Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12773 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12773 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
Oggetto: appalto pubblico – consorzio per l’esecuzione dei lavori
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6643/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME
– ricorrente –
contro
Comune di Torre Annunziata, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1124/2018, depositata l’8 marzo 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli,
depositata l’ 8 marzo 2018, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunciata che aveva respinto la sua domanda di condanna del comune di tale città al risarcimento dei danni per inadempimento del contratto di appalto avente a oggetto la realizzazione di un programma di edilizia residenziale concluso, quale parte appaltatrice, dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, le quali avevano costituito la società consortile attrice per l’esecuzione unitaria dei lavori ;
dall ‘esame della sentenza impugnata si evince che la domanda attorea si fondava sull’allegazione d i plurime illegittime sospensioni disposte dall’ente appaltante per un totale di 991 giorni, dell’omesso collaudo e della mancata consegna dell’opera per fatto di quest’ultimo e della realizzazione di opere non oggetto del contratto ed eseguite su espressa disposizione della direzione dei lavori;
la Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure aveva disatteso la domanda attorea rilevando il difetto di legittimazione attiva della C.A.RAGIONE_SOCIALE in quanto soggetto che non era subentrato nel rapporto contrattuale dedotto in giudizio alle società appaltatrici;
ha, quindi, respinto il gravame condividendo la decisione appellata in ordine alla mancata prova del subentro della società appellante nel contratto di appalto e ritenendo non dimostrato il giudicato esterno eccepito a tal fine;
ha aggiunto che la carenza di legittimazione attiva era rilevabile d’ufficio e, dunque, anche in assenza di apposita eccezione della controparte e che la costituzione di una società per l’esecuzione unitaria dei lavori appaltati non determinava di per sé il subentro di quest’ultima nei diritti e obblighi assunti dalle società appaltatrici nei confronti della stazione appaltante;
-ha, poi, dichiarato assorbito l’appello incidentale condizionato dell’ente locale finalizzato all’accoglimento dell e domande riconvenzionali di condanna dell’appellante al pagamento delle penali
contrattuali per sospensioni dei lavori e mancata ultimazione degli stessi nel termine previsto;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso il Comune di Torre Annunziata;
le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 115 e 324 cod. proc. civ., 24 Cost., 124 disp att. cod. proc. civ., 339 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, 23 bis l. 8 agosto 1977, n. 584, 12 disp. prel. cod. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso , per aver la Corte di appello ritenuto che la parte che eccepiva il giudicato esterno -asseritamente rappresentato da una sentenza della medesima Corte che aveva dichiarato la nullità del lodo arbitrale pronunciato tra le parti in ordine alla medesima vicenda e che avrebbe (implicitamente) accertato l ‘esistenza del rapporto contrattuale dedotto in giudizio tra le parti -era onerata di produrre in giudizio la certificazione di cui al predetto art. 124 disp. att. cod. proc. civ. da cui risultava che la pronuncia non era più soggetta a impugnazione, benché non vi fossero contestazione in ordine all’esistenza di un siffatto giudicato ;
con il medesimo motivo critica, inoltre, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la pronuncia oggetto dell’eccepito giudicato non conteneva alcuna statuizione in ordine alla titolarità del rapporto controverso e si limitava all’accertamento del mancato inserimento nel contratto di appalto di una clausola compromissoria;
con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 112 e 324 cod. proc. civ., 339 l. n. 2248 del 1865, all. F, 23 bis l.n. 584 del 1977, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, per aver la sentenza impugnata ritenuto che fosse mancante la prova della cessione del contratto da parte delle appaltatrici in favore della società consortile appellante;
sottolinea l’erroneità della decisione nella parte in cui aveva omesso di considerare che era intervenuto il dedotto subentro e che il Comune aveva acconsentito alla sostituzione mediante atti formali;
con il terzo motivo si duole della violazione falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e 2 Cost, nonché dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, per aver la Corte territoriale mancato di considerare abusiva l’eccezione dell’ente locale di carenza di legittimazione attiva atteso che una siffatta eccezione non era stata sollevata nel corso del giudizio arbitrale, durato sette anni, che aveva pre ceduto l’avvio del giudizio dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria e dello svolgimento del rapporto e della fase di trattative per il bonario componimento della vertenza;
