Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 705 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 705 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4902/2022 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ASL ROMA 1, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA CORTE D’APPELLO ROMA n. 5454/2021 depositata il 22/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. la RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Roma al fine di ottenere la condanna della Azienda sanitaria Locale ASL Roma 1d’ora in avanti, breviter , ASL Roma 1- al pagamento della somma di € 980.198,56, oltre interessi al saggio di cui al D.Lgs. n. 231/2002, pari al valore monetario della decurtazione tariffaria imposta ex art. 1, comma 796, lett. o) L. n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007) per la remunerazione delle prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate dal mese di Gennaio 2010 al mese di Agosto 2013, eseguite in regime di accreditamento/convenzionamento con il Servizio Sanitario Nazionale (di seguito S.S.N.) ed indebitamente decurtate dall’ASL Roma 1.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12357/2018 emessa ex art. 281 sexies c.p.c. il 14/06/2018, accoglieva le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE e riconosciuta la legittimazione passiva di ASL Roma 1, la condannava al pagamento della somma di € 980.198,56, oltre interessi legali ex art. 1284, c.4 c.c. dalla domanda al saldo.
Tale pronunzia veniva impugnata dall’ASL Roma 1 dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, la quale con sentenza n. 5454/2021, pubblicata il 22/07/2021, respingeva l’appello, ritenendo legittimata passiva l’appellante e condannava quest’ultima al pagamento delle spese processuali in favore di RAGIONE_SOCIALE nonché al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, c.1 quater DPR 115/2002.
In particolare, la Corte di appello evidenziava che la disposizione relativa al c.d. sconto, art. 1, c. 796, lett. o), L. n. 796/2006, era indirizzata a garantire l’osservanza degli obblighi comunitari e ad assicurare la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica limitatamente al triennio di riferimento (2006/2009) e con un termine fisso di durata, senza possibilità di applicazione estensiva ed ultrattiva per un periodo ulteriore. Ne discende che non vi siano
elementi esegetici circa la possibilità di operare una decurtazione oltre il triennio preso in considerazione dalla legge finanziaria.
L’ASL Roma 1 ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, al quale ha resistito la RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 21 dicembre 2023.
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, c. 10, D.L. n. 324/1993, conv. in L. n. 423/1993, e dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.
La sentenza sarebbe errata laddove ha ritenuto legittimata passiva l’ASL Roma 1, anziché la Regione Lazio. In particolare, secondo il ricorrente la Corte di appello ha ritenuto che l’oggetto del contendere non fossero gli atti con cui la Regione ha determinato le tariffe delle prestazioni sanitarie in regime di convenzione, ma, il fatto che tali tariffe, una volta scontate, fossero state recepite negli Accordi contrattuali di cui al D.Lgs. n. 502/1992 e dovessero essere applicate dagli enti incaricati del pagamento. Da ciò ne deriverebbe, secondo il ricorrente, che la legittimazione passiva spetterebbe all’ASL in quanto l’autorizzazione delle prestazioni sanitarie costituisce non la fonte dell’obbligazione dell’unità che la autorizza, ma la condizione del pagamento da parte dell’ente obbligato per legge, l’ASL Roma 1 appunto, alla quale spetta la liquidazione in base agli accordi contrattuali stipulati e sottoscritti annualmente, e non la Regione Lazio, la quale avrebbe il solo compito di mera certificazione e validazione delle prestazioni sanitarie.
Secondo il ricorrente, quanto affermato dal Giudice d’appello si porrebbe in contrasto con i principi espressi da questa Corte -Cass. n. 13333/2015, Cass. n. 26959/2016, Cass. n. 18448/2007 -in base ai quali l’art. 1, c. 10, D.L. n. 324/1993 non si applica solo
alle prestazioni autorizzate dall’RAGIONE_SOCIALE nel regime anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. n. 502/1992, ma anche successivamente, con riferimento alle prestazioni sanitarie autorizzate dalle unità sanitarie locali che si sono costituite in aziende sanitarie locali. Proprio sulla base di tale indirizzo di questa Corte la disposizione appena ricordata regolerebbe la legittimazione passiva nei confronti di tutti i soggetti che erogano prestazioni sanitarie in regime di convenzione con la Regione, i quali sarebbero creditori dell’ente incaricato del pagamento da intendere come Ente finanziatore delle Aziende Sanitarie.
Nel caso di specie, legittimata passiva rispetto alle domande di pagamento delle prestazioni sanitarie rese in regime di convenzione da strutture convenzionate sarebbe la Regione Lazio, unico ente incaricato al pagamento delle prestazioni rese dalla struttura privata accreditata per conto delle S.S.R., risultando irrilevante il fatto che sia formalmente l’ASL a liquidare le strutture convenzionate, atteso che il pagamento viene effettuato in nome e per conto della Regione. Ne deriverebbe che il soggetto che determina i pagamenti delle prestazioni sarebbe esclusivamente la Regione Lazio. A sostegno di ciò l’art. 8 quater del D. Lgs. n. 502/1992 statuirebbe che è sempre la Regione a rilasciare l’accreditamento istituzionale alle strutture autorizzate pubbliche o private e ad approvare la quantificazione annuale dei tetti di remunerazione per ogni singolo soggetto erogatore. Pertanto, la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che in caso di mancato pagamento delle relative spettanze si dovrebbe considerare debitore inadempiente e soggetto passivo l’unità sanitaria locale contraente l’accordo e competente territorialmente per il pagamento delle somme pattiziamente dovute per l’attività sanitaria nel caso di specie espletata da RAGIONE_SOCIALE in quanto sarebbe lo stesso contratto per l’anno 2013, art. 4 c. 2, a prevedere che gli importi previsti, quale remunerazione per le
prestazioni erogate, sono a carico del servizio sanitario regionale il cui ente di riferimento è la Regione Lazio mentre negli altri contratti non vi è alcun riferimento all’ASL che varrebbe a definirla quale soggetto passivo delle obbligazioni di pagamento.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. e la nullità del giudizio di primo grado per difetto di integrità del contraddittorio, in relazione all’art. 360, n. 3 e 4 c.p.c., non essendo stata convenuta in giudizio la Regione Lazio che risulterebbe, litisconsorte necessario in quanto, con riferimento alle motivazioni esposte nel precedente motivo, il pagamento di quanto asseritamente dovuto non potrebbe che essere corrisposto dalla Regione stessa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, c. 796, lett. o) della L. n. 296/2006 e dell’art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che l’art. 1, c. 796, lett. o) della L. n. 296/2006 fosse indirizzata a garantire l’osservanza degli obblighi comunitari e ad assicurare la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica limitatamente al triennio di riferimento (2006/2009) e con un termine fisso di durata, senza possibilità di applicazione estensiva e ultra attiva per un periodo ulteriore, affermando che se il legislatore avesse voluto prolungare il vigore di detta normativa sino all’applicazione del nuovo tariffario lo avrebbe espressamente previsto. Secondo il ricorrente la Corte di merito avrebbe ignorato il senso letterale, violando l’art. 12 preleggi, nonché il contesto logico sistematico della norma in analisi.
Dal punto di vista letterale, occorrerebbe separare il comma di cui alla lett. o) dall’incipit del comma 796. Nello specifico, il comma di cui alla lett. o) conterebbe la previsione della riduzione percentuale dei compensi di cui si tratta e non indicherebbe una data oltre la quale la norma cessererebbe di avere effetto, ne conseguirebbe
che tale disposizione sarebbe proiettata nel futuro ed avrebbe come unica delimitazione il rinvio alla disciplina sull’aggiornamento dei tariffari, ciò sarebbe confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, la quale avrebbe affermato che la disposizione in materia di sconto detta una disciplina di carattere transitorio destinata ad esaurirsi con l’entrata in vigore degli aggiornamenti tariffari.
Rispetto al contesto logicosistematico dell’intero comma 796, art. 1, lett. o), L. n. 296/2006, la Corte d’appello avrebbe errato nel dare rilevanza omnicomprensiva del riferimento al triennio 20072009 per tutte le previsioni di cui al comma 796, in quanto alcune disposizioni presenti nelle molteplici lettere del comma sopra citato risulterebbero invece destinate a produrre effetti ben oltre il limite di tale triennio. Inoltre, secondo il ricorrente occorrerebbe evidenziare come l’art. 1, comma 796, lett. o) ult. cit. rinvierebbe espressamente all’art. 1, comma 170 della L. n. 311/2004 (legge finanziaria 2005) che è stato sostituito dall’art. 8, comma 3 del D.L. n. 248/2007, il quale ha previsto la cadenza triennale dell’aggiornamento delle tariffe massime e la data non successiva al 31/12/2008 per la sua prima attuazione, ma successivamente è stato interamente abrogato, nella parte relativa alle tariffe massime generali, dal D.L. n. 95/2012, il cui art. 15, commi 15-17, costituendo il nuovo parametro normativo richiamato dall’art. 1, comma 796, lett. o) della L. n. 796/2006, ribadirebbe che tale correlazione costituirebbe lo strumento predisposto per assicurare la congruità della spesa a carico del S.S.R. ed il suo coordinamento con la finanza pubblica, ciò evidentemente a prescindere ed oltre il triennio 2007-2009.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c., 2697 c.c., 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe errato nel dichiarare l’inammissibilità per novità ex art. 345 c.p.c. dei conteggi eseguiti dall’appellante sulla base delle fatture non quietanzate in atti ed inoltre avrebbe errato nel ritenere l’onere della prova del superamento del Budget incombente sull’ASL Roma 1. Secondo il ricorrente, i conteggi offerti per mera cortesia processuale alla Corte sarebbero stati eseguiti sulla base di documentazione già in atti, e cioè le fatture depositate in primo grado dalla Bios e i DCA depositati, sempre in primo grado, dalla ASL. Ne consegue che i conteggi acclusi all’atto di appello non potrebbero giammai essere considerati nuovi giacché assorbenti un dato tecnico emergente da documentazione allegata in atti sin dal giudizio di primo grado -Cass. n. 13902/2013-. Con riguardo all’onere della prova, secondo il ricorrente risulterebbe dalla lettera dei contratti e dunque dal contenuto della norma astratta applicabile alla fattispecie che il mancato superamento del budget assurgerebbe a fatto costitutivo negativo della pretesa della struttura sanitaria accreditata, dovrebbe, pertanto, essere RAGIONE_SOCIALE a dover provare l’esistenza del fatto negativo rappresentato dalla mancata erosione dei Budget annuali fissati per gli anni 2010-2013 e non, come affermato erroneamente dalla Corte Territoriale, l’ASL Roma 1.
In memoria la COGNOME ha ribadito le difese esposte nel corso del giudizio di merito e con la comparsa di risposta, sostenendo che la Corte di appello avrebbe correttamente riconosciuto la titolarità passiva dell’AS L in quanto non sarebbe stata prodotta alcuna delibera idonea a dimostrare che la Regione avesse assunto il pagamento delle prestazioni erogate dall’As l e avrebbe dunque correttamente riconosciuto l’obbligo dell’AS L sulla base dell’accordo contrattuale con la stessa stipulato.
Il primo motivo è fondato ed assorbe l’esame degli altri.
Ed invero, la Corte di appello, nel riconoscere la legittimazione passiva dell’AUSL Roma, non ha fatto corretta applicazione dei
principi espressi da questa Corte proprio con riferimento all’interpretazione dell’art.1, c.10, d.l. n. 324/1993, conv. nella l. n. 423/1993 ed alla legittimazione passiva della Regione Lazio.
Questa Corte ha infatti ritenuto che l’art.1, comma 10, d.l. n. 324/93 disciplina la legittimazione passiva nei confronti di tutti i soggetti (farmacie, medici specialisti, strutture private) che erogano prestazioni sanitarie in regime di convenzione con la Regione. Questi soggetti sono creditori dell’ente incaricato del pagamento, da intendere come ente finanziatore delle Aziende sanitarie e dunque coincidente con la Regione, sulla quale grava la legittimazione passiva. In questa prospettiva si è ritenuto che, avuto riguardo a tale quadro normativo, che la disposizione del D.L. n. 324 del 1993, art. 1, comma 10, regola la legittimazione passiva nei confronti di tutti i soggetti che erogano prestazioni sanitarie in regime di convenzione con la Regione: farmacie, medici specialisti, strutture private. Per questi soggetti – si è precisato – vale la regola che essi sono creditori dell’ente “incaricato del pagamento”, da intendere come ente finanziatore delle Aziende Sanitarie, e l’autorizzazione della prestazione sanitaria costituisce non la fonte dell’obbligazione dell’unità che la autorizza, ma la condizione del pagamento da parte dell’ente obbligato per legge, e che è quello di ciò incaricato (cfr. ancora, in particolare, , cit.). Peraltro, il fatto che la Regione svolga un mero servizio di tesoreria è stato ritenuto irrilevante, posto che ‘la qualità di ente incaricato del pagamento, cui si collega la legittimazione passiva nei rapporti obbligatori con le strutture accreditate ai sensi e per gli effetti della norma in esame, discende in capo alla Regione dalla sua funzione di ente finanziatore delle Aziende Sanitarie, attribuita e regolata da norme di legge statale -cfr. Cass. n. 29099/2022, resa in un procedimento nel quale erano parte una ASL laziale e la Regione Lazio, con Cass. 24758/2021-.
In questa direzione, di recente, Cass. n. 21851/2023 ha ricapitolato il diritto vivente in materia, ritenendo che ‘secondo il più recente orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità (cfr. in particolare Cass. 17587/2018 citata), nella materia in esame, sussistendo, per l’appunto, la potestà legislativa concorrente delle Regioni (art. 117 Cost.), il sistema sanitario nazionale istituito con la L. n. 833 del 1978 è stato attuato attraverso il D.Lgs. n. 502 del 1992, che ha “regionalizzato” la sanità. Pertanto, le diversità strutturali ed il minore o maggiore accentramento delle competenze devono essere ricercati all’interno delle differenti legislazioni regionali attraverso le quali, tenendo conto delle specifiche caratteristiche territoriali, è stata riorganizzata sia la struttura operativa sanitaria locale che l’esercizio delle funzioni amministrative necessarie per il suo funzionamento. Per quanto ora di interesse, la L.R. Lazio n. 18 del 1994 istituì con pari soggettività giuridica e pari autonomia finanziaria (discendente dalle erogazioni della Regione) sia le A.S.L. che le Aziende Ospedaliere con compiti sostanzialmente sovrapponibili (v. L. n. 18 del 1894, artt. 5 e 6). L’art. 2 lett. c) della medesima legge rappresenta l ‘ anello di chiusura del sistema, in quanto demanda alla Giunta Regionale ‘ la determinazione dei criteri di finanziamento delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, erogando alle stesse le risorse finanziarie ‘ .
Ora, la Corte di appello non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra ricordati ed ha desunto la legittimazione passiva dell’USL Roma dal fatto che questa aveva concluso con la società RAGIONE_SOCIALE le convenzioni per le prestazioni sanitarie, senza invece cogliere il fondo del ragionamento esposto dai precedenti sopra richiamati, appunto costituito dal fatto che in base alla legislazione nazionale e regionale il soggetto tenuto al pagamento delle prestazioni sanitarie nella regione Lazio coincide con l’ente
regionale ‘incaricato del pagamento’ e finanziatore, senza che sia necessaria la dimostrazione di una delibera di giunta, discendendo dalla legislazione l’obbligo anzidetto. Né la Corte di appello ha evidenziato l’esistenza di atti provenienti dall’amministrazione regionale che avessero concretamente derogato alla disciplina anzidetta individuando nell’ASL il soggetto tenuto al pagamento delle prestazioni sanitarie.
Tanto giustifica l’accoglimento del primo motivo, dovendosi così superare i rilievi difensivi esposti dalla società RAGIONE_SOCIALE anche in memoria.
Sulla base di tali considerazioni, accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Roma che in diversa composizione provvederà altresì sul regime delle spese.
PQM
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma che in diversa composizione provvederà altresì sul regime delle spese.
Così deciso il 21 dicembre 2023 nella camera di consiglio della