Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30575 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 30575 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso 2282-2024 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
ENTE STRUMENTALE ALLA RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
Oggetto
Impiego pubblico privatizzato
R.G.N. 2282/2024
COGNOME.
Rep.
Ud.11/9/2024 PU (riconv. CC 7/10/2024)
avverso la sentenza n. 4573/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/12/2023 R.G.N. 3105/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Napoli ha accolto in parte l’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa nei confronti di NOME COGNOME e altro lavoratore, avverso la sentenza del Tribunale di Napoli emessa tra le parti, disponendo in parziale riforma della stessa il rigetto delle domande, proposte in primo grado dai lavoratori già facenti parte del personale c.d. riservista presso il corpo militare della RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), aventi ad oggetto il diritto alla corresponsione dell’assegno ad personam riassorbibile ex art. 5, quinto comma, terzo periodo, del d.lgs. n. 178 del 2012 e il riconoscimento dell’anzianità maturata come militari.
La Corte d’Appello ricostruiva la vicenda del personale già facente capo alla RAGIONE_SOCIALE ed evidenziava come solo per il personale in servizio continuativo, per chi era dipendente a tempo indeterminato di essa l’art. 5, comma 5, del d. lgs. n. 178 del 2012, aveva previsto un complesso meccanismo di possibile transito ai ruoli civili del neo istituito RAGIONE_SOCIALE, di cui al comma 3 del medesimo art. 5, con mantenimento ad personam dei trattamenti retributivi migliori precedentemente ricevuti presso RAGIONE_SOCIALE, nel caso in cui
i trattamenti presso l’ente di destinazione fossero risultati meno favorevoli.
I c.d. riservisti non erano stati invece mai titolari secondo la Corte distrettuale – di un rapporto di lavoro dipendente con RAGIONE_SOCIALE, né a tempo determinato, né a tempo indeterminato, ma erano stati destinati a prestare la loro attività in base ad istituti propri dell’ordinamento militare.
Pertanto, non si poteva effettuare alcuna utile comparazione, a fini della disparità di trattamento, ed i riservisti erano stati destinatari di un trattamento di favore in quanto erano stati avviati a selezioni loro riservate dalle quali erano poi scaturiti rapporti di lavoro a tempo indeterminato, poi trasmigrati a seguito di mobilità, presso altre amministrazioni pubbliche.
La Corte d’Appello ha richiamato quindi giurisprudenza di merito e la pronuncia di Corte costituzionale 5 marzo 2019, n. 79, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate rispetto alla disciplina di riorganizzazione della CRI. Ha ritenuto inidoneo a fondare il diritto vantato l’art. 1780 del d.lgs. n. 66 del 2010.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolato in un unico motivo che cumula più rubriche.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa.
Successivamente, alla camera di consiglio del giorno 11 settembre 2024, il Collegio, nella medesima composizione, si è riconvocato nelle forme di cui all’art. 140-bis disp. att. c.p.c. mediante collegamento audiovisivo a distanza (applicativo Teams) il 7 ottobre 2024, decidendo la causa nei termini di cui al dispositivo in calce.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unic o motivo di ricorso si denunciano, testualmente e cumulativamente: ‘ Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione al combinato disposto degli artt. 5, comma 6, 6, comma 6, e 5, comma 5, del d.lgs. 178/2012. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 1780 Cod. Ord. Militare. Vizio di contraddittorietà della motivazione. Violazione falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 3 Cost. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso esame di documento determinante. Omessa motivazione su un punto decisivo ‘ .
Il ricorso è inammissibile sotto diversi profili.
Innanzitutto, si rileva l’esposizione unitaria e indistinta di pretesi vizi di natura diversa (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.) e con riferimento a una pluralità di norme di diritto, il che rende arduo discernere e apprezzare le singole censure.
Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, nel quale il singolo motivo assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (v., Cass. n. 12355/2020; n. 18202/2008).
La domanda giudiziale è da ritenere, per come impostata, inammissibile per difetto di legittimazione passiva processuale di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa.
