Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31228 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 31228 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
SENTENZA
OGGETTO:
azione ex art.
1669 cod. civ.
RG. 3039/2019
P.U. 12-11-2024
sul ricorso n. 3039/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE c.f. 02011070162, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL
ricorrente
contro
CONDOMINIO RESIDENZA RAGIONE_SOCIALE di Brianzi, c.f. 94019590168, in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente
nonché contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME
elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. COGNOME , nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente
nonché contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
intimati avverso la sentenza n. 997/2018 della Corte d’Appello di Brescia, depositata il 12-6-2018,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12-112024 dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, l’assorbimento del terzo e il rigetto del primo motivo,
uditi l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente, l’avv. NOME COGNOME per il controricorrente Condominio, l’avv. NOME COGNOME per il controricorrente COGNOME,
FATTI DI CAUSA
1.Il Condominio RAGIONE_SOCIALE di Branzi, nella persona dell’amministratore pro tempore, ha convenuto avanti il Tribunale di Bergamo RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, in forza della responsabilità quale costruttrice ex art. 1669 cod. civ.; ha dedotto che le parti comuni dell’edificio erano il cortile, i camminamenti, la rampa d’accesso, l’area di manovra, il vano scale e i vialetti di accesso, che l’immobile non aveva ottenuto l’agibilità in ragione dei vizi cos truttivi, che la società convenuta in data 25-32006 aveva riconosciuto i vizi relativi all’infiltrazione delle acque meteoriche nel piano seminterrato, impegnandosi anche a eliminarli,
che i vizi erano stati rilevati nella consulenza tecnica d’ufficio svolta nell’accertamento tecnico preventivo instaurato su iniziativa della convenuta.
Si è costituita la convenuta RAGIONE_SOCIALE, eccependo il difetto di legittimazione attiva del Condominio che aveva agito senza specificare quale tra i vizi dedotti si riferissero alle parti comuni e, tra l’altro, chiedendo la chiamata in causa del progettista e direttore dei lavori geom. NOME COGNOME e di RAGIONE_SOCIALE che aveva operato nel cantiere.
In forza della chiamata in causa si è costituito NOME COGNOME contestando la propria responsabilità e dichiarando di essere stato incaricato da RAGIONE_SOCIALE della promozione delle vendite de lle unità immobiliari nel Condominio e dell’esecuzione di una serie di prestazioni tecniche non previste al momento del conferimento dell’incarico; ha chiesto perciò in via riconvenzionale la condanna della società al pagamento del corrispettivo residuo pe r l’attività svolta pari a Euro 22.356,00 e la chiamata in causa per essere garantito di RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE esecutrice dei lavori di livellamento del pietrisco costituente la copertura delle autorimesse e della propria compagnia di assicurazioni Axa Assicurazioni s.p.a.
Si è costituita RAGIONE_SOCIALE, dichiarando che nel contratto di appalto concluso con RAGIONE_SOCIALE non erano previsti né la posa delle guaine impermeabilizzanti né la formazione di marciapiedi, vialetti e giardini pensili e che , all’inizio della stagione invernale, RAGIONE_SOCIALE era intervenuta per proteggere i solai con la posa di uno strato di guaina impermeabilizzante provvisoria; quindi ha negato che le infiltrazioni fossero riconducibili al suo operato. Si sono costituite RAGIONE_SOCIALE a sua volta contestando le domande svolte nei suoi confronti, e RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto della domanda di garanzia.
Con sentenza n. 2516/2015 il Tribunale di Bergamo ha accolto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del Condominio, in quanto lo stesso aveva confermato che i vizi alle parti comuni e alle proprietà esclusive erano strettamente connessi, avrebbero richiesto intervento unitario e il Condominio non era legittimato ad agire per i danni alle singole proprietà; ha accolto la domanda del terzo chiamato COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, condannandola al pagamento in suo favore dell’imp orto residuo dovuto a titolo di corrispettivo di Euro 22.356,00.
2.Avverso la sentenza hanno proposto separati appelli, poi riuniti, Condominio RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che la Corte d’appello di Brescia ha deciso con sentenza n. 997/2018 depositata il 12-6-2018, nella contumacia della Curatela fallimentare di RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita nel corso del giudizio di primo grado, e con la costituzione delle altre parti.
La sentenza ha accolto l’appello del Condominio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e ha condannato RAGIONE_SOCIALE a pagare in suo favore, a titolo di risarcimento dei danni, Euro 198.416,75, con gli interessi legali sull’importo devalutato dal 25 -32006 e via via rivalutato; ha rigettato la domanda di manleva proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME e ha dichiarato improcedibile la domanda di manleva proposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per l’intervenuto fallimento, nonché assorbite le altre domande di manleva; ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME ha condannato RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi a favore di tutte le parti costituite.
3.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Hanno resistito con separati controricorsi Condominio Residenza Fiorita e NOME COGNOME.
Sono rimasti intimati Fallimento RAGIONE_SOCIALE al quale la notificazione del ricorso è avvenuta a mezzo del servizio postale al curatore fallimentare NOME COGNOME con consegna del piego il 21-22019, RAGIONE_SOCIALE, alla quale la notifica del ricorso è avvenuta a mezzo del servizio postale al difensore domiciliatario il 16-1-2019 e RAGIONE_SOCIALE, alla quale la notifica del ricorso è avvenuta a mezzo del servizio postale ai difensori domiciliari il 16/17-1-2019.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 12-11-2024 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e hanno depositato memoria illustrativa i controricorrenti Condominio RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. degli artt. 1669, 2051 e 1130 cod. civ., nonché degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ. con riguardo al capo della sentenza impugnata che ha condannato la società a risarcire i danni a favore del Condominio RAGIONE_SOCIALE. La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto che i danni riguardassero le parti comuni dell’edificio, in quanto le consulenze tecniche svolte nel giudizio hanno attestato che i vizi non potevano venire riferiti alle parti comuni dell’edificio piuttosto che alle unità di proprietà esclusiva. Rileva che lo stesso Condominio non era stato in grado di distinguere i vizi riguardanti le parti comuni e quelle di titolarità esclusiva dei condòmini e lamenta che la Corte d’appello, eseguendo un’ integrazione della domanda attorea non consentita dagli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., abbia proceduto sia all’individuazione delle parti comuni sia alla verifica di quali vizi fossero
riferibili a quelle parti. Sostiene che la Corte d’appello, consapevole che la distinzione non attuata dal Condominio era imprescindibile, ha ritenuto che i vizi riguardassero l’immobile nella sua unitarietà, compiendo valutazione inappropriata sul piano logico e arbitraria sul piano giuridico, in quanto una cosa è rilevare come un insieme di vizi risulti indistinto e altra è ritenere che i vizi riguardino l’immobile nella sua unitarietà. Aggiunge che le consulenze non hanno affrontato in alcun modo la ques tione dell’incidenza o meno della sussistenza dei vizi sull’edificio inteso in senso unitario, per cui erroneamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento ai precedenti secondo i quali l’amministratore del c ondominio è legittimato all’azione quando il vizio incida sull’edificio inteso in maniera unitaria. Sostiene perciò che la sentenza di primo grado, di cui trascrive anche la relativa motivazione, correttamente avesse escluso la legittimazione attiva; rileva infine come anche il richiamo eseguito dall a sentenza impugnata all’art. 2051 cod. civ. sia stato inappropriato in quanto, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, l’obbligo di custodia in capo all’amministratore del condominio non attiene alle parti in proprietà esclusiva, ma solo alle parti comuni.
1.1.Il motivo è infondato.
La Corte d’appello (da pag. 32 della sentenza) ha dichiarato che i vizi accertati dal consulente d’ufficio riguardavano le aree di manovra comuni site al piano interrato e le altre parti comuni aventi funzioni di copertura, come il cortile e giardino condominiale e i vialetti comuni sovrastanti le autorimesse; ha considerato che si trattava di vizi che RAGIONE_SOCIALE si era anche impegnata a eliminare con atto di ricognizione titolata e che per la sistemazione di tali vizi il consulente d’ufficio aveva ritenuto necessario il rifacimento dell’opera di impermeabilizzazione di tutta la soletta del piano interrato, compresa la superficie di vialetti e marciapiedi; ha dichiarato che si trattava di
vizi riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 1669 cod. civ., che interessavano in modo unitario le parti comuni e quelle esclusive, andando a incidere su ll’immobile nel suo complesso e determinando di riflesso un pregiudizio diretto anche sulle unità immobiliari dei singoli condòmini. Richiamando i principi posti da Cass. 2436/2018, la sentenza ha evidenziato la necessità di verificare se, in relazione ai danni lamentati, l’azione miri alla tutela dell’edificio nella sua unitarietà, in un contesto nel quale i pregiudizi siano ritenuti derivanti da vizi afferenti le parti comuni dell’immobile, anche se interessanti di riflesso le parti d i proprietà esclusiva; ha dichiarato che l’accertamento in tal senso nella fattispecie era univoco, in quanto era emerso dalla c.t.u. che all’origine anche dei difetti manifestatisi nelle parti esclusive stavano i gravi difetti di impermeabilizzazione delle parti comuni, tali da determinare rilevanti pregiudizi a diverse unità immobiliari oltre che alle parti comuni; quindi si era in presenza di difetti che colpivano l’edificio nella sua unitarietà e che derivavano da inesatta esecuzione di opere edili nelle parti comuni, per cui anche il danno arrecato alle parti di proprietà esclusiva era conseguenza immediata e diretta dei vizi relativi alle parti comuni, potendo definirsi di riflesso di questi.
A fronte di questo contenuto della pronuncia, non possono essere apprezzate le deduzioni della ricorrente secondo la quale i difetti non riguardavano le parti comuni, perché la sentenza impugnata ha accertato in fatto che i vizi erano relativi all’erronea impermeabilizzazione delle parti comuni, tale erronea esecuzione dei lavori nelle parti comuni aveva causato danni, oltre che alle parti comuni, anche a unità in proprietà esclusiva dei condòmini e i vizi erano costruttivi e incidenti sul fabbricato nel suo complesso ai sensi dell’art. 1669 cod. civ. Al fine di censurare in modo ammissibile tale accertamento in fatto, la ricorrente avrebbe soltanto potuto proporre motivo ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., nel ricorrere dei relativi
presupposti, per cui, in mancanza, si rimane nel l’ambito d ell’ accertamento di fatto eseguito dal giudice di merito sulla base degli elementi istruttori, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità; con la conseguenza che tutte le deduzioni della ricorrente sulla questione, anche con riferimento al diverso accertamento svolto dal giudice di primo grado, sono irrilevanti in questa sede.
Posto perciò che l’accertamento dei fatti sulla base dei quali si deve verificare se sussistano le violazioni di legge lamentate è quello eseguito dalla sentenza impugnata, in primo luogo si esclude qualsiasi violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ. prospettata dalla ricorrente. Il Condominio già nell’atto di citazione non solo aveva indicato le parti comuni dell’edificio , ma aveva anche posto a fondamento della domanda il riconoscimento del 25-3-2006 da parte di RAGIONE_SOCIALE dell’esistenza di infiltrazioni di acque meteoriche nel piano seminterrato e aveva lamentato l’esistenza dei vizi relativi all’impermeabilizzazione dell’area di manovra interrata, nonché dei vizi relativi all’esecuzione dei vialetti sovrastanti l’area di manovra, come descritti dal consulente d’ufficio nominato nell’accertamento tecnico preventivo. Quindi la Corte d’appello ha pronunciato sulla domanda così come proposta, legittimamente inquadrando i vizi quali vizi all’edificio condominiale rientranti nella fattispecie dell’art. 1669 cod. civ. sulla base d ella prospettazione dell’attore , e perciò legittimamente provvedendo a correggere gli errori che ha riscontrato nella sentenza di primo grado, con riguardo sia alla ricognizione della fattispecie concreta sia alla relativa sussunzione giuridica.
Non ricorrono neppure le violazioni degli artt. 1669 e 1130 cod. civ. lamentate, perché la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi consolidati in tema di legittimazione dell’amministratore del condominio a proporre l’azione ex art. 1669
cod. civ. Già Cass. Sez. 2 10-2-1968 n. 441 (Rv. 331457-01), CassSez. 2 23-3-1995 n. 3366 (Rv. 491341-01), Cass. Sez. 2 18-6-1996 n. 5613 (Rv. 498155-01), per tutte, hanno enunciato il principio secondo il quale l’art. 1130 n. 4 cod. civ. -che attribuisce all’amministratore del condominio il potere di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio – deve interpretarsi estensivamente, nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari a evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministra tore ha il potere-dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente consid erato; per questo, rientra nel novero degli atti conservativi di cui all’art. 1130 n. 4 cod. civ. l’azione prevista d all’art. 1669 cod. civ. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno, che abilita alternativamente l’amministratore del condominio e i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto. In tale solco, Cass. Sez. 2 31-1-2018 n. 2436 (Rv. 647790-01), già richiamata nella sentenza impugnata, in caso in cui aveva agito solo l’amministratore e il giudice di merito aveva negato la sua legittimazione, ha evidenziato la necessità di verificare, in relazione ai difetti lamentati, se l’azione mir i alla tutela dell’edificio nella sua unitarietà in un contesto nel quale i pregiudizi derivino da vizi afferenti le parti comuni dell’immobile, ancorch é interessanti di riflesso anche le parti di proprietà esclusiva dei condòmini (nello stesso senso, per tutte, non massimate, Cass. Sez. 2 17-4-2024 n. 10380, Cass. Sez. 2 5-4-2022 n. 11034, par. 4.1., Cass. Sez. 2 19-3-2021 n. 7875, par. 5.1.). Come già evidenziato da Cass. 11034/2022 e Cass. 7875/2021, se, diversamente, i difetti del fabbricato sono riconducibili alla categoria delle difformità e dei vizi di cui all’art. 1667 cod. civ., la
relativa azione di natura contrattuale spetta solo al committente e non all’amministratore di condominio . Come pure già evidenziato da Cass. 11034/2022 e 7875/2021, l’indirizzo non è in contrasto con i precedenti che richiedono la necessità di apposito mandato rappresentativo conferito all’amministratore dai singoli condomini per le azioni risarcitorie relative ai danni subiti nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva, allorché si tratti non di eliminare i vizi afferenti a un tempo sia le parti comune dell’immobile che, di riflesso, quelle di proprietà esclusiva, ma di fare valere diritti di credito ben distinti e individuabili, la cui tutela ecceda dalle finalità conservative dell’unitario fabbricato.
Non si pone neppure questione di violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., perché il richiamo a tale disposizione è stato eseguito dalla sentenza impugnata esclusivamente al fine di evidenziare come il riferimento alla responsabilità ex art. 2051 cod. civ. eseguita dal giudice di primo grado per escludere il diritto all’azione dell’amministratore d el condominio fosse erroneo.
2.Il secondo motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione della legge 3-2-1989 n. 39 come modificata dal d.lgs. 26-3-2010 n. 59, nella parte in cui impone l’obbligo di iscrizione all’albo per esercitare l’attività di intermediazione immobiliare, e di conseguenza per violazione dell’art. 2697 cod. civ. in tema di onere della prova, avverso il capo della sentenza che ha riconosciuto al geom. COGNOME il corrispettivo residuo per l’attività svolta. La società ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, dichiarando che il ruolo svolto dal geom. COGNOME non potesse inquadrarsi nello schema della mediazione, stante l’assenza del requisito dell’imparzialità in capo al professionista, gli abbia riconosciuto il compenso per l’attività riferita alla promozione delle vendite degli immobili, omettendo ogni indagine sull’iscrizione all’albo ; sostiene che il requisito dell’iscrizione all’albo fosse necessario anche
nella fattispecie, in quanto le disposizioni la richiedono per i soggetti che ‘a qualunque titolo’ svolgono attività di intermediazione immobiliare.
2.1.Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha rigettato l’appello di RAGIONE_SOCIALE laddove aveva lamentato l’omessa applicazione della disciplina in materia di mediazione professionale osservando che il primo giudice aveva qualificato il rapporto tra le parti, con riferimento all’intermediazione per gli acquisti delle unità immobiliari, come mandato, sul presupposto dell’assenza di terzietà del collaboratore; ha rilevato che l’appellante non aveva né contestato né confutato tale presupposto e quindi doveva ritenersi confermata sia la posizione del geom. COGNOME di parzialità e non di terzietà sia la sua funzione di mandatario e non di mediatore, con la conseguente inapplicabilità della disciplina della mediazione e, con essa, della legge 39/1989 e del d.lgs. 59/2010 sui requisiti soggettivi per il valido esercizio della mediazione professionale.
In questo modo la pronuncia, acquisito in causa che tra RAGIONE_SOCIALE e il geom. NOME COGNOME fosse intercorso un rapporto di mandato in forza del quale il geometra aveva reperito acquirenti per le unità immobiliari nel condominio in cambio di compenso ma escludendo che le disposizioni di cui alla legge 39/1989 e di seguito al d.lgs. 59/2010 si applicassero alla fattispecie, è incorsa nella violazione delle disposizioni medesime; ciò in quanto ha escluso l’applicazione di tali disposizioni, in ragione del l’assenza della terzietà del soggetto che ha svolto l’attività rientrante nello schema della mediazione detta atipica, ritenendola differente da quella tipica in considerazione della posizione di terzietà, propria del mediatore tipico e mancante al mediatore atipico. Tale orientamento è stato superato da Cass. Sez. U. 2 agosto 2017 n. 19161 (Rv. 645138-019), che ha
enunciato il principio di diritto secondo il quale è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale c.d. atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche a una soltanto delle parti interessate (mediazione unilaterale), qualora una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un’attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni; l ‘esercizio dell’attività di mediazione atipica, quando l’affare abbia a oggetto beni immobili o aziende, ovvero, se riguardante altre tipologie di beni, sia svolta in modo professionale e continuativo, resta soggetta all’obbligo di iscrizione all’albo previsto dall’art. 2 della l egge 39/1989, ragion per cui, lo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della medesima legge, il diritto alla provvigione. Le Sezioni Unite hanno dato atto anche che il sistema previsto dalla legge 39/1989 è stato modificato dal d.lgs. 26-3-2010 n.59 e che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa sopravvenuta, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che siano iscritti nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative REA.; hanno evidenziato che l’elemento di distinzione tra il mediatore tipico e il mediatore atipico risiede nell’imparzialità del primo, in quanto il secondo presta la sua attività nell ‘interesse di una part e con cui instaura un rapporto di collaborazione, raccogliendo proposte di contratto e trasmettendogliele, rimanendo comune la cornice della prestazione di un’intermediazione diretta a favor ire la conclusione di un affare; in questa prospettiva, hanno posto in risalto come l’art. 1756 cod. civ. qualifichi mediatore anche colui che ha avuto l’incarico di promuovere la conclusione dell’affare da una sola delle due parti e come l’art. 1761 cod. civ. qualifichi mediatore colui che ha avuto l’incarico da una delle due parti di rappresentarla negli atti relativi all’esecuzione del contratto concluso con il suo intervento; quindi, il
conferimento di mandato, presunto oneroso, non colloca l’attività svolta dall’incaricato al di fuori del parametro della mediazione e, infatti, l’art. 2 co. 4 legge 39/1989 prevede che l’iscrizione debba essere richiesta anche se l’attività di mediazione venga svolta in modo occasionale o discontinuo da coloro che la prestano, su mandato oneroso, per la conclusione di affari relativi a immobili o aziende. Poiché nella nozione di mandato a titolo oneroso rientra l’incarico conferito a un soggetto finalizzato alla ricerca di altri soggetti interessati a un determinato affare, anche i procacciatori di affari, che su incarico di una parte svolgano attività di intermediazione per un affare avente a oggetto immobili o aziende, hanno l’obbligo di iscrizione, con la conseguenza che, in mancanza, viene meno il diritto alla relativa provvigione (nello stesso senso Cass. Sez. 2 13-4-2023 n. 9814 Rv. 667635-01).
Ne consegue che, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, il relativo capo della sentenza impugnata deve essere cassato, dovendo il giudice del rinvio accertare se spettasse al geom. COGNOME il compenso richiesto sulla base dei principi esposti.
3.Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. civ. degli artt. 1218 e ss. cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. nel capo della sentenza che ha riconosciuto i compensi a favore del geom. COGNOME sia con riguardo all’attività di intermediazione immobiliare sia con riguardo alle prestazioni che esulavano dall’originario incarico professionale. Sostiene che il credito non aveva i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità e non ha formato oggetto di alcun accertamento, in violazione del principio sull’onere della prova. Aggiunge che, con riguardo ai compensi derivanti dall’affermata attività di intermediazione, aveva proposto capitoli di prova volti a dimostrare che non spettava alcunché , in quanto l’importo richiesto doveva
intendersi compensato con l’abbuono di pari importo accordato per l’acquisto di immobile, e nulla ostava a che i capitoli di prova fossero ammessi; rileva che manca altresì la prova del credito relativo alle ulteriori prestazioni professionali.
3.1.Il motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo per quanto riguarda il compenso riferito all’attività di intermediazione immobiliare, in quanto è necessario accertare se sussista in capo a NOME COGNOME il diritto a ottenere tale compenso prima di esami nare qualsiasi questione in ordine alla prova dell’entità del compenso.
3.2.Il motivo è inammissibile per quanto riguarda il compenso riferito alle attività diverse rispetto a quelle di intermediazione immobiliare, in quanto è esclusivamente finalizzato a ottenere un accertamento in fatto diverso da quello eseguito dalla sentenza impugnata, senza individuare alcuna violazione o falsa applicazione di legge.
La sentenza ha dichiarato (pag. 43) che, con riguardo al compenso preteso per le ulteriori attività non rientranti nell’accordo originario, l’esecuzione delle prestazioni era dimostrata dai documenti, mentre l’omesso conseguimento del certificato prevenzione incidenti o dell’agibilità non potevano essere ascritti al geom. COGNOME in quanto lo stesso nei rapporti interni con la società non si era assunto oneri di direzione dei lavori; ha aggiunto che, sussistendo il riconoscimento di debito, veniva meno anche la rilevanza della contestazione relativa alla liquidazione, mentre incombeva alla società appellante, in ragione dell’inversione dell’onere della prova determinata dalla dichiarazione ricognitiva, la dimostrazione della non congruenza dei compensi richiesti.
Con questo contenuto la pronuncia ha espresso non solo il concetto -estraneo al sindacato ex art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. civ.-
che la prova sull’ an del credito era stata acquisita documentalmente in causa, ma anche che era il debitore, in ragione dell’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 1988 cod. civ., ad avere l’onere di dimostrare che il quantum richiesto non era dovuto. Quindi si è anche al di fuori della violazione dell’art. 2697 cod. civ., configurabile solo nel caso in cui l’onere della prova sia erroneamente posto a carico della parte che non ne sia onerata (cfr. Cass. Sez. 3 29-5-2018 n. 13395 Rv. 649038-01, Cass. Sez. Sez. 3 17-6-2013 n. 15107 Rv626907-01).
4.In conclusione, è rigettato il primo motivo di ricorso, è accolto il secondo motivo, è in parte assorbito e in parte inammissibile nei termini esposti il terzo motivo.
Il rigetto del primo motivo di ricorso comporta la definizione del giudizio tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che non dovrà essere citato nella fase di rinvio; in applicazione del principio della soccombenza, la società ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore del Condominio controricorrente delle ulteriori spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso impone la cassazione della sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, che deciderà la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE facendo applicazione dei principi esposti e attenendosi a quanto sopra ritenuto, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità limitatamente al rapporto tra RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE alla rifusione a favore di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
accoglie il secondo motivo di ricorso, in parte assorbito e in parte inammissibile il terzo motivo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione , anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità limitatamente al rapporto tra RAGIONE_SOCIALE e COGNOME.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione