Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5295 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5295 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6149/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che lo rappresenta e difende ex lege; -ricorrente incidentale- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2915/2022, depositato il 24/10/2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, la sostituta procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto alla Corte di accogliere il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto opposizione avverso il decreto del Tribunale di Napoli, che aveva parzialmente accolto la sua domanda di equa riparazione di un processo instaurato ai sensi della c.d. legge Pinto, ingiungendo al Ministero della giustizia il pagamento di ‘euro 800 a titolo di indennizzo per equa riparazione, oltre interessi legali dalla domanda, euro 28 per esborsi ed euro 292,50 per compensi, oltre le maggiorazioni di legge sui compensi del 15% per spese generali, del 4% del c.a. e del 22% per I.V.A., con distrazione in favore dei difensori avvocati NOME e NOME COGNOME.
L’opposizione è stata rigettata dalla Corte d’appello di Napoli con provvedimento n. 2915/2022.
Avverso il provvedimento NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso il Ministero della giustizia, che propone ricorso incidentale.
La ricorrente ha resistito con controricorso al ricorso incidentale del Ministero e ha depositato tre memorie.
Con ordinanza interlocutoria n. 6156/2024 questa Corte ha rimesso la causa alla pubblica udienza, rilevando che sulla questione della rilevabilità d’ufficio del vizio della mancata partecipazione al giudizio del Ministero legittimamente legittimato questa Corte si è pronunciata in modo non uniforme.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per ragioni di priorità logica va esaminato per primo il ricorso incidentale del Ministero della giustizia che contesta la propria legittimazione passiva, essendo legittimato passivo il Ministero dell’ economia e delle finanze.
Il ricorso è basato su due motivi tra loro strettamente connessi:
il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, della legge n. 89/2001 nonché dell’art. 75 c.p.c. in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.: la richiesta indennitaria aveva ad oggetto sia la durata della fase monocratica, svoltasi davanti alla Corte d’appello di Napoli dal 4 gennaio 2017 al 31 luglio 2017, sia soprattutto la durata del giudizio di ottemperanza, svoltosi davanti al TAR Campania dal 19 giugno 2018 al 14 giugno 2021; nella sostanza, avendo il giudizio davanti alla Corte d’appello avuto un tempo ragionevole, la richiesta indennitaria aveva ad oggetto il solo giudizio di ottemperanza, con la conseguenza che la legittimazione era in via esclusiva riferibile al Ministero dell’Economia e delle finanze, con difetto della legittimazione passiva del Ministero della giustizia; si tratta di questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, avendo la distinta legittimazione delle due amministrazioni non già un rilievo meramente interno al fine del riparto delle competenze, bensì un rilievo esterno, relativo alla corretta instaurazione del contraddittorio;
il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89/2001: anche ritenendo sussistente la legittimazione passiva del Ministero della giustizia la richiesta indennitaria sarebbe infondata, dato che alcun ritardo è evidenziabile con riguardo al procedimento monitorio presupposto, che si è svolto nel rispetto del termine di durata ragionevole semestrale.
I motivi non possono essere accolti. Il Collegio rileva che sulla questione posta dal primo motivo, ossia la rilevabilità d’ufficio del vizio della mancata partecipazione al giudizio del Ministero dell’economia ove come nel caso in esame -tale difetto di legittimazione non sia stato eccepito nel giudizio di opposizione, questa Corte si è pronunciata in modo non uniforme. Numerose pronunzie (v. Cass. n. 2/2023 e, in termini analoghi, Cass. n. 8049/2019, Cass. n. 25499/2021, Cass. n. 15219/2022, Cass. n. 23853/2023 e Cass. n. 11533/2023) hanno sostenuto l’applicazione della regola di cui all’art. 4 della legge n. 260/1958, secondo la quale ‘l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio e ogni altro atto doveva essere notificato deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato’; con specifico riferimento alla materia di cui alla legge n. 89/2001 è stato affermato che tale art. 4 va applicato anche quando l’errore di identificazione riguardi distinte e autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato e la disposizione va estesa anche all’ipotesi in cui l’eccezione sia volta a contestare non la titolarità integrale dell’obbligazione dedotta in giudizio, bensì solo il parziale difetto di titolarità. A questo orientamento si contrappone Cass. n. 3023/2024, secondo la quale -ferma l’applicazione dell’art. 4 della legge n. 260/1958 la mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti del Ministero legittimo contraddittore è vizio rilevabile d’ufficio (nel caso di specie la questione è stata rilevata dal giudice di cassazione in mancanza della eccezione di difetto di legittimazione da parte del Ministero evocato nel processo di equa riparazione, che non si era costituito nel giudizio di legittimità).
La differenza tra i due orientamenti è quindi relativa alla condizione della tempestiva deduzione del difetto di legittimazione con
l’indicazione del soggetto ritenuto invece passivamente legittimato, richiesta che l’orientamento di cui alla pronuncia n. 3023/2024 ritiene non necessaria, trattandosi di questione attinente alla legittimazione passiva che è rilevabile d’ufficio dal giudice.
Al riguardo va sottolineato che la pronuncia delle sezioni unite n. 8516/2012 ha ritenuto che l’unitarietà e l’inscindibilità dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni sovrane non elide l’autonomia soggettiva delle persone giuridiche di diritto pubblico, così che ‘l’ineludibile principio dell’effettività del contraddittorio (che l’art. 111 Cost. in tema di giusto processo non sottordina ad alcuna altra sua espressione e la rilevabilità della cui violazione non incorre in preclusione di sorta, se non quella della formazione di giudicato esplicito) impone altrettanto imprescindibilmente che in relazione agli errori di identificazione incidenti su soggettività diverse, e quindi in definitiva sulla stessa legittimatio ad causam , l’operatività dell’art. 4 della legge n. 260/1958 sia circoscritta al profilo della rimessione in termini, con esclusione dunque di ogni possibilità di automatica stabilizzazione nei confronti del reale destinatario’.
La successiva pronuncia delle sezioni unite n. 30649/2018 ha però precisato che, ove ci si trovi di fronte non a distinte persone giuridiche pubbliche, ma ad organi, cioè ad articolazioni dell’organizzazione dello Stato, forniti di distinta legittimazione, ‘la carenza di legittimazione passiva dell’organo dello Stato convenuto in giudizio non si traduce (come di regola si verifica) nella mancata instaurazione del rapporto processuale rilevabile dal giudice d’ufficio in ogni stato e grado del processo, bensì in una mera irregolarità in quanto: a) deve essere eccepita dalla Avvocatura dello Stato nella prima udienza con la contemporanea indicazione (non più eccepibile) dell’organo legittimato; b) in tal caso il giudice prescrive (a prescindere da una richiesta in tal senso) un termine all’attore per la rinnovazione dell’atto nei confronti dell’organo legittimato; c) in difetto degli atti sub a) e b) -salva naturalmente
la facoltà per l’organo legittimato di intervenire in giudizio resta preclusa la possibilità di far valere in seguito l’irrituale costituzione del rapporto processuale’.
Nel caso in esame non siamo di fronte a distinte persone giuridiche pubbliche, ma ad articolazioni dell’organizzazione dello Stato fornite di distinta legittimazione, ossia il Ministero della giustizia e il Ministero dell’economia e delle finanze, così che la mancanza di legittimazione del Ministero convenuto in giudizio doveva essere eccepita dall’Avvocatura dello Stato nel giudizio di opposizione. Non essendo tale eccezione stata proposta, è da ritenersi preclusa la possibilità di far valere l’irrituale costituzione del rapporto processuale davanti a questa Corte.
Non potendosi esaminare l’eccezione proposta dal Ministero ricorrente, va rigettato il ricorso incidentale.
Il ricorso principale è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo denuncia ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, commi 2 e 2bis , 3, commi 4, 5 e 5ter legge n. 89/2001, 46, comma 1, 75, 87, 114 del d.lgs. n. 104/2010, 111 e 117 Cost., 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea’: il giudizio presupposto di cognizione è iniziato il 4 gennaio 2017, data di deposito del ricorso ai sensi dell’art. 3 della legge n. 89/2001, ed è terminato il 31 luglio 2017 ed è quindi durato sei mesi e ventisette giorni; il giudizio presupposto di ottemperanza relativo alla riscossione del credito è iniziato il 19 giugno 2018, data della notifica del ricorso per l’ottemperanza, ed è terminato il 14 giugno 2021 ed è quindi durato due anni, undici mesi e ventisei giorni; il giudizio presupposto di merito va considerato unitariamente nella sua complessiva articolazione ed è quindi durato complessivamente tre anni, sei mesi e ventitré giorni, mentre il termine ragionevole massimo del giudizio è di un anno, andando considerate unitariamente le fasi di cognizione e di ottemperanza, così che alla
ricorrente spettava l’indennizzo per la durata irragionevole di tre anni.
Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha correttamente ritenuto, sulla base di quanto statuito dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 19883/2019, che ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del procedimento per la domanda dell’equa riparazione la fase della cognizione e l’eventuale fase di esecuzione sono da considerarsi come un unico procedimento, rilevando soltanto il tempo processuale resosi necessario per dare soddisfazione al diritto del creditore all’indennizzo. La Corte d’appello ha poi però ritenuto che, essendo pari ad un anno la durata ragionevole della fase di merito, pari ad un ulteriore anno dovrebbe essere considerata ragionevole della fase dell’esecuzione del decreto che ha riconosciuto il diritto all’equa riparazione. La Corte d’appello ha così considerato corretto il riconoscimento in favore della ricorrente dell’equa riparazione della durata irragionevole del processo calcolata in due anni dalla Corte d’appello in composizione monocratica.
Il ragionamento seguito dalla Corte d’appello non è corretto. Questa Corte ha infatti precisato che la durata ragionevole di un processo instaurato ai sensi della cosiddetta c.d. legge Pinto è ragionevole ove non ecceda il termine di un anno per grado e che l’anno è comprensivo del processo di cognizione e di ottemperanza: il giudizio presupposto, articolato in una fase di cognizione e in una successiva fase esecutiva, deve infatti essere considerato nella sua unitarietà con una durata ragionevole complessiva pari a un anno (si veda al riguardo, da ultimo, Cass. n. 3023/2024, già supra richiamata).
I termini di durata del giudizio sono stati nel caso in esame indicati dalla ricorrente: la somma dei due periodi, che esclude il lasso di tempo non calcolabile intercorso tra la definitività del giudizio di cognizione e l’inizio di quello di esecuzione, è pari – come indicato
dalla ricorrente – ad anni tre, mesi sei e giorni ventitré. Da tale durata va detratta la durata ragionevole di un anno così che, andando arrotondata secondo la previsione di cui all’art. 2 -bis , comma 1 della legge n. 89/2001 ad anni quattro la durata del giudizio, va riconosciuto alla ricorrente un equo indennizzo per la durata irragionevole di anni tre del processo.
Il secondo motivo contesta ‘nullità del decreto collegiale e del procedimento, anomalia motivazionale, in relazione al rigetto del secondo motivo di opposizione e alla ritenuta insindacabilità da parte del giudice dell’opposizione della liquidazione dei compensi del procedimento monitorio fatta dal primo giudice per mancanza di motivazione sotto l’aspetto materiale -grafico, motivazione apparente, motivazione contraddittoria, motivazione perplessa e motivazione incomprensibile, nonché violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost.’.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha infatti motivato la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo di opposizione, sottolineando che in tema di liquidazione delle spese processuali la determinazione del dovuto costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto nel minino e il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione, così che – rientrando nel caso in esame la determinazione delle spese effettuate dal primo giudice tra il minimo e il massimo dei parametri – la suddetta liquidazione andava condivisa. Si tratta di motivazione sufficiente che non presenta i vizi di apparenza, contraddittorietà tra affermazioni irriducibili e incomprensibilità denunciati dalla ricorrente (si veda al riguardo la pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 8038/2018).
Il terzo e il quarto motivo sono tra loro strettamente connessi.
Il terzo motivo denuncia ‘nullità del decreto collegiale e del procedimento, violazione e/o falsa applicazione, in relazione al rigetto del terzo motivo di opposizione e alla ritenuta
inammissibilità del motivo relativo alla distrazione delle spese di lite, degli artt. 93 c.p.c., 3 e 5ter della legge n. 89/2001′.
b) Il quarto motivo denuncia ‘omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio’ in relazione all’eccezione sollevata dal Ministero della giustizia nel procedimento di opposizione, di inammissibilità dell’originaria domanda proposta dalla ricorrente in sede monitoria per il mancato esperimento del rimedio preventivo nel giudizio di ottemperanza e alla sua rilevata inammissibilità; non avendo la Corte considerato tale eccezione non ha rilevato la soccombenza dell’ente nel procedimento di opposizione e non ha così posto a suo carico le spese di lite o non ha comunque compensato tra le parti le medesime.
I due motivi, attinenti alla liquidazione delle spese di lite e alla loro distrazione, sono da ritenersi assorbiti alla luce dell’accoglimento del primo motivo che impone una nuova liquidazione delle medesime.
III. Il decreto impugnato va pertanto cassato in relazione al motivo accolto; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ai sensi del comma 2 dell’art. 384 c.p.c. e va liquidata a titolo di equo indennizzo la somma complessiva di euro 1.200, oltre interessi legali dalla domanda; le spese del processo vanno liquidate in favore della ricorrente, nelle somme indicate in dispositivo .
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso incidentale e per quanto concerne il ricorso principale accoglie il primo motivo, rigettato il secondo e assorbiti il terzo e il quarto motivo; decidendo nel merito, a titolo di equo indennizzo liquida complessivamente la somma di euro 1.200, oltre interessi legali dalla domanda; quanto alle spese del processo, condanna il Ministero della giustizia per la fase monitoria e di opposizione al pagamento in favore della ricorrente di euro 600, oltre euro 28 per esborsi e oltre accessori di legge, con distrazione
in favore dell’avvocato NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario, e per il presente giudizio di legittimità al pagamento di euro 500, di cui euro 100 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, con distrazione in favore dell’avvocato NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio seguita alla pubblica