con il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 173, 1218 e 2615 ter cod. civ., 112 e 113 cod. proc. civ., 23 bis l.n. 584 del 1977 e 5 l. 5 dicembre 1981, n. 741, per aver la Corte di appello omesso di considerare che la società consortile costituita ai sensi del predetto art. 23 bis subentra nell’esecuzione del contratto senza necessità di alcuna autorizzazione o approvazione dell’ente appaltante e che, comunque, si era innestata tra le parti una relazione duratura idonea a dare luogo a obblighi di comportamento da contatto sociale;
-con l’ultimo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. nella parte in cui aveva posto a suo carico l’onere del pagamento delle spese processuali e il versamento dell’ulteriore importo corrispond ente a quanto già pagato a titolo di contributo unificato;
il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
in ordine al primo aspetto ivi denunciato, si osserva che la parte che eccepisce il passaggio in giudicato di una sentenza ha l’onere di fornirne la prova mediante produzione della stessa, munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. cod. proc. civ., dalla quale risulti che non è
soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere né che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere di quest’ultima dimostrare la (cfr. Cass. 28 dicembre 2023, n. 36258; Cass. 2 marzo 2022, n. 6868; Cass. 23 agosto 2018, n. 20974; Cass. 1° marzo 2018, n. 4803);
parte ricorrente sostiene che a tale orientamento interpretativo dovrebbe preferirsi altro secondo cui l’esistenza di un giudicato, anche esterno, è rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio;
tale ultimo orientamento, in realtà, non si pone in contrasto con quello precedentemente riportato, in quanto la rilevabilità d’ufficio dell’efficacia del giudicato esterno (anche dinanzi al giudice di legittimità) formatosi nelle more dei gradi di merito presuppone sempre che l’ esistenza dello stesso emerga dagli atti prodotti nel giudizio di merito e, dunque, non fa venir meno la necessità che in tali gradi sia stata prodotta la sentenza rappresentante il giudicato invocato e la relativa certificazione ex art. 124 disp. att. cod. proc. civ.; -inammissibile è poi il secondo profilo di censura relativo all’interpretazione operata dal giudice di merito in ordine al contenuto del giudicato eccepito;
viene, infatti, in rilievo una seconda ratio decidendi , autonoma e distinta da quella consistente nella mancata dimostrazione del passaggio in giudicato della sentenza invocata quale autorità di cosa giudicata, per cui la resistenza di quest’ultima alla critica sollevata in questa sede osta all’esame della qu estione prospettata, stante la definitività dell’autonoma motivazione non utilmente impugnata e, conseguentemente, l’impossibilità di tale questione, anche laddove ritenuta fondata, a condurre all’ann ullamento della sentenza (cfr., sul punto, Cass. 14 agosto 2020, n. 17182; Cass. 18 aprile 2019, n. 10815; Cass. 27 luglio 2017, n. 18641);
il secondo e il quarto motivo, esaminabili congiuntamente, sono
infondati;
in tema di appalto di lavori pubblici, l’art. 23 bis l.n. 584 del 1977 ha la esclusiva portata di legittimare la società consortile nei confronti dell’ente appaltante nella esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto a carico dell’associazione temporanea d’imprese, ma non ne comporta la sostituzione, sia perché la norma fa riferimento ad un subentro nella esecuzione totale o parziale del contratto e non ad una successione nel rapporto giuridico sorto con la convenzione con l’ente appaltante, sia perché la norma esclude in modo assoluto che ciò determini subappalto o cessione di contratto, tant’è che espressamente prevede che non siano necessarie autorizzazioni o approvazioni, sia, infine, perché permane la responsabilità delle imprese riunite, come regolata dall’art. 21 l.n. 584 del 1977 (cfr. Cass. 26 novembre 2008, n. 28220; Cass. 4 gennaio 2001, n. 77; nonché, da ultimo, sul più ampio tema d ell’ associazione temporanea di imprese, Cass. 15 dicembre 2024, n. 32676);
ne consegue che la società consortile, eseguendo l’opera appaltata alle imprese consorziate, non acquista alcun diritto nei confronti della committente e non è sua creditrice;
il terzo motivo è inammissibile e, comunque, infondato;
-la doglianza si fonda sull’asserita violazione delle disposizioni che, attenendo a obblighi in tema di comportarsi secondo correttezza e buona fede nell’ambito dello svolgimento dei rapporti obbligatori e dell’esecuzione del contratto , sono estranee alla disciplina delle condotte da tenersi in sede processuale;
in ogni caso, si osserva che le parti, nell’esercizio del loro diritto di difesa in giudizio, sono libere di articolare le rispettive strategie difensive nel modo che ritengono più opportuno nel rispetto del divieto generale di abusare del loro diritto che non consente di agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave, di frazionare abusivamente il credito o di usare espressioni sconvenienti o offensive;
tale limite risulta essere stato rispettato nel caso in esame;
il quinto motivo è inammissibile;
-la censura si fonda sull’assunto della fondatezza dell’appello che è smentita dalla sentenza impugnata;
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 15.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 15 aprile 2025.