Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2478 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2478 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
R.G.N. 8566/2019
C.C. 18/01/2024
RAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale per notar Valente del 15 giugno 2020, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO; controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce Sez. dist. di Taranto n. 443/2018 (pubblicata in data 30 ottobre 2018);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024 dal Presidente relatore NOME COGNOME;
lette le memorie depositate dai difensori di entrambe le parti ai sensi dell’art. 380 -bis. 1. c.p.c.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione dell’ottobre 2012, COGNOME NOME nella dichiarata qualità di coniuge ed erede di COGNOME NOME -esponeva:
di essere proprietario, in comunione con COGNOME NOME di alcuni locali ubicati in un fabbricato facente parte integrante del RAGIONE_SOCIALE, in RAGIONE_SOCIALE di Pulsano, destinati ad attività commerciale e concessi in locazione nel 1992 ad una società (indicata nella sentenza di appello qui impugnata come ‘RAGIONE_SOCIALE. Conduttrice’), la quale era poi receduta dal contratto, poiché la P.A. aveva sospeso l’agibilità dei predetti immobili in attesa dell’adeguamento degli scarichi fognari da parte del citato RAGIONE_SOCIALE;
che il Tribunale di Taranto, con sentenza del 2006, aveva, in precedenza, accolto una domanda risarcitoria di NOME ed era stato, con sentenza del marzo 2012, respinto l’appello formulato dal suddetto RAGIONE_SOCIALE;
che, nelle more, i predetti lavori non erano stati eseguiti;
tanto premesso, conveniva in giudizio, dinanzi allo stesso Tribunale di Taranto, il medesimo RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere la sua condanna al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di euro 480.000,00 imputabile al mancato incasso dei canoni locatizi da parte della società conduttrice.
Il convenuto RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio, eccependo la carenza di legittimazione attiva dell’attore (in difetto della produzione di un idoneo riscontro che la comprovasse), e instava, in ogni caso, per il rigetto dell’avversa domanda.
Interveniva volontariamente in causa NOME, deducendo la comproprietà per la metà -unitamente agli eredi di NOME -dei locali in questione, chiedendo anche lui la condanna del menzionato
RAGIONE_SOCIALE al risarcimento in suo favore della metà degli indicati danni.
Il convenuto RAGIONE_SOCIALE si opponeva anche a tale pretesa.
L’adito Tribunale di Taranto, con sentenza n. 3234/2014, rigettava sia la domanda principale che quella formulata dall’interventore, la prima per difetto di legittimazione attiva (non avendo l’attore adeguatamente comprovato la sua qualità di coniuge ed erede di COGNOME NOME, essendo inidonea allo scopo la sola produzione della dichiarazione di successione) e la seconda perché il NOME non poteva giovarsi del giudicato di cui alla ricordata sentenza di condanna generica emanata dallo stesso Tribunale di Taranto in favore della RAGIONE_SOCIALE, non avendo, neanche lui, provato la qualità di erede o avente causa di quest’ultima.
Decidendo sui distinti gravami proposti dal NOME e dal NOME e nella costituzione, in ambedue i giudizi, dell’appellato RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di Lecce sez. dist. di Taranto, riuniti i processi, con sentenza n. 443/2018 (pubblicata il 30 ottobre 2028), li rigettava entrambi, confermando per intero l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado.
Avverso la suddetta sentenza di appello ha formulato ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il solo NOME.
Ha resistito con controricorso l’intimato RAGIONE_SOCIALE ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -la nullità della sentenza impugnata e la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 167, comma 1, c.p.c., sostenendo l’erroneità di detta sentenza nella parte in cui la Corte di
appello aveva ritenuto che egli non avesse assolto all’onere probatorio sulla qualità di marito ed erede di COGNOME NOME, non tenendo conto che il RAGIONE_SOCIALE appellato e convenuto in primo grado si fosse limitato soltanto ad eccepire genericamente un difetto di prova della legittimazione ad agire di esso NOME e non avesse, quindi, contestato specificamente tale circostanza.
Con la seconda censura, il ricorrente deduce – sotto diverso profilo e con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. la nullità della sentenza di appello e la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale inteso procedere a rilevare la titolarità, in capo ad esso ricorrente, del rapporto dedotto in giudizio, anziché limitarsi all’esame della ‘legittimazione ad agire’ del medesimo da condursi sulla sola base della sua prospettazione.
Con la terza doglianza, il ricorrente lamenta -avuto riguardo all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. la nullità, sotto un ulteriore profilo, della sentenza impugnata, unitamente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e degli artt. 110, 115 e 167, comma 1, c.p.c., per non aver la Corte di appello ritenuto sufficiente, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio di cui al primo motivo, la produzione della denuncia di successione tempestivamente depositata in primo grado in presenza di una condotta di controparte non contestativa della circostanza documentata.
Con il quarto ed ultimo mezzo, il ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. la nullità della sentenza di appello (sotto un ulteriore profilo), in uno alla violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 345 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale aveva dichiarato l’inammissibilità della produzione in appello del certificato
di stato di famiglia e dell’estratto dal registro dei matrimoni, ritenendo tali documenti nuovi.
E’ opportuno, in via preliminare, riassumere i termini della vicenda fattuale così come accertata in sede di merito.
Si verte nel caso di un ricorso per cassazione relativo ad una domanda di condanna al risarcimento dei danni nei confronti del controricorrente RAGIONE_SOCIALE nella misura corrispondente alla somma riconducibile alla perdita dei canoni locatizi non corrisposti alla parte proprietaria dalla conduttrice che era receduta dal contratto avendo la P.A. sospeso l’agibilità dei locali oggetto di locazione in attesa dell’adeguamento degli scarichi fognari da parte del RAGIONE_SOCIALE convenuto, lavori peraltro nelle more non eseguiti.
La Corte di appello confermava la sentenza di primo grado, non avendo l’attore comproprietario (il COGNOME) degli immobili dimostrato la sua legittimazione attiva, ovvero di essere coniuge ed erede di COGNOME, né l’interventore (il COGNOME) comprovato di potersi giovare del giudicato riconducibile a una precedente sentenza di condanna generica resa in favore della citata COGNOME, per aver, a sua volta, omesso di dimostrare di essere erede o avente causa di quest’ultima.
Solo il COGNOME ha, poi, proposto ricorso per cassazione.
La sua difesa -come dalla stessa sintetizzato nella memoria finale depositata ai sensi dell’art. 380 -bis.1. c.p.c. -ha focalizzato il nucleo delle questioni veicolate mediante i motivi proposti, riguardanti, in primo luogo, l’idoneità o meno della denuncia di successione dal medesimo COGNOME prodotta nel giudizio di primo grado per riscontrare la sua qualità di coniuge e di erede della
defunta COGNOME e, quindi, la sua ‘legitimatio ad causam’, tenuto conto anche della posizione assunta dalla controparte al riguardo (di ravvisata non contestazione di tale legittimazione); in via subordinata e nell’ipotesi di rilevata insufficienza a tal fine della produzione di detta denuncia, se potesse ritenersi ammissibile (contrariamente a quanto, invece, rilevato dal giudice di secondo grado) -ai sensi dell’art. 345 c.p.c. – la produzione, avvenuta in grado di appello, del certificato di stato di famiglia e dell’estratto dal registro dei matrimoni del Comune di Taranto.
Prima di esaminare i motivi, occorre dare atto dell’inammissibilità della ulteriore produzione effettuata dal nuovo difensore –AVV_NOTAIO costituitosi nell’interesse del ricorrente con comparsa del 6 luglio 2020, cui risulta conferita procura speciale notarile, alla quale è stato allegato il verbale di accettazione espressa dell’eredità di COGNOME NOME resa dal COGNOME nella forma notarile in data 15 giugno 2020 (trascritto il 24 giugno 2020), poiché trattasi di documento (oltretutto non notificato mediante elenco al controricorrente) non incluso nelle ipotesi eccezionali previste dall’art. 372, comma 1, c.p.c., non attenendo né alla nullità della sentenza impugnata né all’ammissibilità del ricorso.
In proposito, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4863/2010) ha avuto già modo di precisare che la prova mediante documenti delle condizioni dell’azione, nonostante queste, in caso di controversia sulle relative circostanze, siano verificabili fino al momento della decisione, da non limitarsi restrittivamente a quella di primo grado, è soggetta alle regole preclusive proprie di ciascun grado di giudizio; di conseguenza (v. Cass. n. 7515/2011), essendo inammissibile, ex art. 372 c.p.c., nella sede di legittimità, qualsiasi
attività istruttoria, sia pure documentale, sono irricevibili i documenti volti a provare la condizione dell’azione esercitata (come accaduto nel caso di specie).
Tutto ciò premesso, il collegio ritiene che i primi due motivi -esaminabili congiuntamente siccome connessi -non sono fondati.
Non sussistono, infatti, le dedotte violazioni circa l’asserita illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che lo stesso attore non avesse comprovato la sua ‘legitimatio ad causam’, malgrado si adduce -non vi fosse stata idonea contestazione sulla relativa circostanza ad opera della controparte, in tal senso sostenendosi che la Corte di appello sia incorsa nelle prospettate violazioni di cui agli artt. 115, 167, comma 1, e 112 c.p.c.