Il ricorrente, proveniente dai c.d. riservisti, sostiene di aver diritto, presso il (diverso) Ente al quale è stato trasferito, di un assegno ad personam , in quanto da lui maturato già nel periodo in cui è stato in forza presso RAGIONE_SOCIALE, in ragione delle procedure di cui all’art. 5, comma 6, del d. lgs, n. 178 del 2012.
Egli ha quindi agito dinanzi al Tribunale contro RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione coatta amministrativa, benché, come riportato nella sentenza di appello, dal 1° aprile 2018 fosse stato immesso nei ruoli dell’RAGIONE_SOCIALE, e che dalla scheda informativa ai fini della mobilità risultava che l’RAGIONE_SOCIALE non gli aveva riconosciuto alcun importo a titolo di assegno personale riassorbibile e neppure l’anzianità di servizio in quanto la data di assunzione in ruolo era indicata come 1° ottobre 2017.
È altresì pacifico che la domanda sia stata intentata in primo grado il 20 dicembre 2019 (pag. 2 del ricorso), mentre il transito all’RAGIONE_SOCIALE risale all’aprile 2018.
Quanto appena esposto realizza un radicale difetto processuale che inficia l’ammissibilità della domanda giudiziale per come impostata.
Come si è detto, l’azione è stata infatti intentata al fine di ottenere un accertamento utile nei confronti non della parte convenuta, ma di quella che ad essa è poi subentrata, nel rapporto di lavoro, a seguito della mobilità.
Il giudizio civile si ispira tuttavia al principio generale, destinato ad individuare un presupposto processuale, per cui
le situazioni giuridiche soggettive, al di là di casi eccezionali, si fanno valere da parte del titolare di essi (legittimazione attiva processuale, di cui all’art. 81, c.p.c.) o nei confronti di coloro nei cui confronti essi sono vantate (legittimazione passiva processuale).
È principio consolidato quello per cui «la ” legitimatio ad causam ” si ricollega al principio dettato dall’art. 81 cod. proc. civ., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta – trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza ” inutiliter data ” – la verifica, anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (con il solo limite della formazione del giudicato interno sulla questione) e in via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta» (Cass., S.U., 9 febbraio 2012, n. 1912; Cass., S.U., 20 marzo 2019, n. 7925, S.U. 8 marzo 2022, n. 7514).
Analogamente, Cass., S.U., 16 febbraio 2016, n. 2951, argomentando sulla legittimazione processuale attiva, ma esplicitamente affermando che ragionamenti corrispondenti valgono per la legittimazione processuale passiva, ha precisato che essa manca quando «dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore» (e, quanto al lato passivo, al convenuto), mentre «la titolarità – attiva o passiva, n.d.r. – del diritto sostanziale attiene invece al merito della causa, alla fondatezza della domanda», con regimi che sono diversi, essendo «consolidata ed univoca la giurisprudenza per cui la
carenza di legittimazione … può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice», anche perché «non si pongono problemi probatori, perché si ragiona sulla base della domanda e della prospettazione in essa contenuta», sicché «è comprensibile che la questione non sia soggetta a preclusioni», in quanto una causa non può chiudersi con una pronuncia che riconosce un diritto a chi, alla stregua della sua stessa domanda, non aveva titolo per farlo valere in giudizio o di converso, giudica su una situazione passiva al solo fine di produrre effetti, ancora passivi, verso una parte estranea.
Agire per l’accertamento di diritti contro chi, già al momento della proposizione della domanda, non era più titolare passivo del rapporto, porta alla formazione di una pronuncia inutiliter data , perché il giudicato ha effetto solo tra le parti, né ricorre uno di quegli eccezionali casi in cui la decisione ha efficacia ultra partes .
In presenza di un trasferimento del rapporto, una tale impostazione del processo poteva avere significato se l’azione fosse iniziata prima, in ragione degli effetti di cui all’art. 111 u.c. c.p.c. (v. Cass. 29 novembre 2005, n. 25952; Cass. 19 novembre 2007, n. 23936), ma così non è nel caso di specie, per quanto si è sopra visto quanto a tempi della domanda e del trasferimento del rapporto di lavoro.
Neanche vi è da ragionare in termini di litisconsorzio necessario.
Un tale litisconsorzio, riguardando pretese al più di natura solidale, non ricorre nel caso di trasferimento di un rapporto di lavoro e rispetto alle domande creditorie nei riguardi rispettivamente del cedente e del cessionario (v., per
quanto a contrario, Cass. 29 maggio 2000, n. 7089; v, anche se in un diverso regime giuridico complessivo, ma ancora pertinente quanto alle conseguenze della natura del credito, Cass. 13 novembre 1970 n. 2380).
Più in generale, un diritto di credito può di regola essere sempre accertato e realizzato, come disconosciuto, nei riguardi di un unico soggetto e dunque non vi è luogo a discorrere di litisconsorzio (iniziale), perché la sentenza, di accoglimento o di rigetto, è sempre utiliter data , ma solo di corretta individuazione delle parti del rapporto rispetto al quale si intendono produrre gli effetti rivendicati.
Il litisconsorzio necessario può venire in considerazione nella ipotesi di passaggio diretto di personale tra pubbliche amministrazioni diverse, che è una vicenda di diritto sostanziale che, anche dal punto di vista processuale, comporta la necessaria partecipazione del lavoratore, della amministrazione ad quem e di quella di appartenenza del lavoratore (Cass. 9 maggio 2008, n. 11593), ma è evidente che la presente fattispecie è del tutto diversa per i plurimi profili dianzi illustrati.
Va del resto osservato che, se il diritto è da far valere nei confronti di chi subentri nel rapporto di lavoro, tutto quanto accaduto presso il precedente titolare può essere accertato incidentalmente, nel processo intentato presso il nuovo titolare (v. Cass. 14 marzo 1985, n. 2008; Cass. 11 agosto 1981 n. 4904).
Viceversa, se si sia agito in accertamento contro un soggetto, per ottenere il riconoscimento di un credito verso un altro soggetto, è palese lo sviamento e la violazione
dell’assetto del processo sotto il profilo della sua corretta impostazione quanto a legittimazione passiva.
D’altra parte, il difetto di legittimazione passiva processuale è rilevabile in ogni stato e grado (Cass, S.U., 2951/2016, cit.).
Tale difetto non consente poi il formarsi di un giudicato implicito (Cass., S.U., 20 marzo 2019, n. 7925; Cass. 13 maggio 2024, n. 12936), in quanto esso afferisce ad uno degli elementi c.d. fondanti del processo (Cass., S.U., 4 marzo 2016, n. 4248, punti 4.1 4 4.2, con richiamo a Cass., S.U., 30 ottobre 2008, n. 26019), che non ammettono sanatoria perché tali da comportare l’emanazione di pronunce inutili, se non anche fuorvianti rispetto ad una loro possibile idoneità ad influire nei rapporti riguardanti altri, ricorrendo l’esigenza di « salvaguardare l’ordinamento dal disvalore ‘di sistema’ costituito dall’emissione di sentenze inutiliter datae » (Cass., S.U., 4248/2016 cit.).
Infine, per completezza, si osserva che nessun rilievo può avere il fatto che COGNOME, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico come ente non economico, possa giovarsi della difesa dell’Avvocatura dello Stato, a titolo di patrocinio c.d. autorizzato.
Questa Suprema Corte ha esteso la regola di sanatoria di cui all’art. 4 della legge n. 260 del 1958 anche ai casi in cui sia evocato un giudizio un ente del tutto diverso da quello legittimato, purché entrambi siano soggetti al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3709), quale è COGNOME e poi anche COGNOME (art. 10, co. 7-bis, d.l. n. 210 del 2015 conv. con mod. in legge n. 21 del 2016).
Tale regime ricorre altresì nei casi di notifica ad ente non statale soggetto al patrocinio c.d. autorizzato, ipotesi per la quale – quanto alle notificazioni nelle controversie in materia di lavoro – è prevista l’equiparazione dei suddetti enti alle amministrazioni statali ai fini della rappresentanza e difesa dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 415, comma 7, cod. proc. civ. (Cass. 29 luglio 2008, n. 20582).
Peraltro, è pacifico che l’applicazione dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 cit. in base al principio dell’effettività del contraddittorio, non può in alcun modo comportare la ‘stabilizzazione’ del rapporto processuale nei confronti del reale destinatario degli effetti di un atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio (vedi, per tutte: Cass., S.U., 29 maggio 2012, n. 8516) e di converso nei riguardi anche dell’ente erroneamente evocato (v. per analogo ragionamento, pur nella diversità del caso, Cass., 9 novembre 2021, n. 32938).
Vale a dire che, mentre quando l’errore riguardi solo l’organo citato in giudizio, esso ha la natura di una mera irregolarità (tra le molte, Cass. 3 marzo 2021, n. 5819; v. anche le pronunce citate di seguito, sull’evocazione errata di un Ministero nell’agire contro lo Stato), quando invece l’errore riguardi anche una diversa soggettività, esso non può mai comportare una qualche ‘stabilizzazione’ del processo anche verso la parte che proprio non doveva venire evocata in giudizio.
Ciò posto, non si può quindi nel caso di specie, ragionare in termini di sanatoria anche se l’Ente presso il quale il lavoratore proveniente da RAGIONE_SOCIALE è stato assunto
fosse anch’esso soggetto al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.
Infatti, sulla base di quanto appena detto, proprio perché quando sia evocato un certo soggetto pubblico che non sia parte del rapporto non si realizza alcuna ‘stabilizzazione’ del processo nei suoi riguardi, non avrebbe alcun senso un rilievo in sede di legittimità di un’ipotetica possibilità di remissione in termini a fini sananti ad opera del giudice di primo o di secondo grado.
Del resto, neppure ricorrono le speciali ragioni di salvaguardia di un’impugnazione a termini decadenziali vincolati, cui Cass., S.U., 8516/2012 cit. ha esplicitamente riconnesso l’applicazione del sistema sanante, con effetto di remissione in termini, nei riguardi della P.A. non evocata in giudizio.
Così come non ricorre il particolare caso dell’azione contro lo Stato svolta evocando il Ministero non pertinente, idonea viceversa alla ‘stabilizzazione’ del processo, stante il trattarsi in quell’evenienza di un mero errore sull’organo evocato in giudizio (Cass. 15 aprile 2024, n. 10074; Cass., S.U., 27 novembre 2018, n. 30649; Cass. 26 giugno 2013, n. 16104).
In definitiva, la rilevazione del difetto di legittimazione di RAGIONE_SOCIALE comporta la chiusura in rito della controversia.
Trattandosi poi di presupposto processuale immanente all’intero giudizio ed i cui dati sono tratti dagli atti stessi del giudizio, la pronuncia rispetto ad esso non realizza alcun novum che imponga di sollecitare previamente il
contraddittorio (Cass. S.U. 15 dicembre 2015, n. 25208; Cass. 30 aprile 2011, n. 9591).
Va quindi pronunciata la cassazione senza rinvio, perché la domanda non poteva essere proposta (art. 382, u.c., c.p.c., v. Cass., S.U., 9 febbraio 2012, n. 1912).
Dovendosi ridefinire le spese di tutti i gradi, la chiusura del giudizio sulla base di rilievo officioso giustifica la compensazione per le fasi di merito e la condanna dl soccombente alla refusione di esse solo per quanto riguarda il giudizio di cassazione.
La cassazione della sentenza esclude che siano integrati i presupposti di cui all’art. 13 del d.p.r. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte cassa senza rinvio la sentenza impugnata perché la causa non poteva essere proposta.
Compensa tra le parti le spese di giudizio dei gradi di merito.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della