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Legittimazione passiva: azione contro ex datore di lavoro

Due ex dipendenti citano in giudizio il loro precedente datore di lavoro, un ente in liquidazione, per ottenere il riconoscimento di un assegno personale da far valere presso le nuove amministrazioni di destinazione. La Cassazione dichiara l’azione inammissibile per difetto di legittimazione passiva, poiché l’azione doveva essere intentata contro i nuovi datori di lavoro, unici titolari del rapporto.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Legittimazione Passiva: Perché è Inutile Fare Causa all’Ex Datore di Lavoro?

Intraprendere un’azione legale richiede un’attenta valutazione preliminare, non solo sul merito della pretesa, ma anche sui soggetti da coinvolgere. Uno dei pilastri del processo civile è la corretta individuazione della legittimazione passiva, ovvero la capacità del soggetto convenuto di essere il destinatario degli effetti della sentenza. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 30576 del 2024, offre un chiaro esempio di come un errore su questo presupposto processuale possa portare all’inammissibilità della domanda. Il caso riguarda alcuni lavoratori che, dopo essere transitati a nuove amministrazioni pubbliche, hanno citato in giudizio il loro precedente datore di lavoro per ottenere il riconoscimento di un diritto da far valere nel nuovo rapporto.

I Fatti del Caso: Una Transizione Complicata

La vicenda trae origine dalla riorganizzazione di un importante ente pubblico. Due lavoratori, precedentemente inquadrati nel personale cosiddetto ‘riservista’ del corpo militare dell’ente, a seguito delle modifiche normative, sono transitati presso altre Pubbliche Amministrazioni. Ritenendo di aver maturato il diritto al mantenimento del livello retributivo acquisito, e in particolare a un ‘assegno ad personam’, hanno avviato un’azione legale. Tuttavia, hanno citato in giudizio non il loro attuale datore di lavoro, ma l’ente di provenienza, peraltro già posto in liquidazione coatta amministrativa. L’obiettivo era ottenere una sentenza di accertamento del loro diritto da poter poi utilizzare nei confronti delle nuove amministrazioni presso cui prestavano servizio.

L’Iter Giudiziario e le Decisioni dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado aveva dichiarato la domanda improcedibile, proprio perché proposta nei confronti di un ente in procedura concorsuale. La Corte d’Appello, invece, ha riformato questa decisione, ritenendo l’azione ammissibile in quanto mirava a un mero accertamento di un diritto e non a una condanna al pagamento. Nel merito, però, ha rigettato la domanda, sostenendo che i lavoratori, in qualità di ‘riservisti’, non avevano mai avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’ente di provenienza e quindi non potevano essere equiparati al personale di ruolo che beneficiava delle tutele economiche invocate. I lavoratori hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

Il Difetto di Legittimazione Passiva: L’Analisi della Cassazione

La Suprema Corte, prima ancora di esaminare i motivi di merito del ricorso, ha rilevato d’ufficio un vizio processuale radicale e insanabile: il difetto di legittimazione passiva dell’ente convenuto. I giudici hanno sottolineato che l’azione era stata intentata per ottenere un accertamento utile non nei confronti della parte citata in giudizio (l’ex datore di lavoro in liquidazione), ma verso soggetti terzi ed estranei al processo (le nuove Amministrazioni presso cui i lavoratori erano transitati).

Le Motivazioni della Suprema Corte

L’Errore nell’Individuazione del Convenuto

La Corte ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la legitimatio ad causam si ricollega alla titolarità, attiva e passiva, del rapporto giuridico controverso. In altre parole, si può fare causa solo al soggetto che la legge individua come titolare dell’obbligo corrispondente al diritto che si vuole far valere. Nel caso di specie, il diritto all’assegno ad personam, se esistente, sarebbe dovuto essere riconosciuto e corrisposto dai nuovi datori di lavoro, non dal precedente. Agire contro l’ex datore di lavoro, che non era più parte del rapporto, significava convenire in giudizio un soggetto privo di legittimazione passiva.

Una Sentenza ‘Inutiliter Data’

La conseguenza di tale errore è la formazione di una pronuncia inutiliter data, cioè ‘inutilmente emessa’. Una sentenza ottenuta contro l’ente di provenienza non avrebbe potuto produrre alcun effetto vincolante nei confronti delle nuove amministrazioni, in quanto queste ultime non erano parti del giudizio. Il giudicato, infatti, ha effetto solo tra le parti processuali. La Corte ha quindi concluso che l’azione, così come impostata, era destinata a non produrre alcun risultato pratico per i ricorrenti, configurando un radicale difetto processuale che inficiava l’ammissibilità stessa della domanda sin dall’origine.

Le Conclusioni: A Chi Bisogna Fare Causa?

La sentenza chiarisce in modo inequivocabile che l’azione giudiziaria per il riconoscimento di diritti nascenti da un rapporto di lavoro deve essere necessariamente proposta nei confronti del datore di lavoro attuale, unico titolare passivo del rapporto. Qualsiasi pretesa basata su situazioni maturate presso un precedente datore di lavoro può essere accertata in via incidentale nel processo contro il nuovo titolare, ma non può essere oggetto di un’azione autonoma contro l’ex datore. Per questo motivo, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello senza rinvio, dichiarando che la causa non poteva essere proposta, chiudendo così in rito la controversia e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese.

Contro chi si deve agire in giudizio per il riconoscimento di un diritto sorto in un nuovo rapporto di lavoro?
L’azione deve essere intentata contro l’attuale datore di lavoro, in quanto è l’unico soggetto titolare dal lato passivo del rapporto giuridico e destinatario degli effetti della sentenza.

Cos’è la legittimazione passiva e perché è fondamentale nel processo?
È la condizione processuale per cui un soggetto è correttamente identificato come la parte contro cui la domanda giudiziale è proposta. È fondamentale perché la sua assenza rende la sentenza ‘inutile’ e porta a una dichiarazione di inammissibilità della domanda, in quanto il giudizio si svolge contro una parte che non è il reale titolare dell’obbligo contestato.

Cosa succede se si cita in giudizio un soggetto che non ha legittimazione passiva?
La domanda viene dichiarata inammissibile. Come stabilito dalla Corte di Cassazione nel caso di specie, il giudice rileva d’ufficio questo difetto in ogni stato e grado del processo, e può chiudere la causa in rito, cassando la sentenza senza rinvio, perché la domanda non poteva essere proposta fin dall’inizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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