Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25410 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25410 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25148/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Massanzago INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA VINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in SANSEPOLCRO INDIRIZZO
presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 2281/2023 depositata il 09/11/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo in data 12 luglio 2023, con cui era stata dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale della società reclamante su ricorso del creditore RAGIONE_SOCIALE, lavoratore dipendente, deducendo l’insussistenza della legittimazione del creditore e dello stato di insolvenza.
La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato il reclamo. Ha ritenuto il giudice del reclamo sussistente la legittimazione del creditore, attesa l’esistenza di un decreto ingiuntivo non opposto , fondato su transazione inter partes . La Corte di Appello ha, poi, rilevato che il debitore aveva invocato la retrocessione del ramo di azienda dalla reclamante al concedente RAGIONE_SOCIALE in Fallimento, osservando -peraltro -che il decreto ingiuntivo atteneva a un rapporto di lavoro già corrente con la reclamante e poi cessato prima della retrocessione del ramo di azienda e che, in ogni caso, la legittimazione del creditore sussiste in forza del suddetto decreto ingiuntivo. Ha, poi, ritenuto non provata la circostanza che il creditore fosse stato soddisfatto dal RAGIONE_SOCIALE E’, infine, stato ritenuto sussistente lo stato di insolvenza, non essendovi risorse nel patrimonio della società reclamante per far fronte alle obbligazioni.
Propone ricorso per cassazione la società in liquidazione giudiziale, affidato a cinque motivi. Resistono con controricorso il creditore istante e la curatela della liquidazione giudiziale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata affermato in modo contraddittorio che l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è idonea ad accertare la sussistenza di fatti sopravvenuti tali da far venir meno « la capacità del creditore di agire in executivis e, dall’altro, conclude nel senso della persistenza del credito anche in ipotesi di accoglimento dell’opposizione ». Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata ha affermato la possibilità di far valere in sede esecutiva fatti sopravvenuti idonei a far venir meno e a estinguere il titolo esecutivo del creditore istante, per poi negare che l’intervenuta estinzione del procedimento espropriativo abbia incidenza sul titolo del creditore istante.
C on il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata affermato contraddittoriamente che la delibazione sulla sussistenza del credito del creditore istante debba essere sommaria e, dall’altro, « determina la propria decisione in discrasia con provvedimenti giudiziari in favore di Terra che affermavano l’insussistenza del diritto dell’istante la liquidazione giudiziale di agire in executivis per difetto di legittimazione attiva e, quindi, l’insussistenza della sua qualifica di creditore».
25148/2023 R.G. 3. I primi due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono manifestamente infondati, essendo la motivazione della sentenza ben oltre il minimo costituzionale (Cass., Sez. U., n. 8053/2014). Quanto al primo motivo, non è
stata censurata la statuizione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il decreto ingiuntivo del creditore istante è divenuto definitivo per assenza di opposizione e che il fatto sopravvenuto dedotto dal ricorrente non attiene all’estinzione del credito (« non già l’estinzione del credito » ), bensì (al diverso fatto e cioè) alla retrocessione dell’azienda al fallimento concedente, laddove il decreto traeva origine dal rapporto di lavoro cessato con la ricorrente prima della retrocessione del ramo di azienda al RAGIONE_SOCIALE e, quindi, precedentemente transitato nel ramo di azienda in oggetto. Viceversa, la retrocessione dell’azienda dalla ricorrente al RAGIONE_SOCIALE attiene, come logicamente rilevato dalla sentenza impugnata, al diritto del creditore di procedere in executivis sul compendio aziendale ma non incide sulla titolarità del credito.
Quanto al secondo motivo, il giudice del reclamo ha ritenuto che l’ ordinanza di estinzione della procedura esecutiva sia un provvedimento di mero rito, attinente al diritto del creditore di soddisfarsi sul compendio aziendale. Attesa l’irrilevanza dell’estinzione della procedura esecutiva sulla legittimazione del creditore istante, il giudice del reclamo ha correttamente affermato in via incidentale l’esistenza della legittimazione del creditore in forza de ll’accertamento del credito compiuto in sede monitoria.
25148/2023 R.G. 5. Sul punto, va rilevato che il passaggio in giudicato della sentenza che dichiari l’inammissibilità, per ragioni di rito, di un’opposizione a decreto ingiuntivo, al pari dell’estinzione del giudizio incardinato dall’opposizione (la quale riguarda solo l’opposizione al decreto in quanto accertativo del credito al momento della sua pronuncia), non precludono al debitore ingiunto di far valere – con un’azione di accertamento negativo o, se sia minacciata o iniziata l’esecuzione sulla base del decreto, attraverso gli strumenti, secondo i casi, dell’opposizione al precetto o
all’esecuzione – eventuali fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto azionato in via monitoria verificatisi tra l’emissione del decreto ingiuntivo e il termine per proporre opposizione, ovvero sopravvenuti nel corso del giudizio ex art. 645 cod. proc. civ., ancorché gli stessi fossero stati introdotti in tale sede senza formare oggetto di una specifica domanda di accertamento (Cass., n. 6337/2014; Cass., n. 4600/2024). Ne consegue che l’estinzione dell’esecuzione non influisce sui titoli preesistenti all’estinzione, risultando rilevanti solo fatti successivi incidenti sul diritto del creditore a soddisfarsi sul creditore (fatti estintivi dell’obbligazione) .
Con il terzo motivo si deduce, in via gradata, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 41 CCII e 2112 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che la cognizione sommaria può condurre ad accertamenti compiuti in sede di cognizione ordinaria. Osserva parte ricorrente che l’ordinanza di estinzione del procedimento esecutivo incide sulla legittimazione del creditore istante e che gli effetti di tale ordinanza incido no sull’accertamento incidentale del credito del creditore istante.
Il motivo è manifestamente infondato. Va ricordato (come indicato in relazione ai superiori motivi), che il provvedimento di estinzione del processo esecutivo ex art. 632 cod. proc. civ. comporta unicamente il venir meno degli effetti dell’esecuzione forzata e degli atti ad essa riferiti compiuti in precedenza (Cass., n. 16714/2009), ma non incide sui diritti sostanziali delle parti, non provocando la cessazione della materia del contendere (Cass., n. 15374/2011), né tanto meno potendo incidere sull’esistenza del credito o sul titolo esecutivo che lo incorpora.
25148/2023 R.G. 8. Invero, l’estinzione della procedura esecutiva conseguente al venir meno del compendio pignorato (come nel caso di
retrocessione dell’azienda per effetto dello scioglimento dal contratto di affitto di azienda), ha fatto venir meno l’oggetto del pignoramento per intervenuta retrocessione dell’azienda e ha (semmai) peggiorato la posizione del debitore esecutato, per intervenuta assenza di beni utilmente aggredibili dal creditore.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi il giudice del reclamo pronunciato sulla violazione dell’art. 37 CCII e sulla legittimazione del creditore istante.
Con il quinto motivo si deduce, in via gradata rispetto al superiore motivo (analogamente a quanto dedotto con il terzo motivo) , violazione dell’art. 37 CCII, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la cognizione sommaria del giudice che procede alla apertura della liquidazione giudiziale possa porsi in contrasto con gli accertamenti compiuti in sede di cognizione ordinaria.
Il quarto e il quinto motivo sono inammissibili in quanto non si confrontano con le statuizioni della sentenza impugnata, che ha ritenuto che il venir meno dell’oggetto del pignoramento per effetto dell’estinzione della procedura esecutiva non comporta il venir meno del titolo esecutivo acquisito dal creditore istante, essendo tali circostanze attinenti alla possibilità per il creditore di soddisfarsi sui beni del debitore esecutato.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, regolandosi le spese processuali secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
25148/2023 R.G. 13. Fondata è la domanda ex art. 94 cod. proc. civ. di condanna alle spese del giudizio anche del legale rappresentante della ricorrente, domanda congiuntamente esperita dai controricorrenti (questione, peraltro, rilevabile anche di ufficio
perché attinente alla regolazione delle spese processuali). Sussistono i « motivi gravi» di cui alla disposizione in oggetto, individuabili nel fatto processuale della proposizione di ricorso in Cassazione senza la normale prudenza (Cass., Sez. U., n. 5398/1988), presupposto che va accertato e posto a fondamento di una autonoma responsabilità processuale del legale rappresentante conferente la procura speciale, in quanto soggetto estraneo al giudizio (Cass., n. 9203/2020; Cass., n. 27475/2019; Cass., n. 20878/2010).
Questi motivi, come già indicato da questa Corte (Cass., n. 8233/2022, puntualmente richiamata dal controricorrente RAGIONE_SOCIALE: pag. 16 controricorso), possono essere individuati anche nella grave imprudenza nell’avere proposto un ricorso non idoneo a superare il vaglio di ammissibilità del ricorso ex art. 360bis cod. proc. civ. La rilevanza di tale disposizione nel caso di reclamo proposto da società sottoposta a liquidazione giudiziale si apprezza, ulteriormente -come condivisibilmente esposto dai controricorrenti -nella impossibilità per l’origina rio creditore istante di soddisfarsi del credito per spese processuali nell’ambito della procedura concorsuale, non essendo le proprie spese processuali sostenute nell’interesse della massa (Cass., n. 22725/2019; Cass., n. 1186/2006), nonché per l’aggravio incorso ai creditori della liquidazione giudiziale, gravati di un costo prededucibile per l’attività prestata dal difensore della curatela, senza alcuna prospettiva di recupero nei confronti della società insolvente, il cui patrimonio è già acquisito all’attivo della procedura.
Nella specie, sussistono i presupposti di cui all’art. 94 cod. proc. civ., attesa la manifesta infondatezza dei primi tre motivi di ricorso, che hanno posto a fondamento di una fattispecie estintiva del credito del creditore istante un autonomo ma irrilevante fatto estintivo della procedura esecutiva del creditore -fatto che ha (al
contrario) aggravato la garanzia patrimoniale del debitore – nonché nella inammissibilità degli ultimi due motivi. Il legale rappresentante della società ricorrente NOME COGNOME va, pertanto, condannato al pagamento delle spese processuali in solido con la società ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, nonché il legale della ricorrente NOME COGNOME in solido ex art. 94 cod. proc. civ., al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascun controricorrente in € 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 11/09/2025.
Il Presidente NOME COGNOME