Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1601 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1601 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME , cessionario del credito dei sigg.ri COGNOME COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bari alla INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n.1828/2021 pubblicata il 19.10.2021, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 .1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE finanziaria Obblighi informativi
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1902/2018, il Tribunale di Trani rigettava la domanda di COGNOME NOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e condannava l’attore al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente aveva agito in giudizio nelle forme del rito societario di cui al d.lgs. n. 5/2003 in qualità di cessionario dei crediti sperati nei confronti dell’istituto bancario convenuto, ceduti da COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo di accertare l’inesistenza e/o la nullità e/o la inefficacia e/o la annullabilità dei contratti di vendita di fondi di investimento, con la condanna della convenuta alla ripetizione delle somme addebitate al netto di quelle restituite oltre interessi e rivalutazione monetaria.
In subordine, aveva chiesto di accertare il grave inadempimento contrattuale e precontrattuale della convenuta per violazione delle regole imposte a tutela dei risparmiatori e per l’effetto, previa eventuale risoluzione dei relativi contratti, di condannare la banca al risarcimento dei danni con vittoria delle spese processuali.
– L’attuale ricorrente proponeva gravame, dinanzi alla Corte di Appello di Bari che con la sentenza qui impugnata rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito statuiva che:
La domanda di risarcimento del danno subito dagli investitori ed anche l’azione di ripetizione avrebbe dovuto essere proposta nei confronti del percettore delle somme investite nell’acquisto dei fondi, in base al principio secondo il quale rispetto all’azione di ripetizione di indebito oggettivo è passivamente legittimato solo il soggetto che ha ricevuto la somma che si assume essere non dovuta, come si evince dalla formulazione letterale dell’art. 2033 c.c. e, quindi, nei confronti della San RAGIONE_SOCIALE IMI RAGIONE_SOCIALE Managment.
Risultava pertanto coperta da giudicato la statuizione dei tribunale circa il difetto di legittimazione passiva della convenuta-appellata, in
base al principio secondo il quale la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa “ratio decidendi”, né contiene, quanto alla “causa petendi” alternativa o subordinata, un mero “obiter dictum”, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cessazione.
c) Il giudice di primo grado aveva osservato che laddove le parti avevano fatto riferimento a tutte le azioni esperibili “in forza del contratto”, avevano inteso le azioni dirette alla realizzazione dei crediti in mancanza di un riferimento esplicito alla possibilità da parte del cessionario, di impugnare la validità dei contratti, in quanto tale facoltà avrebbe presupposto la cessione degli stessi contratti con il subentro del COGNOME in tutte le posizioni attive e passive in essi previste. L’appellante si é limitato a ribadire la sua interpretazione del contratto di cessione senza spiegare per quale ragione la locuzione secondo la quale nella vendita erano compresi “tutti i diritti, le azioni e ragioni anche di natura processuale spettanti ai venditori in forza di contratto” consentisse al cessionario di agire anche per far dichiarare la invalidità delle operazioni di sottoscrizione dei fondi di investimento, tenuto conto che la cessione riguardava il diritto di credito sperato spettante alle cedenti, e non già il contratto di sottoscrizione del fondi di investimento, secondo l’attore invalido a causa della mancanza del contratto quadro ovvero in subordine per inadempimento dell’intermediario finanziario all’obbligo informativo; d) il giudice di primo grado dopo avere rigettato la domanda di nullità, annullamento e risoluzione dei contratti, aveva osservato che
nel proporre l’azione di risarcimento dei danni per l’inadempimento, della RAGIONE_SOCIALE, l’attore aveva subordinato l’azione solo eventualmente a quella di risoluzione benché nella comparsa conclusionale aveva argomentato che i danni erano conseguenza della risoluzione dei contratti. In precedenza il tribunale aveva mostrato di condividere l’insegnamento della corte di cessazione secondo il quale ricorre il difetto di legittimazione attiva del cessionario rispetto alla azione risarcitoria dei danni da inadempimento contrattuale che sia conseguenza della risoluzione del contratto per inadempimento; desumeva, pertanto che come prima ratio decidendi il tribunale ha escluso l’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno per inadempimento subordinata alla risoluzione dei contratti.
L’appellante non aveva impugnato tale autonoma ratio decidendi e quindi la sentenza impugnata era passata in giudicato nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda di risarcimento del danno che l’attore aveva subordinato alla risoluzione dei contratti di investimento;
Il terzo motivo di appello, tuttavia, non conteneva una adeguata critica alla osservazione svolta dal tribunale secondo la quale in mancanza di prova circa il potere di rappresentanza attribuito ai promotori finanziari COGNOME NOME e NOME COGNOME, quella della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era configurabile come responsabilità di natura extracontrattuale in quanto la RAGIONE_SOCIALE non risultava essere legata agli investitori da alcun rapporto contrattuale; g) la responsabilità diretta della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era, quindi, di natura extracontrattuale nel caso in cui la RAGIONE_SOCIALE non risultasse legata agli investitori da alcun rapporto contrattuale essendo stato concluso il contratto da un agente senza rappresentanza;
L’appellante avrebbe dovuto contestare la decisione del tribunale sotto il profilo della mancanza di prova del potere di rappresentanza attribuito dalla RAGIONE_SOCIALE convenuta ai promotori finanziari, piuttosto
che sostenere che costoro lavoravano comunque per conto della RAGIONE_SOCIALE. Infatti, anche ammessa tale circostanza, la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE convenuta per fatto per fatto attribuibile ai promotori finanziari è disciplinata dall’art. 2049 ed ha, quindi natura extracontrattuale.
–COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
4. -Con il primo motivo: Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. con riferimento art. 23 TUF, art. 112 c.p.c. nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla errata qualificazione del primo motivo di appello. La censura mossa in appello sulla sentenza di I grado era finalizzata ad accertare la validità del rapporto contrattuale di RAGIONE_SOCIALE finanziaria che aveva come parti gli investitori e la RAGIONE_SOCIALE che trasmise l’ordine a RAGIONE_SOCIALE n ell’ interesse degli investitori. Il rapporto tra i primi due era stato qualificato come raccolta e trasmissione di ordini e le azioni intraprese contro la banca derivavano dalla violazione degli obblighi nascenti da tale rapporto contrattuale e non da quelli derivanti dalla sottoscrizione delle quote di fondi che era l’attuazione del rapporto anzidetto. L’azione era rivolta così contro la RAGIONE_SOCIALE che, attraverso i suoi promotori, aveva contattato gli investitori e avevano raccolto gli ordini, poi trasmessi al gestore dei fondi.
5. Con il secondo motivo: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in ordine all’art. 23, comma 6, TUF, art. 111 Cost. e 132 c.p.c.
assenza o apparente motivazione; nullità della sentenza con riferimento alla errata qualificazione della domanda attorea. La Corte di merito avrebbe quanto meno dovuto indicare le ragioni per cui riteneva l’ eccezione infondata o irrilevante ai fini della decisione non limitandosi a fornire un’ interpretazione della sentenza per desumere una ratio decidendi in palese contrasto con quanto chiaramente espresso dal giudice di Prime Cure.
6. -Con il terzo motivo: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. con riferimento agli artt. 23 TUF, 329, 342 e art. 112 c.p.c. nullità della sentenza per extrapetizione in ordine al primo motivo di appello. il servizio finanziario reso dalla RAGIONE_SOCIALE alle attrici consistente nella raccolta ordini e trasmissioni degli ordini ricevuti delle quote dei fondi e non il successivo contratto di vendita di quote fondi in attuazione dell’ordine impartito. Sussisteva, dunque, pienamente la legittimazione attiva del sig. COGNOME sia con riferimento alle azioni costitutive del diritto di credito (previste in atto), sia anche la cessione delle azioni processuali ed accertative di nullità per la assenza di un prodromico contratto quadro di RAGIONE_SOCIALE finanziaria che può essere fatta valere da chiunque abbia interesse. La Corte di Appello ha ritenuto sussistere un ‘ autonoma ratio decidendi della sentenza di primo grado che è inesistente.
7. -Con il quarto motivo: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in ordine all’art. 342 c.p.c. – nullità della sentenza per omessa pronuncia in riferimento al primo motivo di appello e/o nullità della sentenza per violazione 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in ordine agli artt. 111 Cost e 132 c.p.c. assenza o apparente motivazione in riferimento al primo motivo di appello. in sede di Appello si censura la decisione di I grado poiché l’oggetto dell’atto notarile era più ampio di quello individuato dal Giudice di Primo grado ed esteso non solo alle azioni in forza del contratto ma anche a quelle in forza di un
titolo legale diverso da quello contrattuale. Contrariamente a quanto asserito dalla Corte di Appello il ricorrente, nell’impugnare tale capo della sentenza di primo grado, aveva rispettato i requisiti di cui all’art. 342 c.p.c. individuando le parti della sentenza da impugnare e le ragioni per cui si riteneva erronea la interpretazione data all’atto notarile da parte del Tribunale. Il Giudice di appello si è limitato a ritenere il motivo dell’appellante privo dei requisiti di cui all’art.342 c.p.c. senza tuttavia minimamente considerare i motivi dedotti dall’appellante. La motivazione della sentenza impugnata è, pertanto, assolutamente inidonee al raggiungimento dello scopo di evidenziare una motivazione percepibile come tale.
8. – Con il quinto motivo: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. con riferimento agli artt. 23 TUF, 342 e 112 c.p.c. Nullità della sentenza per extrapetizione pronuncia in ordine alla errata qualificazione al terzo motivo di appello. la convenuta banca aveva raccolto l’ordine e trasmesso lo stesso al gestore dei fondi; aveva cioè reso un servizio finanziario al cliente: il servizio di raccolta e trasmissioni degli ordini.
L’azione promossa dal ricorrente era di semplice risarcimento del danno e non di risoluzione del contratto. Con il primo motivo di appello si era censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda di risarcimento del danno subordinata alla risoluzione del contratto, con il terzo e quarto motivo di appello si era censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda di risarcimento del danno non subordinata alla risoluzione del contratto.
9. -Con il sesto motivo: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. errata applicazione di legge in ordine all’art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia e/o nullità della sentenza per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in ordine agli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c. assenza o apparente motivazione in riferimento al primo motivo di
appello. Le appellanti avevano censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva assunto il difetto di prova dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra la convenuta e le investitrici avente ad oggetto la fornitura di un servizio finanziario. la Corte di Appello non si è espressa su tale questione soffermandosi invece sulla irrilevanza (ai fini della qualificazione della natura extracontrattuale del danno subito) della prova del rapporto di lavoro tra i promotori e la convenuta.
9.1 Va nell’ordine logico esaminato anzitutto il terzo mezzo.
Esso, diretto a denunciare l’errore che la Corte d’appello avrebbe commesso nel reputare non censurata una ratio decidendi posta a sostegno della decisione di primo grado, secondo cui la legittimazione passiva nell’azione intrapresa non spettava alla banca convenuta, è manifestamente infondato.
La C orte d’appello ha osservato quanto segue: « La decisione del tribunale, quindi, si fonda su due autonome rationes decidendi idonee a sorreggere la motivazione, la prima delle quali afferente al difetto di legittimazione passiva della convenuta San RAGIONE_SOCIALE, che non ha costituito oggetto di impugnazione con uno specifico motivo, tanto che nella propria comparsa conclusionale la difesa del COGNOME ha osservato che l’affermazione del tribunale secondo la quale le domande avrebbero dovuto essere proposte nei confronti della RAGIONE_SOCIALE si riferiva esclusivamente alla domanda di risarcimento e non a quella di restituzione e quindi sarebbe irrilevante con riferimento ai primi due motivi di appello. Una tale limitazione tuttavia non risulta dalla lettura della decisione del tribunale ed appare anzi illogica, tenuto conto della circostanza di fatto enunciata dal primo giudice, secondo la quale i fondi erano stati sottoscritti con la RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima anche disinvestiti, il che vale a dire che il percettore delle somme investite dalle cedenti COGNOME era un soggetto diverso dalla convenuta RAGIONE_SOCIALE Con la
conseguenza che anche l’azione di ripetizione avrebbe dovuto essere proposta nei confronti del percettore delle somme investite nell’acquisto dei fondi, in base al principio secondo il quale rispetto all’azione di ripetizione di indebito oggettivo è passiv amente legittimato solo il soggetto che ha ricevuto la somma che si assume essere non dovuta, come si evince dalla formulazione letterale dell’art. 2033 c.c. ».
Siffatto argomentare trova un preciso riscontro nel contenuto che segue della sentenza di primo grado: « Si osserva, come evidenziato da parte convenuta, che, secondo il dato testuale di cui al contratto di cessione del credito, la COGNOME e la COGNOME cedevano al COGNOME il credito e tutte le azioni aventi per oggetto le ‘sottoscrizioni’ dei fondi di investimento, laddove dagli atti risulta che i fondi erano sottoscritti con la RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima anche disinvesti ti ». Il Tribunale, dunque, ha affermato in modo esplicito e con tutta chiarezza che il rapporto contrattuale dal quale era sorto il credito poi ceduto al COGNOME era intercorso con detta RAGIONE_SOCIALE, e non con quella convenuta in giudizio.
Va da sé che del tutto correttamente il giudice di merito ha ritenuto non censurata la parte di sentenza concernente il difetto di legittimazione passiva dell’originaria convenuta.
Ne discende l’inammissibilità per carenza d’interesse di tutti gli altri motivi, da ritenersi svolti contro rationes decidendi spiegate ad abundantiam , attesa l’idoneità della ratio decidendi illustrata a sostenere da sola il rigetto della domanda spiegata ed il conseguente rigetto dell’appello (Cass., n. 23635/2010; Cass., n. 8755/2018; Cass., n. 18429/2022; Cass., n. 36387/2023).
-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione