LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Legittimazione attiva cessionario: come provarla

Una società cessionaria di un credito ha ottenuto la riforma di una sentenza di primo grado che ne negava la legittimazione attiva. La Corte d’Appello ha stabilito che la produzione del contratto di cessione in blocco, unitamente a documenti specifici del rapporto, costituisce prova sufficiente della titolarità del credito. Questa decisione chiarisce l’onere probatorio per la legittimazione attiva del cessionario nei giudizi di recupero crediti.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 novembre 2024 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Legittimazione attiva cessionario: la prova decisiva nel recupero crediti

Nel complesso mondo del recupero crediti, uno degli aspetti più cruciali è la prova della legittimazione attiva del cessionario, ovvero la dimostrazione da parte della società che ha acquistato il credito di avere il diritto di agire in giudizio. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Salerno offre chiarimenti fondamentali su quali documenti siano necessari e sufficienti a tale scopo, riformando una decisione di primo grado e accogliendo le ragioni della società creditrice.

I Fatti di Causa

Una società finanziaria, specializzata nell’acquisto di portafogli di crediti deteriorati (distressed), aveva avviato un’azione legale per il recupero di una somma derivante da un contratto di finanziamento. In primo grado, il Tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dalla società, ritenendo che quest’ultima non avesse adeguatamente provato di essere l’effettiva titolare del credito. Secondo il primo giudice, mancava la dimostrazione che quello specifico credito rientrasse nel pacchetto acquistato tramite una cessione in blocco dall’istituto di credito originario.

La società creditrice ha quindi presentato appello, sostenendo di aver fornito tutti gli elementi necessari a comprovare la propria titolarità. I debitori, invece, non si sono costituiti nel giudizio di secondo grado, rimanendo contumaci.

La Prova della Legittimazione Attiva del Cessionario in Appello

La Corte d’Appello ha ribaltato completamente la decisione del Tribunale, accogliendo l’appello. I giudici hanno ritenuto che la società appellante avesse pienamente dimostrato la propria legittimazione attiva del cessionario.

La prova è stata fornita attraverso una serie di documenti cruciali:
1. Il contratto di cessione di crediti pro soluto ed in blocco: Questo documento, stipulato con la banca originaria, descriveva in modo estremamente specifico le categorie di crediti trasferiti, indicando criteri precisi (es. crediti denominati in Euro, per cui era già intervenuta la decadenza dal beneficio del termine, regolati dalla legge italiana, ecc.).
2. La lettera di comunicazione al debitore: In conformità all’art. 1264 del codice civile, la società aveva prodotto la raccomandata con cui l’istituto cedente informava il debitore dell’avvenuta cessione del suo specifico contratto.
3. Documentazione relativa al singolo credito: Erano stati depositati anche il contratto di finanziamento originario, l’estratto conto e la lettera di decadenza dal beneficio del termine, tutti documenti provenienti dal creditore originario, a dimostrazione del possesso del fascicolo del credito.

L’onere della prova e il comportamento del debitore

La Corte ha inoltre sottolineato un altro aspetto importante. In primo grado, i debitori non avevano contestato la titolarità del credito nell’atto introduttivo, ma avevano formulato difese nel merito (es. usurarietà dei tassi, anatocismo), riconoscendo così implicitamente la controparte come legittimo creditore. Tale comportamento, secondo la giurisprudenza consolidata, cristallizza la questione della legittimazione, impedendo che venga contestata successivamente.

le motivazioni

La Corte d’Appello ha motivato la propria decisione sulla base di principi chiari. Innanzitutto, ha stabilito che l’analiticità delle indicazioni contenute nell’art. 2.3 del contratto di cessione in blocco era di per sé sufficiente a individuare con certezza i crediti trasferiti, compreso quello oggetto di causa. Il contratto specificava dettagliatamente le caratteristiche dei crediti ceduti e le relative esclusioni, consentendo di accertare che la posizione debitoria in questione rientrasse pienamente nell’operazione.

In secondo luogo, il possesso e il deposito in giudizio di documenti originali provenienti dalla banca cedente (come il contratto di finanziamento e la corrispondenza con il debitore) costituiscono, ai sensi dell’art. 1262 c.c., espressione dell’esecuzione dell’obbligo di consegna dei documenti probatori del credito e rafforzano in maniera decisiva la prova della titolarità.

Infine, i giudici hanno evidenziato che l’opposizione a decreto ingiuntivo instaura un giudizio a cognizione piena, dove il creditore (opposto in senso formale) deve provare i fatti costitutivi della propria pretesa. La società appellante ha adempiuto a tale onere, mentre i debitori non hanno fornito alcuna prova delle loro eccezioni, né le hanno riproposte in appello, essendo rimasti contumaci.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza riforma la decisione di primo grado, condannando i debitori al pagamento della somma richiesta, oltre agli interessi e alle spese legali di entrambi i gradi di giudizio. La decisione è di notevole importanza pratica: essa ribadisce che per provare la legittimazione attiva del cessionario non è sempre necessaria la produzione di allegati nominativi al contratto di cessione, ma è sufficiente che quest’ultimo contenga criteri identificativi chiari e precisi, e che la prova sia corroborata da documentazione specifica relativa al credito azionato. Viene così fornita una guida chiara agli operatori del settore su come adempiere correttamente all’onere probatorio, garantendo maggiore certezza nei procedimenti di recupero crediti derivanti da cessioni in blocco.

Come può una società cessionaria provare la propria legittimazione attiva in un giudizio di recupero crediti?
Secondo la sentenza, la prova può essere fornita producendo in giudizio il contratto di cessione in blocco che contenga criteri specifici e dettagliati per l’individuazione dei crediti ceduti, insieme alla documentazione relativa al singolo rapporto (come il contratto di finanziamento originale e le comunicazioni inviate al debitore).

Se il debitore non contesta subito la titolarità del credito, può farlo in un secondo momento?
No. La Corte ha chiarito che se il debitore, nel suo atto di opposizione, formula difese che riguardano il merito della pretesa (es. contestando l’importo o i tassi di interesse), riconosce implicitamente la titolarità del credito in capo alla controparte. Questa questione non può quindi essere sollevata validamente in una fase successiva del processo.

Cosa succede se la parte che ha vinto in primo grado non si costituisce nel giudizio d’appello?
Se la parte vittoriosa in primo grado (in questo caso i debitori) rimane contumace in appello, perde la possibilità di vedere riesaminate le proprie domande ed eccezioni non accolte nella sentenza impugnata. A causa del carattere devolutivo dell’appello, il giudice di secondo grado esamina solo le questioni specificamente riproposte dalle parti costituite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati