Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31071 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 31071 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17669/2021 R.G. proposto da:
NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, DI NOME COGNOME, DI NOME, elettivamente domiciliati in SIRACUSA INDIRIZZO presso lo
studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 2181/2020 depositata il 17/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero dr.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Siracusa, con sentenza n. 404/2019, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con la quale si chiedeva di accertare l’efficacia di giudicato della sentenza n. 577/2005 dello stesso Tribunale emessa tra le parti e NOME COGNOME in forza del quale era stata escluso l’acquisto per usucapione da parte del convenuto della proprietà esclusiva di beni immobili siti in Augusta.
Avverso tale sentenza proponevano appello le attrici. La Corte d’appello di Catania, con la sentenza n. 2181 del 17 dicembre 2020, ha accolto il gravame e per l’effetto ha dichiarato che il convenuto NOME non aveva acquistato per usucapione la proprietà esclusiva dei beni oggetto di causa.
Disattesa l’eccezione di nullità della citazione in appello, la Corte distrettuale rilevava che aveva errato il Tribunale nel reputare coperta da efficacia di giudicato la precedente sentenza n. 379/2013 della Corte d’appello di Catania, che riformando la sentenza n. 577/2005 del Tribunale di Siracusa aveva accolto la domanda di usucapione proposta dal Franco, e ciò in quanto la sentenza d’appello era stata cassata con rinvio dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 15930/2019. Non vi era quindi alcun accertamento con efficacia di giudicato tra le parti, il che implicava l’accoglimento dell’originaria domanda delle attrici, posto che il Franco non aveva offerto alcuna prova dell’intervenuta usucapione, trattandosi peraltro della pretesa usucapione di un bene comune.
Contro la predetta sentenza, hanno proposto ricorso NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME tutti quali eredi del defunto NOME COGNOME sulla base di cinque motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
La causa, originariamente avviata alla camera di consiglio della 6^ sezione civile, è stata rimessa all’udienza pubblica, mancando l’evidenza decisoria.
Il Procuratore Generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, i ricorrenti assumono la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché la Corte d’appello avrebbe mancato di accertare la carenza di legittimazione attiva e ad agire da parte delle attrici successivamente appellanti, che non avrebbero vantato alcun diritto ereditario sul bene di causa.
Attraverso la seconda censura, i Franco lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 115 c.p.c. , in relazione all’art. 360 n n. 3 e 5 c.p.c., per omesso ed assoluto difetto di motivazione sulla qualità di eredi in capo alle controparti e sulla conseguente legittimazione ad agire degli stessi.
La suddetta questione, non risolvendosi in un’eccezione in senso stretto, avrebbe dovuto essere sollevata d’ufficio dal giudice .
Con il terzo mezzo di impugnazione, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 100, 112 e 184 c.p.c., oltre all’erroneità ed al difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.
Ribadita la carenza della legitimatio ad causam attiva e passiva di controparte, la Corte territoriale avrebbe omesso di dare adeguata risposta alla suddetta questione.
I primi tre motivi, logicamente connessi, sono infondati.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, la ” legitimatio ad causam “, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, con conseguente rilevabilità officiosa in ogni stato e grado del procedimento, mentre l’effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite, sicché il suo difetto non può essere rilevato d’ufficio dal giudice ma dev’essere sollevato nei tempi e modi previsti e, quindi, non per la prima volta in sede di legittimità (Sez. L., n. 17092 del 12 agosto 2016; Sez. 5, n. 8384 del 5 aprile 2013).
Le sezioni unite hanno ulteriormente chiarito che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (cfr. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016).
La presente controversia è stata originata dalla domanda di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, volta a far dichiarare l’inesistenza dell’acquisto per usucapione, da parte di NOME COGNOME, di una serie di beni immobili comuni siti in Augusta. Nonostante, le affermazioni degli odierni ricorrenti, non risulta che nei giudizi di merito sia stata posta in dubbio la qualità di eredi delle suddette COGNOME e COGNOME, rispetto agli originari comproprietari.
Orbene, il thema decidendum è dunque ricompreso nella titolarità di un rapporto sostanziale controverso (la comproprietà degli immobili) piuttosto che in una questione di legittimazione.
Ne consegue che, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente
ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel ” thema decidendum ” del giudizio di appello (Sez. 2, n. 20694 del 9 agosto 2018).
Infatti, l’accertamento dell’effettiva titolarità del rapporto controverso, così dal lato attivo come da quello passivo, attiene al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, quindi, la sua fondatezza.
Ma anche ove si volesse, contro ogni evidenza, reputare che si discuta della legitimatio ad causam , vale il principio secondo cui la qualità di parte legittimata a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata, indipendentemente dalla effettiva titolarità (dal lato attivo o passivo) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (Sez. 6-1, n. 17234 del 29 luglio 2014).
Da tanto deriva che NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, attrici soccombenti in primo grado, erano sicuramente legittimate ad impugnare la sentenza del Tribunale di Siracusa.
Neppure appare correttamente evocato l’art. 112 c.p.c ., posto che in sede di giudizio di legittimità il vizio di omessa pronuncia ai sensi della predetta norma può essere dedotto anche in relazione ad un’eccezione, alla duplice condizione che essa risulti formulata inequivocabilmente, in modo da rendere necessaria una pronuncia su di essa e che sia stata riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini con l’indicazione specifica dell’atto difensivo o del verbale di udienza in cui era stata proposta (Sez. 2, n. 3845 del 16 febbraio 2018). Come premesso, tale adempimento è del tutto carente.
5 . La quarta lagnanza deduce la ‘ violazione normativa dell’obbligo di evocazione in giudizio sia di primo grado che di appello quale litisconsorte necessario dell’unico comproprietario dell’immobile che si assume acquisito per usucapione. Il signor NOME COGNOME unico e solo erede della quota di comproprietà per successione dapprima con il fratello NOME COGNOME della quota di proprietà del loro padre COGNOME NOME, successivamente unico
comproprietario per successione di NOME COGNOME deceduto il 3 agosto 1995, che nomina erede universale il solo NOME COGNOME
Il motivo è inammissibile.
L’eccezione di difetto del contraddittorio per violazione del litisconsorzio necessario può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità, a condizione che l’esistenza del litisconsorzio risulti dagli atti e dai documenti del giudizio di merito e la parte che la deduca ottemperi all’onere di indicare nominativamente le persone che devono partecipare al giudizio, di provare la loro esistenza e i presupposti di fatto e di diritto che giustifichino l’integrazione del contraddittorio (Sez. 2, n. 11043 del 5 aprile 2022).
Nel dettaglio, il motivo si affida alla sola prospettata esistenza di un testamento olografo, asseritamente pubblicato il 1° febbraio 1996 e non presente in atti (mancando qualunque indicazione sulla sua collocazione): evidentemente troppo poco per approfondire il motivo, geneticamente carente di specificità.
Mediante il quinto mezzo, i Franco denunciano la violazione dell’art. 2909 comma 2° n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente omesso di considerare che le tre appellanti erano state regolarmente citate per il giudizio di appello poi conclusosi con la sentenza cassata, tant’è che la Corte territoriale le aveva dichiarate contumaci. Da ciò l’efficacia del giudicato nei loro confronti.
Il motivo non ha ragion d’essere .
Infatti, la doglianza manca di confrontarsi con la ratio della sentenza impugnata, che ha motivatamente escluso la sussistenza di un giudicato sull’usucapione dei beni contesi. L’inammissibilità discende altresì dalla mancata trascrizione del giudicato nel corpo del ricorso, derivandone così l’impossibilità del la sua interpretazione, da parte del giudice di legittimità ed ogni tipo di attività nomofilattica (Sez. 5, n. 16227 del 16 luglio 2014), nonché dalla considerazione che la sentenza asseritamente passata in giudicato è stata cassata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di lite dei controricorrenti, come liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali a favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000.00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024, nella camera di consiglio della 2