Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26962 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 26962 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/10/2025
SENTENZA
sul ricorso 14303-2021 proposto da:
ISPETTORATO RAGIONE_SOCIALE DI LIVORNO PISA (già DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI PISA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– ricorrente –
contro
COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
O’NOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 434/2020 della CORTE D’APPELLO di
Oggetto
R.G.N. 14303/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 24/09/2025
PU
FIRENZE, depositata il 17/11/2020 R.G.N. 198/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
1.La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza n. 434/2020, in accoglimento dell’appello principale proposto avverso la sentenza del tribunale di Pisa ed in riforma, in parte qua, della sentenza impugnata ha annullato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) l’ordinanza ingiunzione numero 761/15; ha respinto l’appello incidentale svolto dall’Ispettorato territoriale del lavoro di Pisa avverso l’annullamento dell’altra ordinanza ingiunzione disposto dal giudice di primo grado.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha premesso che con distinte ordinanze ingiunzioni, opposte da Ryanair, la Direzione Territoriale del lavoro di Pisa aveva ingiunto a RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME il pagamento, rispettivamente, delle somme di € 35.114,85 e di € 95.114,10 per la violazione di plurime norme di legge, ivi indicate, per avere omesso, relativamente al periodo 2005- settembre 2009, le dovute comunicazioni al Centro per l’impiego ed all’Inail relativamente all’assunzione e/o cessazione del rapporto di lavoro di vari dipendenti, e per non aver consegnato ai medesimi dipendenti i documenti obbligatori.
2.- Con la sentenza n. 380 del 2018, il tribunale di Pisa aveva annullato l’ordinanza ingiunzione n. 762/2015, mentre aveva rigettato l’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione
n. 761/2015 sostenendo che la condotta in oggetto fosse regolabile dalla normativa italiana in materia di comunicazioni obbligatorie.
3.- La Corte d’appello ha richiamato anzitutto le varie norme internazionali e comunitarie (Conv. sulla legge applicabile di Roma del 19.6.1980, Regolamento del 17.6.2008, Regolamento del Consiglio 16.12.1991 n. 3922, Regolamento del Consiglio 22.12.2000 n.44 c.d. Bruxelles I, Regolamento 1215/2012 CE c.d. Bruxelles Ibis) e la giurisprudenza vincolante della CGUE (in particolare n. 279/2019) in materia di legislazione applicabile alle obbligazioni contrattuali ed ai rapporti di lavoro ed ha specificato che pacificamente ai rapporti di lavoro de quibus , tutti relativi ad operatori di volo dipendenti della compagnia aerea contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, non fosse applicabile la legge italiana che prevedeva gli illeciti contestati, bensì la legge irlandese prescelta dalle parti per disciplinare le rispettive obbligazioni. Andava considerato che i contratti di lavoro erano stati conclusi a Dublino, la sede di Ryanair si trova in Irlanda, la parte principale e caratterizzante della prestazione dell’attività di lavoro veniva svolta per la maggior parte del tempo all’interno di aeromobili registrati in Irlanda, la legge destinata a regolamentare i rapporti di lavoro prescelta dai contraenti era quella irlandese e che anche i correlati trattamenti sotto i profili contributivo, fiscale e previdenziale erano assoggettati alla legislazione irlandese, irlandese era la nazionalità dell’aeromobile, siccome idonea a consentire di equiparare lo spazio all’interno dell’aeromobile al territorio dello Stato del quale tale immobile ha la nazionalità.
4.- Quanto alla materia oggetto della causa, essa era di natura sanzionatoria e fuoriusciva dalla disciplina del Regolamento CE di sicurezza sociale n. 1408/71 o n.
883/2004.
5.- Contro la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, l’Ispettorato territoriale del lavoro di Livorno e Pisa con un unico motivo a cui ha resistito Ryanair con controricorso illustrato da memoria.
Il procuratore generale ha depositato memoria nella quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1.Con l’unico motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 5 e dell’art. 87 bis del Regolamento n. 883/2004, dell’articolo 14, comma 5 bis del Regolamento 987/2009, del Reg. 465/2012 e dell’articolo 4bis, comma 2 decreto legislativo n. 181/2000 ed art. 9 bis, comma 3 l. n. 608/1996, in relazione all’articolo 360, comma 1 , n. 3 c.p.c. avendo la Corte d’appello errato a non considerare che ai fini della individuazione della legge applicabile occorresse far riferimento, quantomeno in via analogica, al regolamento CE n. 1408/71 (Applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della comunità) vigente alla data di commissione degli illeciti.
Si sostiene in proposito nel motivo che detto Regolamento era stato emanato al fine di coordinare le disposizioni di rilevanza pubblicistica previste nella legislazione nazionale ed assicurare la più ampia tutela dei diritti e dei lavoratori e delle lavoratrici. Il regolamento n. 1408/71 ha riguardo alla previdenza sociale ed ai diritti di previdenza sociale nel loro complesso; le disposizioni che si assumevano violate nella presente controversia sono dirette ad assicurare il monitoraggio del mercato del lavoro ai fini del contrasto del lavoro irregolare; si tratta quindi di disposizioni finalizzate all’esercizio della funzione pubblica di amministrazione e di
contro
llo sui rapporti di lavoro che si svolgono nel territorio italiano, nonché alla tutela dei diritti dei lavoratori.
In base all’art.14, comma 2 lett. a) ii) del Regolamento dipendente di una compagnia aerea che è Stato determina il sorgere degli obblighi pubblicistici previsti dalla
1408/71 il “occupato prevalentemente” nel territorio dello legislazione di protezione sociale del singolo Stato membro’.