Diversamente dalla ricostruzione rappresentata con tali censure, la Corte tarantina ha correttamente rilevato che il COGNOME non avesse dimostrato -nell’esercizio della proposta azione risarcitoria -l’allegata qualità di coniuge ed erede legittimo di COGNOME, non potendosi -al di là o meno della idoneità della produzione documentale effettuata in primo grado (limitata alla sola denuncia di successione) -ritenere che tale addotta qualità non fosse stata contestata dal convenuto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, essendo, invece, stata inequivoca -ancorché concisa -la contestazione al riguardo: il giudice di appello rimanda -sul punto ‘per relationem’ alla pag. 23 della comparsa di costituzione e di risposta del medesimo RAGIONE_SOCIALE, laddove, quest’ultimo (per come riportato specificamente nel controricorso), aveva chiaramente dedotto il difetto di legittimazione attiva del COGNOME dichiaratosi in atti marito ed erede legittimo della sig. COGNOME, nonché comproprietario dei beni oggetto di causa, contrapponendo a tali affermazioni
l’univoca manifestazione di volontà difensiva nel senso che la parte attrice non aveva fornito alcuna prova documentale che ne attestasse la legittimazione ad agire.
Sulla base di ciò è indiscutibile che non potesse trovare applicazione il prospettato ‘principio di non contestazione’ della rappresentata qualità del COGNOME, al quale, quindi, incombeva lo specifico onere di provare l’allegata condizione dell’azione e, in tali termini, la Corte di appello si è mantenuta nell’ambito del ‘thema decidendum’ relativo all’oggetto dedotto in giudizio.
Deve, perciò, trovare conferma il principio secondo cui il soggetto che promuova l’azione nella prospettata qualità di erede (e nel caso di specie anche di coniuge) di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto fatto valere deve allegare la propria ‘legitimatio ad causam’ per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore e fornire, perciò, mediante le necessarie produzioni documentali, la prova -a fronte di inequivoca contestazione della controparte sulla sussistenza di tale legittimazione -sia del decesso della parte originaria, sia della dedotta sua qualità di erede, costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel diritto fatto valere in giudizio e, pertanto, alla proposizione della relativa azione in suo nome e nel proprio interesse in sostituzione del defunto titolare del diritto stesso: ne consegue che, in difetto dell’assolvimento di tale onere probatorio incombente sulla parte attrice ai sensi dell’art. 2697 c.c., non può ritenersi dimostrata tale indefettibile condizione dell’azione.
Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha puntualizzato che detta circostanza è rilevabile anche d’ufficio, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, ad inderogabili disposizioni di ordine pubblico processuale, per cui si ritiene che resta
anche ininfluente che la questione sia stata o meno sollevata e contestata dalla controparte ed in quali termini (cfr., tra le tante, Cass. n. 13685/2006, Cass. n. 1943/2011 e, da ultimo, Cass. n. 24050/2019).
Anche il terzo motivo è destituito di fondamento.
Previamente riconfermata la circostanza che la contestazione formulata attraverso l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del COGNOME era sufficientemente idonea allo scopo e che, peraltro, il difetto di tale condizione sarebbe stato comunque rilevabile d’ufficio, è da condividersi la sentenza qui impugnata anche nella parte in cui ha rilevato che -ai fini della dimostrazione della dedotta qualità, da parte del COGNOME, di coniuge ed erede di COGNOME NOME -la delazione dell’eredità non potesse essere riscontrata con la sola produzione della dichiarazione di successione (come, del resto, evincibile dagli stessi precedenti giurisprudenziali -Cass. n. 868/2017 e Cass. n. 22730/2021 – di questa Corte evocati nella memoria del ricorrente, con i quali si è affermata che l’adeguatezza a tal fine della prova può dirsi raggiunta con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il ‘de cuius’ che legittima alla successione ai sensi dell’art. 565 e segg. c.c.: v., già in precedenza, Cass. SU n. 12065/2014).
8. Anche il quarto ed ultimo motivo non coglie nel segno e deve essere disatteso, dal momento che, con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha ritenuto legittimamente inammissibile la produzione dei due nuovi documenti (ancorché ne fosse possibile l’allegazione fin dal giudizio di primo grado) ovvero del certificato di stato di famiglia e dell’estratto dal registro dei matrimoni del Comune di Taranto siccome avvenuta in violazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo ‘ratione temporis’ vige nte, ovvero di quello da
ultimo novellato dall’art. 54, comma 1, lett. 0b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modif., dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ai giudizi in cui la sentenza di primo grado sia stata pubblicata a decorrere dall’11 settembre 2012 (nella vicenda processuale in esame tale pubblicazione è intervenuta nel novembre 2014).
Va, perciò, riconfermato il principio (v. Cass. n. 26522/2017; Cass. n. 21606/2021 e Cass. n. 29506/2023) in base al quale, nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., quale risulta dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012 (applicabile, per l’appunto, nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012), pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l'”indispensabilità” degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (evenienza, questa, non verificatasi nella fattispecie qui venuta in rilievo).
9. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso va respinto, con conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo (tenuto conto delle attività compiute nell’interesse del controricorrente e del valore della causa).
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P .R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 6.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile