse in relazione all’importo di € 33.605,38 lordi. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, di metà delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per intero in € 6.000,00 per compensi
professionali, oltre € 200,00 per esborsi, rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, compensando tra le parti la restante metà di dette spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del