Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5520 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5520 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 16421/2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrente –
contro
Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di L’Aquila n. 71/2024 pubblicata il 29 gennaio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME dipendente di ruolo della Regione Abruzzo con inquadramento ‘Assistente Tecnico cat. C dal 1° aprile 1981, aveva adito
originariamente il Tribunale di Pescara esponendo che, in seguito all’entrata in vigore della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, in virtù del suo art. 43, era stato introdotto l’art. 1, comma 2 bis, della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998, che aveva riconosciuto a tutti i dipendenti della detta Regione lo stesso trattamento economico di anzianità di colleghi che lo avevano maturato presso altro ente pubblico e che lo avevano ‘trascinato’ con sé, ove più favorevole, una volta assunti dalla Regione Abruzzo con pubblico concorso.
Il ricorrente aveva rappresentato che la successiva legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008 aveva modificato il citato comma 2 bis, prescrivendo che, ai dipendenti i quali, alla data del 1989, erano inquadrati in ruolo in una delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, c omma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, era riconosciuto, ai fini perequativi, lo stesso trattamento economico di anzianità attribuito a quelli appartenenti alla prima qualifica cui era stato applicato il comma 1, tenendo conto dell’ammontar e maggiore percepito, a parità di anzianità di servizio, al momento dell’inquadramento in ruolo regionale, nella qualifica attualmente ricoperta.
Il dipendente aveva chiesto, quindi, l’adeguamento della sua retribuzione, ai sensi della legislazione sopra riportata.
La sua domanda era stata accolta dal Tribunale di Pescara e la decisione era stata confermata dalla Corte d’appello di L’Aquila, ma la Corte di cassazione aveva rigettato tale domanda in quanto la Corte costituzionale, con sentenza n. 211 del 2014, aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, come modificato dall’art. 1, comma 2, della legge Regio Abruzzo n. 16 del 2008, nella parte ove aveva introdotto il comma 2 bis nell’art. 1 della legge Regione Ab ruzzo n. 118 del 1998.
NOME COGNOME ha, quindi, proposto un nuovo ricorso al Tribunale di L’Aquila, poi riassunto davanti a quello di Pescara, chiedendo la condanna della Regione Abruzzo a corrispondere delle somme di denaro per le causali esposte.
Il Tribunale di Pescara, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 474 del 2022, ha rigettato il ricorso.
NOME COGNOME ha proposto appello.
La Regione Abruzzo ha presentato appello incidentale, in ordine alla quantificazione delle spese di lite.
La Corte d’appello di L’Aquila, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 71/2024, ha rigettato l’appello principale e accolto quello incidentale.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La Regione Abruzzo si è difesa con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 bis, della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998, introdotto dall’ar t. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, nonché degli artt. 112, 113 e 132 c.p.c. 118 disp. att. c.p.c. e degli artt. 13, 15, 24 e 111, comma 6, Cost., e l’omesso esame di fatto decisivo.
Afferma che le disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime non sarebbero automaticamente espunte dall’ordinamento, ma continuerebbero ad avere effetto per i rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte costituzionale. Inoltre, l’art. 4 3 citato avrebbe inserito solo formalmente i commi 2 bis e 2 ter dell’art. 1 della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998, e avrebbe solo disciplinato un criterio automatico di riconoscimento.
Il criterio di perequazione introdotto dall’art. 43 in esame avrebbe inciso sulla retribuzione, diventando elemento della stessa e diritto soggettivo patrimoniale perfetto, personale e sociale.
In ogni caso, il comma 2 ter, successivo al menzionato 2 bis, sarebbe sopravvissuto alla dichiarazione di illegittimità costituzionale (pur se abrogato nel 2011).
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata, quindi, carente.
In aggiunta a ciò, sarebbe stato leso pure il suo legittimo affidamento e non sarebbero stati esaminati dei fatti che erano il presupposto del suo diritto.
Le doglianze sono inammissibili.
In primo luogo, si osserva che la Corte di cassazione, con sentenza n. 20773 del 14 ottobre 2015 della Sezione 6-L, ha cassato la decisione di appello che aveva dichiarato il diritto d ell’attuale ricorrente alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità a quella percepita da altri dipendenti inquadrati in pari ruolo a norma degli artt. 1 legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, 43 legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005 ed 1 legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998 fino all ‘ abrogazione sopravvenuta per effetto della legge Regione Abruzzo n. 24 del 2011, con condanna della Regione a corrispondere le differenze retributive maggiorate degli interessi legali a decorrere dalle rispettive date di entrata in vigore delle citate leggi regionali.
La RAGIONE_SOCIALE in tale occasione, ha deciso nel merito la causa, rigettando la domanda in esame.
Ha affermato, in motivazione, richiamando i precedenti conformi di Cass., Sez. L, n. 26320 del 15 dicembre 2014, Cass., Sez. L, n. 26045 del 10 dicembre 2014 e Cass., Sez. L, n. 25492 del 2 dicembre 2014, che ‘ la Corte costituzionale con sentenza n. 211 del 2014 investita dal Tribunale di Teramo della questione di legittimità costituzionale dell ‘ art. 43 della l.r. Abruzzo 8 febbraio 2005 n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Legge Regione Abruzzo – Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall ‘ art. 1, comma 2, della l.r. Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16 (Provvedimenti urgenti ed indifferibili) in riferimento all ‘ art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e dal momento che la disciplina del trattamento economico dei dipendenti regionali rientrerebbe nella materia dell ‘ ordinamento civile che appartiene alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ha dichiarato l ‘ illegittimità costituzionale dell ‘ art. 43 della predetta l.r. Abruzzo 8 febbraio 2005 n. 6 come sostituito dall ‘ art. 1, comma 2, della l.r. Abruzzo 21 novembre 2008 n. 16 nella parte in cui introduce il comma 2-bis nell ‘ art. 1 della l.r. Abruzzo 13 ottobre 1998 n. 118 (Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a
seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. n. 144 del 1989 al personale ex L. n. 285 del 1977). Tanto perché l ‘ art. 43 della citata l.r. n. 6 del 2005, nel disciplinare la retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti regionali, allineandone l ‘ ammontare a quello percepito dai dipendenti che, provenendo da altre amministrazioni, sono transitati nei ruoli regionali, incide sul trattamento economico dei dipendenti regionali prevedendone un incremento allorché ricorrano le condizioni previste e, quindi eccede dall ‘ ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell ‘ ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ‘ .
Ne conseguiva che, secondo i precedenti richiamati, per effetto della declaratoria d ‘ incostituzionalità dell ‘ art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, come sostituito dall ‘ art. 1, comma 2, della legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell ‘ art. 1 della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998 – su cui si fondava la domanda del dipendente – il ricorso per cassazione doveva essere accolto e la sentenza impugnata cassata.
Pertanto, il giudicato formatosi in seguito alla sentenza della Sezione 6-L della Corte di cassazione, n. 20773 del 14 ottobre 2015, preclude l’accoglimento di ogni domanda del ricorrente fondata su ll’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell’art. 1 della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998.
A questa affermazione consegue l’impossibilità di ritenere che un diritto soggettivo perfetto si sia radicato in capo al detto ricorrente sulla base della menzionata normativa, seppure per il tempo antecedente alla sentenza della Corte costituzionale n. 211 del 2014, atteso che il diritto qui reclamato non era mai stato riconosciuto finora, né dalla Regione Abruzzo né in sede giudiziaria in via definitiva.
Neppure può ipotizzarsi che il citato comma 2 bis avrebbe solo codificato un principio già esistente nell’ordinamento. Infatti, se così fosse, il ricorrente avrebbe dovuto quantomeno indicarne il fondamento normativo che, invece, è rimasto del tutto sconosciuto.
D’altronde, se mai si volesse ammettere che vi fosse un diritto soggettivo personale e sociale del dipendente alla perequazione – che, invero, non si ritiene sussista -, e prescindendo dal fatto che non fosse stato accertato in precedenza, non sarebbe ravvisabile un criterio di quantificazione della pretesa che, per il medesimo ricorrente, avrebbe dovuto essere quello riportato nel comma 2 bis dichiarato ormai costituzionalmente illegittimo.
Del tutto priva di valore è la menzione del comma 2 ter in quanto, anche a volere ignorare il giudicato del 2015 sfavorevole al dipendente, tale disposizione era chiaramente strumentale a quella del precedente comma 2 bis e, quindi, non può servire a fondare un diritto che non può più basarsi su tale comma 2 bis.
Adeguata è, quindi, la motivazione della sentenza impugnata, che ha esaminato tutti i fatti rilevanti posti a fondamento della pretesa del ricorrente. Infine, nessuna lesione dell’affidamento del lavoratore vi è stata.
Esattamente, la corte territoriale ha rilevato che la Regione Abruzzo non aveva mai applicato la norma oggetto di causa, con l’effetto che non aveva potuto ingenerare l’affidamento circa la spettanza del diritto in capo al ricorrente, atteso che le somme in questione non erano mai entrate nella sua sfera patrimoniale, soprattutto dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 211 del 2014 e della Corte di cassazione n. 19095 del 25 settembre 2015.
Infatti, non può esservi un valido affidamento su una norma dichiarata costituzionalmente illegittima.
Peraltro, lo stesso ricorrente aveva agito in giudizio per ottenere quello che considerava il riconoscimento di un suo diritto e, quindi, l’esito sfavorevole del processo è prova che non vi erano i presupposti per parlare di un legittimo affidamento.
Se, poi, volesse ipotizzarsi la presenza di un affidamento preesistente a tutte le disposizioni de quibus , non si comprenderebbe il motivo per il quale il dipendente, invece di farlo valere da subito, abbia agito sulla base di una regolamentazione della quale, adesso, prospetta la sostanziale inutilità. Al contrario, ciò palesa come nessun affidamento vi fosse da parte sua, almeno fino al passaggio in giudicato delle pronunce giudiziarie a lui contrarie.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 6.000,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge e alle spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile della