Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 31814 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 31814 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26970-2020 proposto da:
Oggetto
INDEBITO ARRICCHIMENTO P.A.
Ricorso esperito nella ‘asserita’ qualità di eredi della parte originaria del giudizio – Mancata prova della qualità – Inammissibilità dell’impugnazione
R.G.N. 26970/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 11/09/2024
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME nella dedotta qualità di eredi di NOME COGNOME domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentati e difes i dall’Avvocato NOME COGNOME Adunanza camerale
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME in persona legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’ Avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 2621/2020 della Corte d’appello di depositata il 14/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nell del l’11 /09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Napoli, ‘adunanza camerale
FATTI DI CAUSA
NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, tutti nella dedotta qualità di eredi di NOME COGNOME, ricorrono, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 2621/20, del 14 luglio 2020, della Corte d’appello di Napoli, che accogliendo il gravame esperito dal Comune di Chianche, avverso la sentenza n. 174/17, del 3 ottobre 2017, del Tribunale di Benevento (respingendo, invece, quello incidentale della COGNOME) -ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei confronti dell a Costanzo per l’importo di € 17.400,00, oltre interessi, ‘a titolo di recupero dei costi anticipati dall’ente locale per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti speciali stanti sul fondo di proprietà’ dell’ingiunta.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che la loro dante causa in via ereditaria si opponeva al suddetto provvedimento monitorio, deducendo che l’immobile in questione era stato concesso in locazione, dal 18 ottobre 1982, al medesimo Comune (resosi, peraltro, moroso nel pagamento dei canoni, dal 1986), che lo aveva utilizzato quale discarica pubblica, senza mai restituirne il possesso ad essa locatrice. Su tali basi, dunque, l’opponente assumeva che il Comune, quale autore dello sversamento dei rifiuti, doveva ritenersi unico responsabile del degrado e, giocoforza, tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, nonché al pagamento dei canoni ‘nella misura di € 633,00 dal 1986 fino all’attualità, per anno oltre rivalutazione’.
Istruita la causa anche attraverso l’assunzione di prova testimoniale, il giudice di prime cure -nel ritenere che il rilascio del bene fosse avvenuto ‘ de facto ‘ nel 1989, senza che il già conduttore avesse offerto alcuna prova né dell’avvenuta bonifica del terreno in tale occasione, né del fatto che i rifiuti in discussione fossero stati sversati successivamente -accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando il Comune di Chianche ‘alla corresponsione di euro 30,99 oltre interessi a titolo di canoni insoluti ed al pagamento delle spese di giudizio’.
Esperito gravame, in via di principalità, dal Comune (nonché, in via incidentale, dalla stessa COGNOME per contestare l’avvenuto rilascio del suo terreno nel 1989 e, dunque, per ribadire la richiesta di condanna del già conduttore al pagamento di euro 63 3,00 all’anno, dal 1988 all’attualità, oltre interessi), il giudice d’appello accoglieva l’impugnazione principale, ponendo le spese del doppio grado di giudizio a carico della già opponente.
Avverso la sentenza della Corte partenopea hanno proposto ricorso per cassazione i COGNOME nella già ricordata qualità di eredi della NOMECOGNOME sulla base -come detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 342 cod. proc. civ.
Si dolgono i ricorrenti del fatto che il giudice d’appello non abbia dichiarato l’inammissibilità del gravame esperito dal Comune di Chianche, quantunque i motivi prospettati fossero ‘chiaramente generici e comunque non articolati in maniera specifica’, recando ‘unicamente generiche e indeterminate asserzioni in ordine a pretesi vizi in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure’, risultando ‘del tutto assente l’indicazione dei passi del provvedimenti non condivisi’, così come ‘l’enunciazione dei
motivi di dissenso e l’individuazione degli errori ed omissioni in cui il Decidente sarebbe incorso’, al pari di ‘un ragionato progetto alternativo di decisione’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 192, 239 e 242 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonché all’art. 14 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Si censura la decisione della Corte partenopea di inquadrare la vicenda in esame nella fattispecie normativa dell’abbandono di rifiuti (art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006), che contempla una responsabilità solidale -in relazione all’obbligo di rimozione e di ripristino dello ‘ status quo ante ‘ -dell’autore dell’abbandono e del proprietario dell’area. Senonché, osservano i ricorrenti, la responsabilità di quest’ultimo non ha natura oggettiva, potendo essere affermata solo a titolo di dolo o, quantomeno, di colpa, ad integrare la quale non può, però, ritenersi sufficiente la semplice inerzia conseguente all’abbandono e la consapevolezza dello stesso. Nella specie, peraltro, neppure potrebbe parlarsi di inerzia, dato che la COGNOME -tramite il marito -‘den unciava l’illecita occupazione del terreno con i rifiuti lasciti dal Comune’, preoccupata che lo stesso ‘potesse divenire una discarica abusiva’.
Ciò premesso, i ricorrenti ribadiscono che il Comune di Chianche non ha dato alcuna prova del rilascio del fondo, nonché di aver provveduto allo sgombero, sicché essi reputano che il medesimo abbia ingiustamente preteso il pagamento dei lavori di bonifica realizzati nel 2010, essendo tenuto a svolgerli, ‘in quanto inadempiente agli obblighi di (ex) conduttore del fondo della Costanzo’.
Ne consegue, quindi, che ‘ben condannabile’ risulterebbe l’operato del Comune, per aver omesso di dedurre accertamenti
-peraltro, da eseguirsi nel contraddittorio con i soggetti interessati -sui profili di responsabilità per dolo o colpa del soggetto poi sanzionato.
Del resto, anche alla stregua del principio ‘chi inquina paga’, sancito al livello più alto dell’ordinamento unionale, dall’art. 291 del Testo Unico sul funzionamento dell’Unione Europea (e alla base della direttiva 2004/35/CE), la responsabilità per danno ambientale esige un’imputazione di tipo strettamente soggettivo, oltre alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta e il danno o il pericolo di danno. Criteri, del resto, recepiti dagli artt. 239, 242 e 245 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Inoltre, evidenziano i ricorrenti, solo nel caso in cui il responsabile dell’inquinamento o il proprietario del sito non provvedano agli obblighi di messa in sicurezza, ripristino e bonifica del sito inquinato, l’art. 250 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che tali interventi siano eseguiti dall’amministrazione, la quale ai sensi dell’art. 252 dello stesso decreto legislativo -potrà rivalersi anche ‘nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o del pericolo dell’inquina mento, ma soltanto a seguito di provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto, oppure la loro infruttuosità.
Infine, si sottolinea come la ‘tematica del coinvolgimento del «proprietario incolpevole» nelle procedure di messa in sicurezza, ripristino e bonifica’, sia stata oggetto di due arresti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenze 9 marzo 2010, i n C378/08, ERG c. Ministero dello Sviluppo Economico e 4 marzo 2015, in C134/13, Fipa c. Ministero dell’Ambiente), le quali hanno chiarito come il proprietario estraneo alla contaminazione, sicuramente prodotta da altri, possa essere destinatario di
obblighi di messa in sicurezza, ma a condizione che sia osservato il ‘requisito minimo’ costituito dalla ‘individuazione di un nesso causale tra l’attività svolta e l’inquinamento riscontrato’, e ciò al fine di evitare una responsabilità ‘di mera posizione’ del proprietario.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il Comune di Chianche, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il controricorrente ha depositato memoria, limitandosi però a concludere per la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, per due concomitanti ragioni.
8.1. In via preliminare, deve rilevarsi che gli odierni ricorrenti non hanno fornito alcuna prova della qualità di eredi della già attrice NOMECOGNOME sicché tale qualità è rimasta a livello di mera asserzione.
Tanto comporta, dunque, l’inammissibilità del ricorso, in base al consolidato principio secondo cui, ‘in tema di legittimazione attiva, incombe alla parte che ricorre per cassazione, nella qualità di erede della persona che fece parte del giudizio di merito, l’onere
di dimostrare, per mezzo delle produzioni documentali consentite dall’art. 372 c od. proc. civ., il decesso della parte originaria e la propria qualità di erede; in difetto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare, nessun rilievo assumendo la mancata contestazione di tale legittimazione ad opera della controparte, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio’ (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 12 febbraio 2024, n. 3793, Rv. 670111-01, che richiama Cass. Sez. Lav., sent. 27 gennaio 2011, n. 1943, Rv. 616085-01, nonché Cass. Sez. 1, sent. 13 giugno 2006, n. 13685, Rv. 589526-01; Cass. Sez. 2, sent. 17 ottobre 2006, n. 22244, Rv. 592968-01; Cass. Sez. 2, sent. 25 giugno 2010, n. 15352, Rv. 613693-01; Cass. Sez. 2, sent. 15 dicembre 2010, n. 25344 Rv. 615205-01; Cass. Sez. 1, ord. 26 settembre 2019, n. 24050, Rv. 655307-01).
8.2. Ancorché tale rilievo sia dirimente, inammissibili risultano, peraltro, pure i due motivi di ricorso.
8.2.1. L’inammissibilità del primo motivo deriv a dalla violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., atteso che esso non riproduce -nella misura necessaria a garantire l’osservanza di tale norma il contenuto dei motivi di appello dei quali lamenta il difetto di specificità.
Difatti, ‘la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 cod. proc. civ.’, seppur ‘integrante « error in procedendo », che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, c omma 1, n. 4) e n. 6), cod. proc. civ., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza
CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d ‘ interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza’ (Cass. Sez. Lav., ord. 4 febbraio 2022, n. 3612, Rv. 663837-01).
Si tratta, peraltro, di un’esigenza -come è stato icasticamente osservato da questa Corte, con riferimento al caso (‘simmetrico’ a quello qui in esame) in cui il ricorrente lamenti l’erroneità della declaratoria del difetto di specificità del motivo di appello -che ‘non è giustificata da finalità sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attività d’esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge’, ma che ‘risulta, piuttosto, ispirata al principi o secondo cui la responsabilità della redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01).
8.2.2. Il secondo motivo è, invece, inammissibile per difetto di specificità.
Deve, infatti, darsi seguito al principio secondo cui ‘l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità
della censura’, non solo ‘di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione’, ma anche ‘di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01). In altri termini, si richiede al ricorrente di ‘ prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni ‘ , vale a dire quella fatta propria dalla sentenza -da individuarsi, peraltro, attraverso la ‘ specifica indicazione delle affermazioni ‘ da essa compiute e quella proposta, invece, mercé l’impugnazione, idone a ad evidenziare il contrasto del ‘ dictum ‘ del giudice di merito ‘ con le norme regolatrici della fattispecie e con l ‘ interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrin a’ ; valutazione comparativa indispensabile, ‘ non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione ‘ (Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2024, n. 20870, Rv. 671836-01).
Nella specie, un simile ‘confronto’ manca del tutto, giacché al di là dell’inammissibile richiesta di rivalutare il giudizio di fatto, in merito alla circostanza, esclusa dalla sentenza impugnata, che la COGNOME si sarebbe ‘attivata’ per chiedere (invano) la rimozione dei rifiuti, i ricorrenti si limitano a richiamare due principi -che appaiono, tra l’altro, in contrasto tra loro circa la necessità di ravvisare nella condotta del proprietario del terreno, sede di una discarica abusiva, l’elemento sogget tivo almeno della colpa, ovvero quello per cui essa deve aver causalmente contribuito ad
una situazione di danno o pericolo per l’ambiente, senza però farsi carico di dimostrare quali affermazioni della sentenza impugnata abbiano contravvenuto a tali principi.
Il tutto, infine, senza tacere del fatto che dalla sentenza è enucleabile un’ulteriore ‘ ratio decidendi ‘ , non attinta dal motivo, donde, nuovamente e a prescindere dalla fondatezza dell’una (la cui disamina si lascia del tutto impregiudicata), l ‘ inammissibilità dell’altro: vale a dire, quella secondo cui l’ordinanza sindacale n. 3828 del 3 novembre 2009, in forza della quale il Comune ha preteso il pagamento dalla COGNOME, avrebbe dovuto essere impugnata in sede amministrativa o giurisdizionale.
Di qui, pertanto, la necessità di ribadire che, qualora ‘la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza’ (tra le molte, Cass. Sez. 6-5, ord. 18 aprile 2017, n. 9752, Rv. 643802-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 31 agosto 2020, n. 18119, Rv. 658607-02).
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare , al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20
febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a rifondere, al Comune di Chianche, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 3.100,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della