Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25148 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25148 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30891/2019 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dell’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME, COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonchè
LA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
– controricorrente –
nonchè
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 576/2019 depositata il 01/04/2019;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOMEche ha insistito per il rigetto del ricorso);
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME -proprietario di una unità immobiliare d ell’edificio condominiale «Vola Gera» sito in Castellamonte – conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Ivrea l’impresa RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE. (esecutrice dei lavori di rifacimento del tetto condominiale, riferiti a ripristini del manto di copertura dello stabile e delle relative pertinenze, allo scopo di consentire ai singoli condomini l’installazione d ell’ impianto di riscaldamento autonomo e proprio di ogni unità, previo distacco da quello centralizzato), COGNOME NOME (amministratrice dello stabile a partire dall’esercizio 2009/2010), il geom. NOME COGNOMEprogettista/direttore lavori), contestando l’inesatto adempimento delle delibere condominiali del 31.01.2008 e del 13.10.2009 e, in particolare, la cattiva esecuzione dei lavori al tetto condominiale, l’omessa realizzazione degli sfiati individuali degli impianti autonomi di riscaldamento a parete, nonché numerose altre carenze esecutive.
Chiedeva, quindi, l’attore l’eliminazione dei vizi e difetti denunciati, la realizzazione di tutte le opere deliberate nelle assemblee condominiali sopra citate, nonché il riconoscimento del risarcimento dei
danni patiti in conseguenza dell’impossibilità di utilizzo del proprio alloggio.
L ‘impresa appaltatrice rimaneva contumace .
Si costituivano invece l’ex amministratrice NOME COGNOME e il geometra NOME COGNOME contestando la pretesa e spiegando domanda riconvenzionale di condanna dell’attore al rimborso delle spese relative al provvedimento ex art. 696bis cod. proc. civ.
Chiedevano, inoltre, l’autorizzazione a chiamare in causa RAGIONE_SOCIALE che si costituiva opponendo alla Grandola l’inoperatività della polizza, e al Nigra i limiti di massimale oltre agli scoperti di polizza.
Il Tribunale di Ivrea, con sentenza n. 50/2017, accoglieva parzialmente le domande dell’attore e, rilevando che la prima delibera era stata adottata quando la Grandola non aveva ancora assunto il ruolo di amministratrice del Condominio, condannava l’impresa COGNOME e il D.L. COGNOME a dare corretta esecuzione a quanto deciso nella delibera condominiale del 13.10.2009, eliminando i vizi riscontrati dal CTU; disattendeva la domanda dell’attore nei confronti de ll’amministratrice, perchè la stessa aveva curato l’esecuzione della delibera in parola senza, peraltro, essere onerata della vigilanza circa l’andamento dei lavori, alla cui direzione era preposto altro soggetto . Condannava, quindi, l’impresa COGNOME rato e il D.L. COGNOME, in solido, a rimborsare all’attore le spese di ATP, nonché le spese di lite nella misura dei 3/5, i restanti 2/5 posti a carico di Bonesio; condannava l’attore a rimborsare integralmente all’ ex amministratrice COGNOME le spese di causa; condannava in solido l’attore e il COGNOME a rimborsare alla società RAGIONE_SOCIALE le spese di lite; condannava l’attore al pagamento delle spese di CTU nella misura di 1/5, ponendo
la restante parte a carico dei convenuti, società RAGIONE_SOCIALE in ragione dei 2/5 ciascuno.
Avverso detta pronuncia proponeva appello il COGNOME e la Corte di Appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello incidentale :
dichiarava la carenza di legittimazione attiva di NOME COGNOME in ordine alle domande formulate nei confronti di COGNOME NOME, NOME NOME e della s.a.s. COGNOME NOME di COGNOME NOME e C., in quanto si era in presenza esclusivamente di presunte inadempienze riferibili al rapporto negoziale di amministrazione tra l’ente condominiale ed il soggetto incaricato, la cui tutela giudiziaria (a maggior ragione qualora sollecitata in una pronuncia di condanna ad un adempimento in forma specifica) compete solamente all’amministratore , quale soggetto stipulante ed unico interlocutore contrattuale, senza alcuna investitura vicaria attribuibile al singolo condòmino. Con ciò venendo meno anche i presupposti per la correzione dell’errore materiale da cui era affetta la sentenza di primo grado;
con riferimento ai profili di risarcimento invocati dal COGNOME, la Corte territoriale dichiarava inammissibile la richiesta reiterata di rimborso delle somme di €. 145,20 (per un intervento di natura termo idraulica sullo scarico della caldaia), in assenza di riscontro allegato, anche solo indiziario o quale ipotetico risultato di prove costituende, a riprova della ascrivibilità degli asseriti danneggiamenti all’imp roprio modus operandi dell’appaltatrice, oppure ad un deficit di controllo e di sorveglianza da parte dell’ammi nistratore e della direzione lavori;
rigettava, altresì, la domanda di pagamento della somma di €. 4.200,00 (computati in ragione di €. 350,00 mensili) per l’impossibilità di fruire dell’unità abitativa nel periodo da novembre 2010 a novembre 2011, non corredata da alcun supporto argomentativo e logico
adeguato a confutare la decisione sul punto del primo giudice ed a dimostrarne l’erroneità;
condannava l’attore a rimborsare a COGNOME NOME e a NOME le spese legali da questi ultimi sostenute con riferimento al giudizio primo grado;
quanto alle spese di lite sostenute dalla società di assicurazione chiamata in causa, la Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di gravame spiegato dal COGNOME in ordine alla sua condanna al pagamento delle spese di lite della società di assicurazione.
Avverso la suddetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi illustrati con memoria.
Resistono la COGNOME e il COGNOME con controricorso illustrato da memoria, nonché la società assicuratrice (ora RAGIONE_SOCIALE).
La società appaltatrice è rimasta intimata.
Il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione/falsa applicazione degli artt. 24, comma 1, Cost., 2907 cod. civ. e 100 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. per aver il giudice d’appello negato la legittimatio ad causam del COGNOME in relazione alle domande aventi ad oggetto gli interventi manutentivi straordinari, assunti come viziati ed incompleti per inadeguata progettazione, esecuzione e verifica. La Corte territoriale, a suo dire, avrebbe indebitamente disconosciuto la facoltà del condòmino, nella sua qualità di comproprietario delle parti comuni dell’edificio, di tutelare quanto oggetto del proprio diritto da un danno ingiusto, cagionato da soggetti
che avevano la responsabilità della progettazione, dell’esecuzione, del controllo e della verifica degli interventi manutentivi.
Sotto un primo profilo, il ricorrente ritiene che la fattispecie oggetto di causa avrebbe dovuto essere ricondotta alla titolarità del lato attivo del diritto e non della legittimatio ad causam : ove il giudice accerti che l’attore non è titolare del diritto fatto valere, la pronuncia di rigetto dovrà riguardare l’infondatezza nel merito, ossia l’insussistenza del diritto, e non già il difetto di legittimazione ad agire. Oltre al fatto che la questione relativa alla legittimazione al giudizio è stata sollevata solo quale motivo d’appello incidentale.
Con una seconda argomentazione, il ricorrente espone che, anche a séguito dell’intervento sul punto delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 19663/2014 e n. 10934/2019), il condominio non è di per sé dotato di personalità giuridica: non può, dunque, negarsi il potere del singolo condòmino di agire personalmente a tutela del suo diritto che gli spetta in qualità di proprietario esclusivo e di comproprietario pro quota delle parti comuni rappresentate nel caso di specie dal tetto di copertura dell’edificio condominiale e dai muri maestri. Del resto, anche la pronuncia menzionata in sentenza (Cass. n. 8173/2012), diversamente da quanto affermato dal giudice di seconde cure, con riferimento alle domande tendenti ad esercitare atti conservativi di difesa dei beni comuni, non dubita della sussistenza della legittimazione attiva del singolo condòmino.
Con un’ulteriore censura il ricorrente contesta la statuizione della Corte di Appello in merito al fatto che l’attribuzione della legittimazione al Condominio deriverebbe dalla natura obbligatoria della vicenda. A giudizio del ricorrente, la rappresentanza processuale attiva del C ondominio in capo all’amministratore per controversie nascenti da un contratto non può farsi discendere dal solo fatto che l’amministratore
abbia stipulato in nome e per conto del condominio il contratto cui la controversia si riferisce, ben potendo essere promossa l’azione anche da ciascuno dei condòmini, anche alla luce del fatto che quello del l’amministratore costituisce un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza.
Infine, con riferimento alla fattispecie concreta, il ricorrente osserva che, in mancanza del suo intervento, gli inadempimenti di tutti i convenuti non sarebbero stati perseguiti, in quanto l’amministrat rice Grandola non avrebbe agito a tutela dei beni comuni ma, come in altre e precedenti circostanze, sarebbe rimasta inerte e indifferente. Pur consapevole della sussistenza dei vizi, ella ha sostenuto la bontà dei lavori svolti dal coniuge, geometra NOMECOGNOME e dagli altri soggetti convenuti, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, in netto contrasto con gli interessi col condominio.
Il motivo è infondato.
La vicenda giudiziaria de qua prende avvio da una delibera assunta il 13.10.2009dal Condominio, amministrato a quella data dall’architetto NOME COGNOME con la quale era stato affidato alla s.a.s. COGNOME NOME la ristrutturazione del tetto condominiale. Ritenendo l’esecuzione della suddetta delibera viziata, incompleta e difettosa, il condòmino NOME COGNOME aveva convenuto in giudizio l’impresa appaltatrice e il Direttore dei Lavori.
La Corte d’Appello ha inteso verificare la sussistenza di una condizione dell’azione proposta nei confronti dell’impresa appaltatrice, ossia la legittimazione attiva del condòmino COGNOME in rapporto alla legittimazione ad agire riconosciuta al rappresentante del Condominio, in controversie aventi ad oggetto domande tendenti ad esercitare atti conservativi a difesa di beni comuni (nel caso di specie, il tetto del Condominio).
Tanto chiarito, l’amministratore di condominio ha la rappresentanza dei partecipanti con riferimento agli atti conservativi, in quanto ente di mera gestione che non ha personalità giuridica né diritti propri.
Nel caso di specie, è evidente che non è stata introdotta una controversia concernente la limitazione di un diritto di ciascun condòmino (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12678 del 05.06.2014), né la tutela di diritti del comproprietario pro quota delle parti comuni (per tutte: Cass. Sez. U., n. 10934 del 2019; da ultimo: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16934 del 14/06/2023, Rv. 668319 – 01), bensì una controversia avente ad oggetto la (corretta) esecuzione di una delibera che autorizzava interventi conservativi su parti comuni (il tetto del condominio), rispetto ai quali la posizione del singolo condòmino resta assorbita nell’organizzazione del gruppo: pertanto, la rappresentanza dell’amministratore è esclusiva (per tutte: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20282 del 14/07/2023, Rv. 668334 -01).
Né ha pregio -nel senso della necessità della concorrenza della legittimatio ad causam del singolo condòmino -l’argomento da ultimo dedotto dal ricorrente, in ordine all’assenza di tutela in cui cadrebbe il Condominio, potendo soccorrere -nel caso di inerzia dell’amministratore – altri strumenti di reazione, quali, ad esempio, per quel che qui rileva, i ricorsi contro i provvedimenti dell’amministratore ex art. 1133 cod. civ., la domanda di revoca giudiziale dell’amministratore ex art. 1129, comma 11, cod. civ., o il ricorso all’autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell’art. 1105, comma 4, cod. civ.
Con il secondo motivo si deduce violazione/falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente si duole della statuizione della Corte di
Appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di rimborso del costo sostenuto per il ripristino del tubo di smaltimento dei fumi dell’impianto autonomo di riscaldamento e produzione di acqua dell’appartamento dell’odierno ricorrente. Sostiene il ricorrente che la Corte ha errato, in primo luogo, nel ritenere che nella delibera di cui aveva chiesto l’esecuzione il Bonesio non erano incluse anche le opere sugli scarichi a cura dell’impresa appaltatrice, che ad avviso del ricorrente erano stati danneggiati dalla impresa appaltatrice. In secondo luogo, ha errato nel ritenere la domanda d’appello priva del requisito dell’autosufficienza ex 342 cod. proc. civ., in quanto il ricorrente si sarebbe limitato a corroborare l’originaria conformità dell’impianto termoidraulico alla regola d’arte, con un solo rimando ad un documento allegato alla consulenza tecnica. Sul punto, il ricorrente espone come egli abbia delineato bene il quadro indiziario, fornendo prova del fatto che prima dell’intervento della ditta appaltatrice l’impianto di riscaldamento autonomo della propria unità abitativa era ultimato e dotato di certificazione di conformità alla regola d’arte, in data 31/12/2008. Inoltre, egli aveva fornito prova documentale delle condizioni in cui la tubatura si trovava dopo la manutenzione del tetto, anche reiterando le istanze istruttorie per testi con capitoli specifici. In ogni caso, conclude il ricorrente, la sussistenza della molteplicità di indizi gravi precisi e concordanti avrebbe consentito al giudice di ritenere provato il fatto ex artt. 2727-2729 cod. civ.
Anche tale motivo è infondato.
Sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio
convincimento (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
Nel caso che ci occupa, la Corte territoriale ha ritenuto che l’ appellante si era limitato a corroborare, mediante rimando ad un documento allegato alla relazione del proprio consulente tecnico, l’originaria « conformità dell’impianto alla regola dell’arte », nonché a descrivere la pessima condizione dell’accessorio in epoca successiva all’esecuzione dell’opera di rifacimento del manto di copertura, senza neanche allegare nessun riscontro, anche solo indiziario o quale ipotetico risultato di prove costituende (v. sentenza p. XV, 3° -4° capoverso).
Trattasi di valutazione attinente al merito della causa, immune da incongruenze logico-giuridiche, pertanto insindacabile in questa sede.
Con il terzo motivo si deduce violazione/falsa applicazione degli artt. 342 e 115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta l ‘ erroneità della statuizione della Corte territoriale in merito al rigetto della richiesta risarcitoria per l’impossibilità dell’utilizzo della propria unità abitativa nel corso di un anno a causa del danno alle tubature, in quanto non debitamente provato dall’odierno ricorrente. Il ricor rente evidenzia: che nell’atto di appello egli aveva esplicitamente riproposto le istanze istruttorie, e in particolare i capitoli di prova per testi e la rinnovazione della CTU; che specifiche prove erano state dedotte a sostegno del danno subìto, in completo assolvimento degli oneri probatori, fornendo prove documentali.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile il motivo condividendo il giudizio di genericità dei capitoli di prova per testi e rilevando che l’attore non aveva provato né l’indisponibilità dell’unità
immobiliare, né che tale indisponibilità fosse direttamente correlata agli errati lavori sul tetto eseguiti dall’appaltatrice (v. sentenza p. XVI, par. d).
A fronte di un tale apparato argomentativo, il ricorrente – in violazione del principio di specificità (v. art. 366 n. 6 cpc) -omette di riportare le parti rilevanti dei capitoli di prova ritenuti generici dalla Corte territoriale, ovvero il contenuto delle prove documentali ritenute assertivamente sufficienti a fondare la domanda.
4. Con il quarto motivo si deduce violazione/falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 169 cod. proc. civ., 76 e 77 disp. att. cod. proc. civ., 90 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. per avere la Corte di merito respinto il quinto motivo di appello con cui egli si doleva della sua condanna ‘ al rimborso delle spese processuali di Cattolica Assicurazione, assicuratrice dell’arch. COGNOME e dalla stessa chiamata in Manleva ‘. Premesso che il Tribunale di Ivrea aveva ‘ invocato il principio di causalità ‘, ad avviso del ricorrente, la manifesta infondatezza della domanda di garanzia spiegata dalla COGNOME – derivante dalla dedotta inoperatività della polizza di assicurazione nei suoi confronti e dalla assenza di replica a tale eccezione da parte della ‘ chiamante ‘ – comportava una deroga a principio generale di causalità affermato dal Tribunale di Ivrea. Il ricorrente svolge quindi una serie di considerazioni per dimostrare la non addebitabilità della mancata produzione dei documenti a sostegno dell’eccezione di inoperativ ità (polizza assicurativa e relative condizioni).
Il motivo è infondato, dovendosi però correggere la motivazione ai sensi dell’art. 384 ultimo comma cpc .
Il principio di causalità comporta che in caso di rigetto della domanda principale, le spese sostenute dal terzo chiamato a titolo di
garanzia impropria devono essere poste a carico dell’attore soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, mentre restano a carico del chiamante in causa quando la sua iniziativa si riveli manifestamente infondata o palesemente arbitraria, atteso che il convenuto chiamante sarebbe stato soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa principale. (cfr. Sez. 1 – , Ordinanza n. 10364 del 18/04/2023; v. anche Sez. 3 – , Ordinanza n. 31889 del 06/12/2019).
Il motivo in esame, che invoca sostanzialmente la mancata applicazione della deroga al principio generale di causalità nella regolamentazione delle spese di lite, si incentra, come si vede, unicamente sulla posizione della chiamante COGNOME (ex amministratrice), evidenziando profili di manifesta infondatezza della chiamata in garanzia da essa spiegata per inoperatività della polizza assicurativa ‘ con riguardo alla attività di amministratrice condominiale, per essere la copertura relativamente a quella di architetto ‘ (e la non addebitabilità all’attore della mancata disponibilità dei documenti comprovanti tale inoperatività (v. ricorso pagg. 27 e ss.).
Il motivo, invece, tace completamente, sulla posizione del geom. COGNOME cioè dell’altro assicurato che pure aveva azionato la chiamata in garanzia, senza evidenziare alcun profilo di errore della sentenza di appello che ha comunque confermato la statuizione di condanna emessa dal primo giudice alla rifusione delle spese sostenute dalla società a seguito della chiamata effettuata da entrambi i convenuti e quindi anche dal COGNOME, statuizione che -a dire dello stesso ricorrente -era avvenuta ‘ alla luce del solo principio di causalità della chiamata del terzo ‘ (v. ricorso pag. 30).
La censura quindi non attinge compiutamente la sentenza e pertanto non può essere accolta.
Con il quinto motivo il ricorrente richiede la cassazione della pronuncia d’appello con riguardo al capo relativo alle spese di lite, integralmente accollate a suo carico per ambedue i gradi di giudizio di merito, stante la piena sussistenza della sua legittimatio ad causam .
La doglianza è inammissibile, non configurandosi come motivo di ricorso, bensì quale mero auspicio: avendo, comunque, il Collegio rigettato il ricorso e, quindi, avendo confermato la soccombenza, risulta corretta l ‘ attribuzione delle spese di lite a suo carico.
Con il sesto motivo si chiede la correzione di errore materiale. Il ricorrente si duole della mancata pronuncia della Corte d ‘A ppello in merito alla correzione dell’errore materiale della sentenza del Tribunale nella parte in cui era stata disposta la condanna solidale della COGNOME RAGIONE_SOCIALE e del D.L. COGNOME «a realizzare i faldali in piombo anziché in rame come previsto in preventivo», dovendo invece intendersi nel senso di «realizzare i faldali in rame, come previsto in preventivo, anziché in piombo».
Avendo il Collegio rigettato anche il primo motivo di ricorso, confermando l’assenza di legittimatio ad causam dell’odierno ricorrente con riferimento agli interventi conservativi su parti comuni (il tetto del condominio), cui l’errore materiale indicato si riferisce , la presente doglianza si dichiara assorbita.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese sono liquidate in dispositivo secondo la regola della soccombenza.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME che liquida in €. 4.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%; in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, che liquida in €. 3.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025.