Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6845 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6845 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6234/2021 r.g. proposto da:
Costi COGNOME Lorena, COGNOME Meri e COGNOME rappresentati e difesi , congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative a questo procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-ricorrenti –
contro
Ferrovie Emilia Romagna (FER), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo
studio dell’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere tutti gli avvisi e le comunicazioni di cancelleria agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 201/2021, depositata il 2/2/2021
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
1. Il Comune di Casalgrande con la nota del 13/2/2009 comunicava a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME l’avvenuta approvazione di un progetto per la realizzazione «di opere di viabilità sostitutiva nei comuni di Casalgrande (RE) e Scandiano (RE) per la soppressione di passaggi a livello lungo la linea ferroviaria in concessione tra Sassuolo-Reggio Emilia» e di realizzazione di ‘sottopassi’, con conseguente dichiarazione di pubblica utilità.
Gli attori citavano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE evidenziando che l’opera progettata avrebbe provocato effetti impattanti sulla loro proprietà, venendone sconvolti gli accessi con assetto completamente modificato del giardino e della parte antistante.
Il progetto veniva modificato sicché gli attori constatavano che il sottopasso ferroviario era stato realizzato in posizione arretrata rispetto alla loro proprietà, non più oggetto dunque del procedimento ablativo.
Tuttavia, il nuovo stato dei luoghi, comunque, in esito agli eseguiti lavori per la «viabilità pubblica», aveva comportato l’eliminazione del precedente spazio di manovra dinanzi agli accessi
carrai, determinando la «perdita o ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà», così come previsto dall’art. 40, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, trattandosi di un’ipotesi di «espropriazione larvata».
Si costituiva in giudizio la FER sollevando preliminarmente l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, in quanto l’opera era stata realizzata nell’interesse del Comune di Casalgrande; vi era stata concentrazione in capo all’ente locale territoriale della qualifica di «autorità espropriante», «beneficiario dei lavori» e «proprietario» dei beni oggetto dell’intervento urbanistico.
Pertanto, spettava al Comune corrispondere la relativa indennità agli attori.
Il tribunale di Reggio Emilia, con sentenza n. 1376/2016, depositata il 21/10/2016, rigettava la domanda degli attori.
Con un unico motivo di impugnazione gli attori proponevano appello, chiedendo accertarsi la legittimazione passiva in capo alla FER.
Precisavano che sebbene nella comunicazione inviata loro il Comune di Casalgrande era l’autorità espropriante, delegata dunque a svolgere tutte le attività prodromiche e strumentali al procedimento espropriativo, tuttavia la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera era intervenuta solo con provvedimento prot. n. 312953, di cui alla determinazione n. 16746 del 31/12/2008 della Regione Emilia-Romagna.
Non si trattava di un’opera pubblica di interesse e/o competenza comunale, ma di «opera riguardante la linea ferroviaria, in concessione regionale».
La Corte d’appello di Bologna rigettava il gravame, con sentenza n. 201/2021, depositata il 2/2/2021.
In particolare, evidenziava come, in caso di partecipazione ai lavori di enti diversi, il soggetto chiamato a corrispondere l’indennità doveva essere individuato con esclusivo riferimento al decreto di espropriazione.
Analogo principio andava applicato anche nell’ipotesi di espropriazione larvata di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 327 del 2001.
La RAGIONE_SOCIALE risultava solo l’esecutrice materiale dei lavori di realizzazione dell’opera pubblica, mentre il Comune di Casalgrande risultava il soggetto beneficiario dell’espropriazione, e quindi tenuto a corrispondere l’indennità agli attori.
Ciò emergeva dalla determinazione n. 370 del 15/7/2010, nella quale era «inequivocabile l’assunzione da parte del Comune di Casalgrande della qualifica sia di ‘autorità espropriante’ che di ‘beneficiario dell’espropriazione’.
Si leggeva, in particolare, nella determinazione che «per ‘autorità espropriante’, si intende l’autorità amministrativa del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, di seguito è da intendersi Comune di Casalgrande; per ‘beneficiario dell’espropriazione’ si intende il soggetto pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio, di seguito è da intendersi Comune di Casalgrande».
Del resto, gli attori avevano avuto come unico interlocutore, nella fase precedente alla realizzazione dell’opera pubblica, il solo comune di Casalgrande. Tanto è vero che proprio il Comune aveva comunicato agli attori il progetto per la realizzazione dell’opera pubblica e gli stessi si erano rivolti proprio all’ente territoriale, tramite loro tecnico di fiducia, per rappresentare il grave effetto impattante che l’opera pubblica avrebbe arrecato alla loro proprietà.
Inoltre, l’opera pubblica «era evidentemente mirata a migliorare in via sostitutiva la viabilità stradale comunale», garantendo una
maggiore fluidità e sicurezza al traffico veicolare cittadino, e non ferroviario, sicché era evidente che beneficiario dell’espropriazione era proprio il Comune di Casalgrande, quale titolare dell’opera pubblica o, comunque, «collegato con il suo funzionamento e/o esercizio/gestione».
Per la Corte territoriale, dunque, l’opera non era un intervento riconducibile a competenze proprie della Regione, e tantomeno della FER, consistendo invece «in un lavoro di rifacimento dell’assetto della strada comunale rispetto al quale il Comune di Casalgrande si qualificava soggetto-beneficiario, oltre che proprietario, gestore, fruitore».
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli attori, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono «sui motivi posti a base del ricorso per cassazione. Violazione e/o falsa applicazione con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., di norme di diritto con lo specifico richiamo dell’art. 3 del d.P.R. 327/2001, nonché dell’art. 6 e dell’art. 36quater rispettivamente della legge regionale 37/2002 e della legge regionale 20/2000».
Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti censurano «l’omesso esame con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
La Corte territoriale si sarebbe limitata a «duplicare quanto ritenuto dal tribunale di Reggio Emilia, senza riservare la minima attenzione alle critiche rivolte alla sua pronuncia».
Per i ricorrenti, in particolare, l’art. 36quater della legge Regione Emilia-Romagna n. 20 del 2000, entrato in vigore il 22 luglio 2009, riprende, seppure in diversi termini, la suddivisione di funzioni e/o competenze come già delineata dall’art. 3 del d.P.R. n. 327 del 2001.
Il riferimento normativo attiene alla individuazione di amministratore precedente, ossia «la Regione, la provincia, o il Comune, che promuove lo svolgimento del procedimento unico per le proprie opere ovvero su richiesta del soggetto proponente».
Nella nota del Comune di Casalgrande del 13/2/2009, sarebbero richiamati «gli atti di FER e della Regione Emilia-Romagna, con i quali ‘è stato approvato il progetto per la realizzazione dei lavori in questione e dichiarata la pubblica utilità dell’opera in oggetto’».
Sarebbe a questo punto delineata la differenza di funzioni svolte dal Comune (quale autorità espropriante) e quelle effettuate da FER, quale soggetto proponente ai sensi dell’art. 36quater legge regionale Emilia-Romagna 20 del 2000 o promotore dell’espropriazione in base all’art. 3 del d.P.R. n. 327 del 2001.
Ciò sarebbe dimostrato dalla circostanza che RAGIONE_SOCIALE avrebbe «provveduto ad eseguire, oltre che finanziare, i relativi lavori».
Erroneamente la Corte d’appello ha affermato che «FER non ha avuto alcuna delega di poteri ablatori da parte dell’ente comunale».
Chiosano i ricorrenti che «il che è certamente vero dal momento che i ruoli, tra i comuni e Fer, sono rimasti sempre ben distinti e/o divisi; ognuno operando nell’ambito delle proprie specifiche prerogative».
Sarebbe erronea l’ulteriore affermazione – fatta sia dal tribunale che dalla Corte d’appello – secondo cui «nel comune di Casalgrande sarebbe ‘concentrata la qualifica di autorità espropriante e beneficiario dell’espropriazione».
Il che rappresenterebbe una palese contraddizione in termini, «visto che si riconosce la suddivisione di ruoli predetta».
Ad avviso dei ricorrenti, poi, «l’opera da realizzare è tanto poco comunale da essere stata approvata nel relativo progetto (come comunicato dal Comune) da Regione e FER, con conseguente dichiarazione di pubblica utilità dei lavori relativi».
Per i ricorrenti, dunque, i lavori sarebbero stati «appaltati, eseguiti, finanziati prima e pagati dopo, da Fer, senza che il Comune abbia avuto al riguardo un qualche coinvolgimento».
L’opera, dunque, a giudizio del ricorrente, «rientrava nella competenza» della FER.
I ricorrenti, poi, richiamano la pronuncia della Corte di cassazione n. 14527 del 2016, che avrebbe puntualizzato il principio per cui in materia di espropriazione per pubblica utilità, le autorità amministrative, quali il prefetto, il presidente della giunta regionale e il sindaco, che pure hanno emesso il decreto di esproprio, devono rimanere estranee giudizio oppositivo alla stima, «non essendo tali autorità identificabili con l’espropriazione e neppure la loro attività riferibile, in base ad un rapporto di immedesimazione organica, all’amministrazione d’appartenenza».
Il primo motivo è inammissibile.
4.1. In primo luogo, il motivo non rispetta i requisiti di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c., non essendo stato trascritta, neppure per stralcio, la determina n. 370 del 15/7/2010.
4.2. Inoltre, il motivo, pur formalmente articolato come violazione di legge, in realtà chiede una nuova valutazione dei medesimi elementi istruttori, già compiuta in sede di merito, tra l’altro in modo conforme sia dal tribunale che dalla Corte d’appello, non nuovamente valutabile in questa sede.
4.3. Il motivo risulta anche connotato da aspetti di novità, in quanto la normativa regionale non risulta menzionata in alcun modo nella motivazione della sentenza della Corte d’appello impugnata, sicché vengono poste a questa Corte questioni sostanzialmente nuove.
Vale, dunque, il principio per cui, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass., sez. 2, 24/1/2019, n. 2038; Cass., sez. 2, 24/1/2019, n. 2028, nel caso in cui una determinata questione giuridica non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata).
Nella specie, il ricorso per cassazione non contiene alcuna indicazione in ordine al momento o all’atto processuale in cui i ricorrenti, nei giudizi di merito, avrebbero sollevato la questione relativa alle norme applicabili alla fattispecie in esame.
4.4. Inoltre, altro profilo di inammissibilità si rinviene nel fatto che i ricorrenti reputano pacifiche una serie di circostanze in fatto, senza però indicare gli elementi processuali da cui debba trarsi tale convincimento.
Per questa Corte, infatti, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di
indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass., sez. 6-3, 4/4/2022, n. 10761; Cass., sez. 6-1, 12/10/2017, n. 24062).
5. Il quadro normativo regionale, peraltro, risulta assolutamente in linea con la disciplina generale di cui al d.P.R. n. 327 del 2001.
L’art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. n. 327 del 2001, dispone che «per ‘autorità espropriante’, si intende, l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma».
L’art. 3, comma 1, lettera c), poi, prevede che «per ‘beneficiario dell’espropriazione’, si intende il soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio».
Il beneficiario dell’espropriazione è, quindi, il soggetto in favore del quale viene emesso il decreto di esproprio, e che dunque acquisisce in esito ad esso la titolarità del bene.
L’art. 3, comma 1, lettera d), stabilisce che «per ‘promotore dell’espropriazione’, si intende il soggetto, pubblico o privato, che chiede l’espropriazione».
Promotore dell’espropriazione è dunque il soggetto che richiede l’emanazione dei provvedimenti espropriativi; in genere le tre figure coincidono e l’identità tra autorità amministrativa espropriante e autorità competente alla realizzazione dell’opera crea l’unione tra queste figure.
Si chiarisce, poi, l’art. 6 del d.P.R. n. 327 del 2001 il principio di parallelismo delle competenze, a mente del quale «l’autorità competente alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità è anche competente alla emanazione degli atti del procedimento espropriativo che si rende necessario».
Si è abbandonato, dunque, definitivamente lo schema di «terzietà» della legge fondamentale del 1865 e si è scelta la diversa opzione della «strumentalità» dell’espropriazione rispetto alla finalità principale della realizzazione dell’opera.
Con l’art. 6 del d.P.R. n. 327 del 2001 la nuova struttura delle competenze risulta ispirata ai principi di accessorietà della procedura espropriativa rispetto alla procedura principale di realizzazione dell’opera.
5.1. Anche la legislazione regionale successiva (n. 6 del 2009) che ha inserito all’interno della legge regionale n. 22 del 2000, gli articoli 36bis seguenti, prevedono che la Regione abbia esclusivamente un ruolo di coordinamento nell’ambito dei lavori pubblici da effettuare.
Le disposizioni di cui alla legge regionale n. 6 del 2009, ovviamente, ratione temporis, non possono trovare applicazione nella fattispecie in esame.
Gli articoli 36bis seguenti fanno riferimento al «procedimento unico per l’approvazione dei progetti di opere pubbliche di interesse pubblico».
Del resto, ai sensi dell’art. 4 della legge Regione Emilia-Romagna n. 37 del 2002 «la Regione svolge la funzione di coordinamento dell’esercizio dei compiti in materia di espropri, garantendone la gestione unitaria».
Allo stesso modo, l’art. 5 della legge Regione Emilia-Romagna n. 22 del 2000 prevede che «la Regione può adottare atti di indirizzo e coordinamento in merito alle funzioni espropriative; atti di coordinamento tecnico; direttive volte a regolare l’esercizio delle funzioni espropriative esercitate dai comuni e dai soggetti attuatori ai sensi degli articoli 6 e 6bis della presente legge».
Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla legge regionale Emilia-Romagna n. 37 del 19/12/2002.
In particolare, l’art. 3 della legge Regione Emilia-Romagna n. 37 del 2002, inserito tra i principi generali in materia di espropri, stabilisce che «l’autorità competente alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità è altresì competente alla emanazione degli atti relativi alle procedure espropriative che si rendano necessarie, fatti salvi i conferimenti di cui all’art. 6».
Viene dunque ribadito il principio del parallelismo tra l’autorità cui compete la realizzazione dell’opera pubblica e quella competente alla emanazione degli atti relativi alle procedure espropriative che si rendono necessarie.
Senza contare che l’art. 1 della legge regionale Emilia-Romagna n. 37 del 2002 conferma che «la presente legge persegue l’obiettivo di armonizzare la disciplina prevista dal decreto del presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327».
Non v’è dubbio, dunque, che i principi cui si ispira la legge regionale Emilia-Romagna n. 37 del 2002 sono i medesimi disegnati dal d.P.R. n. 327 2001.
Ed infatti, l’art. 5 del d.P.R. n. 327 del 2001 conferma che «le regioni a statuto ordinario esercitano la potestà legislativa concorrente, in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di propria competenza, nel rispetto dei principi fondamentali della legislatore statale ».
Si chiarisce, poi, l’art. 6 della legge Regione Emilia-Romagna n. 37 del 2002 che «fatto salvo quanto previsto dall’art. 6bis , le funzioni amministrative relative ai procedimenti di espropriazione per la realizzazione di opere pubbliche regionali sono conferite ai comuni, che le esercitano in conformità alle disposizioni della presente legge».
L’art. 6bis (Opere di difesa del suolo e di bonifica), poi, al comma 3 stabilisce che «per le opere e i lavori di competenza regionale, affidati ai soggetti attuatori di cui all’art. 9, comma 2, lettere a) e b) della legge regionale 24 marzo 2000, n. 22 le procedure espropriative sono attuate dai medesimi soggetti attuatori».
Di particolare rilievo risulta l’art. 9 della legge Regione EmiliaRomagna n. 22 del 2000, ai sensi del quale «la Regione può affidare la realizzazione di opere e lavori pubblici di propria competenza: b) a Consorzi di bonifica nonché ad enti pubblici ed aziende dipendenti dalla Regione, qualora sussistano esigenze di carattere organizzativo funzionale».
Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE, quale azienda dipendente dalla Regione, può risultare affidataria della realizzazione di opere lavori pubblici di competenza della Regione.
7. Nella specie, la Corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha chiarito, con pieno giudizio meritale, che l’opera realizzata dalla FER non riguardava la Regione Emilia-Romagna, ma era relativa al miglioramento della viabilità stradale del Comune di Casalgrande («l’opera pubblica era evidentemente mirata a migliorare in via sostitutiva la viabilità stradale comunale, garantendo – come osservato dalla Società convenuta – una maggiore fluidità e sicurezza al traffico veicolare cittadino, e non ferroviario, sicché appare evidente che beneficiario dell’espropriazione si conferma essere il Comune di Casalgrande, unico soggetto chiamato dunque a rispondere di eventuali richieste di indennità, proprio perché titolare dell’opera pubblica o, comunque, collegato con il suo funzionamento e/o esercizio/gestione»).
Non si trattava di effettuare opere sulla ferrovia che, anzi, usciva del tutto indenne dai lavori, che inerivano essenzialmente alla
costruzione di sottopassi da realizzare al di sotto della ferrovia, in modo da eliminare i restanti passaggi a livello.
La Corte di merito ha anche riportato e trascritto il passaggio della determina n. 370 del 15/7/2010, da cui risulta che il beneficiario delle opere è proprio il Comune di Casalgrande.
Si legge, infatti, nella determinazione n. 370 del 15/7/2010 che «per ‘autorità espropriante’, si intende l’autorità amministrativa del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, di seguito è da intendersi Comune di Casalgrande; per ‘beneficiario dell’espropriazione’ si intende il soggetto pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio, di seguito è da intendersi Comune di Casalgrande».
Di qui, la corretta conclusione della Corte d’appello per cui «l’opera in questione non era un intervento riconducibile a competenze proprie della Regione, e tantomeno della RAGIONE_SOCIALE Ferrovie Emilia-Romagna RAGIONE_SOCIALErRAGIONE_SOCIALE, consistendo invero in un lavoro di rifacimento dell’assetto della strada comunale rispetto al quale il Comune di Casalgrande si qualificava soggetto-beneficiario, oltre che proprietario, gestore, fruitore».
8. Va, dunque, richiamata e condivisa la giurisprudenza di questa Corte per cui parte del rapporto espropriativo ed obbligato al pagamento dell’indennità verso il proprietario espropriato, e come tale legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima che sia stato da quest’ultimo proposto, è il soggetto espropriante, vale a dire quello a favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione, e ciò anche nell’ipotesi in cui più enti abbiano concorso alla realizzazione dell’opera pubblica, a meno che, in tal caso, dal decreto di espropriazione non emerga che il potere di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti sia stato conferito ad un altro ente, al quale sia stato attribuito, in virtù di legge o di atti
amministrativi e mediante figure sostitutive di rilevanza esterna, il compito di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative, con l’imposizione dell’obbligo di sopportare i relativi oneri (Cass., sez. 1, n. 25848 del 2019; Cass., sez. 1, 25 2016, n. 10530; Cass., 18/1/2013, n. 1242; Cass., 19/7/2012, n. 12541).
Si è anche chiarito che quest’ultima fattispecie è stata ritenuta configurabile nei rapporti tra gli enti pubblici nei casi di affidamento in proprio, sostituzione o delegazione intersoggettiva (Cass., sez. 1, 9/4/2003, n. 5566; Cass., n. 28/5/1991, n. 6029) e nei rapporti con soggetti privati nel caso in cui l’esecuzione dell’opera sia stata affidata in concessione c.d. traslativa (Cass., sez. 1, 20/3/2017, n. 7104; Cass., 14/6/2016, n. 12260; Cass., 21/6/2012, n. 10390), essendosi ravvisato il fondamento dell’obbligazione indennitaria proprio nella rilevanza esterna dell’attribuzione del potere espropriativo, derivante dal conferimento dell’incarico di compiere in nome proprio gli atti del procedimento ablatorio, in virtù del quale l’unico soggetto destinato ad entrare in contatto con i proprietari espropriati e con gli altri soggetti interessati alla realizzazione dell’opera pubblica è quello che ha ricevuto il relativo incarico, non assumendo alcun rilievo, nei confronti dei terzi, la disciplina dei rapporti interni con l’ente conferente o l’eventuale sussistenza di rapporti di finanziamento con altri soggetti pubblici (Cass., sez. 1, n. 25848 del 2019).
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di questa giurisprudenza, con la possibilità di una delegazione intersoggettiva solo nelle ipotesi in cui risultava «la gestione del procedimento espropriativo interamente demandata ad un soggetto diverso da quello in favore del quale deve essere pronunciato il provvedimento conclusivo». Solo in tale ipotesi si era «in presenza di ampliamento
della platea dei soggetti tenuti al versamento dell’indennità spettante proprietari del bene non espropriato».
Tuttavia la Corte d’appello ha sottolineato che era pacifico «che beneficiario dell’espropriazione il Comune di Castelgrande, in cui è concentrata anche la qualifica di autorità espropriante, come dallo stesso dichiarato nella determina n. 370 del 15/7/2010».
Al contrario, la FER «non ha avuto alcuna delega di poteri ablatori da parte dell’ente comunale, come ben motivato dal tribunale, secondo cui ‘l’amministrazione comunale non ha attribuito alla società il potere di agire in nome proprio nell’ambito del procedimento ablativo, ma si è limitata a individuare nell’odierna convenuta il soggetto tenuto a effettuare i relativi pagamenti in veste di promotore dell’espropriazione sulla scorta delle liquidazioni contenute nei paragrafi successivi».
Quanto alla sentenza di questa Corte n. 14527 del 2016, citata dai ricorrenti, in realtà, la frase finale, contenuta nella motivazione di tale sentenza, è però preceduta dal richiamo generalizzato a tutta la giurisprudenza di legittimità precedente.
Si chiarisce, infatti, che, in tema di legittimazione passiva nei giudizi concernente la determinazione degli obblighi indennitari da occupazione nelle procedure espropriative, essa spetta «al soggetto a cui favore ed a beneficio del quale risulta adottato il provvedimento» (Cass. n. 14527 del 2016; che richiama Cass. n. 11768 del 2010; Cass. n. 539 del 2004).
Viene richiamata anche la giurisprudenza di legittimità per cui legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima è il soggetto espropriante, vale a dire quello a cui favore è pronunciato il decreto di espropriazione, anche nell’ipotesi di concorso di più enti nella attuazione dell’opera pubblica; dovendosi anche allora, nei rapporti esterni verso l’espropriato, ed indipendentemente dai rapporti interni
tra i vari enti che rilevano solo ai fini dell’eventuale rivalsa dell’uno verso l’altro, avere riguardo al soggetto che nel provvedimento ablatorio risulta beneficiario dell’espropriazione (Cass., n. 14527 del 2016; che richiama Cass. n. 176/1988; Cass., n. 6029 del 1991; Cass., n. 1242 del 2013; Cass., n. 12541 del 2012).
Il secondo motivo di impugnazione è anch’esso inammissibile.
Si è, infatti, in presenza di una doppia decisione conforme di merito, che, ai sensi dell’art. 348ter c.p.c., nella versione ratione temporis vigente, impedisce di formulare il motivo di ricorso per cassazione per vizio della motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
In tema di ricorso di cassazione, il travisamento della prova, che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, ritenuto valutabile in sede di legittimità qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 134 del 2012, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, sicché “a fortiori” se ne deve escludere la denunciabilità in caso di cd. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348ter , ultimo comma, c.p.c. (Cass., sez. L, 3/11/2020, n. 24395).
Inoltre, ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori
per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass., sez. 6-2, 9/3/2022, n. 7724).
Il giudice di prime cure, nella motivazione riportata nel controricorso, ha deciso in modo analogo alla Corte territoriale, sulla base degli stessi elementi di fatto, giungendo ad affermare che «il Comune di Casalgrande ha assunto la qualifica tanto di ‘autorità espropriante’, quanto di ‘beneficiario dell’espropriazione’ ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 327/2001».
Tanto che – prosegue il tribunale – «come si desume dal tenore letterale del punto n. 1) del provvedimento l’amministrazione comunale non ha attribuito alla società il potere di agire in nome proprio nell’ambito del procedimento ablativo, ma si è limitata individuare nell’odierna convenuta il soggetto tenuto ad effettuare relativi pagamenti in veste di promotore dell’espropriazione sulla scorta delle liquidazioni contenute nei paragrafi successivi».
Del resto – aggiunge il tribunale – «è la stessa parte attrice a chiarire nell’atto di citazione come sia stata l’amministrazione a comunicare ai soggetti interessati l’avvenuta approvazione del progetto, a provvedere conseguentemente alla dichiarazione di pubblica utilità e, soprattutto, a invitare gli stessi a fornire ogni elemento utile per la determinazione del valore da attribuire all’immobile suscettibile di espropriazione».
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dei ricorrenti e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in
complessivi euro 3.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 marzo 2025