Pertanto, secondo il ricorrente, al fine di stabilire quando una persona possa dirsi occupata prevalentemente nel territorio di uno Stato era consentito utilizzare in via indiziaria altre nozioni presenti nella normativa europea secondo il metodo ermeneutico legittimato dalla giurisprudenza della Corte UE (sentenza cause riunite C 168/16 e 169/16 del 14 settembre 17 punti da 61 a 64) e si potevano prendere le mosse dal concetto di luogo in cui lavoratore svolge abitualmente la propria attività di cui all’articolo 19, numero 2 lett. A del regolamento n. 44/01 concernente la competenza giurisdizionale.
2. Il ricorso è infondato.
3.Va in primo luogo rilevato che la Corte d’appello ha affermato, che i contratti di lavoro dei dipendenti ai quali si riferivano le violazioni contestate erano stati conclusi a Dublino, la sede di Ryanair si trova in Irlanda, la parte principale e caratterizzante della prestazione dell’attività di lavoro veniva svolta per la maggior parte del tempo all’interno di aeromobili registrati in Irlanda, la legge destinata a regolamentare i rapporti di lavoro prescelta dai contraenti era quella irlandese e che anche i correlati trattamenti sotto i profili contributivo, fiscale e previdenziale erano assoggettati alla legislazione irlandese, irlandese era la nazionalità dell’aeromobile, siccome idonea a consentire di equiparare lo spazio all’interno dell’aeromobile al territorio dello Stato del quale tale immobile ha la nazionalità.
4.- Alla stregua di tali premesse di fatto, correttamente la Corte di appello, in ragione della disciplina di carattere internazionale e comunitaria richiamata nella sentenza, ha escluso sia che la materia sanzionatoria oggetto della controversia inerisca ad obbligazioni contrattuali (nè civili né commerciali) sia che essa attenga a diritti dei lavoratori RAGIONE_SOCIALE (né previdenziali, né retributivi).
5.- Sul punto, per concorde ammissione di tutte le parti in causa, la disciplina impositiva di specifici obblighi comunicativi in capo al datore di lavoro, quella che si assume violata nelle due ordinanze di ingiunzione oggetto della controversia, è posta non al fine di tutelare i diritti dei singoli lavoratori, quanto per salvaguardare l’interesse pubblico ad un costante monitoraggio del mercato del lavoro.
6.- Va pure specificato a tale proposito che la normativa sanzionatoria che presiede l’osservanza dei medesimi obblighi di natura amministrativa in capo al datore di lavoro prescinde totalmente dall’assolvimento di obbligazioni contributive.
7.- Gli illeciti contestati, di cui si tratta, integrano, bensì, tecnicamente (v. art. 35 l.689/81), violazioni amministrative da cui non derivano omissioni contributive e che non sono nemmeno connesse ad omissioni contributive.
8.- Nulla, del resto, è stato dedotto nella causa in relazione all’adempimento delle obbligazioni contributive da parte di COGNOME.
9.- Ciò posto, correttamente la Corte ha allora escluso che la normativa rilevante ai fini di individuare la disciplina nazionale applicabile potesse essere quella comunitaria in materia di sicurezza sociale, invocata dall’Ispettorato territoriale del lavoro ricorrente e richiamata dal giudice di prime cure, il quale aveva ritenuto di poter fare
riferimento, in via analogica, al Regolamento n.1408/71 (‘Applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità) ed al criterio del luogo dove il lavoratore sia prevalentemente occupato (ovvero svolga abitualmente la propria attività nei termini di cui alla sentenza della Corte UE, cause riunite C 168/16 e C 169/16 per 14/9/17).
10.- Orbene, la nozione di sicurezza sociale secondo la (vincolante) giurisprudenza della Corte di giustizia CE (14.11.02, C271/00) comprende soltanto l’ambito di applicazione ratione materiae del Regolamento CEE n.883/2004 e n. 1971/1408 come definito dall’art. 4 di quest’ultimo e come precisato dalla stessa giurisprudenza della Corte del Lussemburgo (prestazioni di malattia e maternità, invalidità, vecchiaia, superstiti, infortunio e malattie professionali, disoccupazione, familiari).
11.Ed in questi precisi termini si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9210/2015) richiamata dalla Corte territoriale. Mentre le pretese sanzionatorie oggetto di controversia non integrano prestazioni di carattere sociale precisamente individuate e non rientrano certamente nella materia della sicurezza sociale regolata dal Regolamento CE. 1408/71 o n. 883/2004 (e succ. mod.).
12.- Non è perciò sostenibile che il criterio di collegamento ai fini dell’individuazione della legge applicabile possa desumersi applicando, tanto meno analogicamente, i regolamenti CE in materia di sicurezza sociale che si occupano soltanto delle regole per coordinare i sistemi di sicurezza sociale all’interno della Comunità Europea, garantendo che i lavoratori e i loro familiari che si spostano in un altro Stato membro possano godere del diritto alle
prestazioni di sicurezza sociale senza interruzioni.
13.- In base a tali premesse neppure può rilevare ai fini della decisione la giurisprudenza di questa Corte intervenuta in tema di legge applicabile nella diversa materia previdenziale proprio ai sensi del regolamento CE n. 883/2004 ( v. Cass. n. 34805 del 25/11/2022).
14.- Certamente le comunicazioni obbligatorie di cui si discute (per contratti conclusi all’estero) mirano a garantire il monitoraggio dei rapporti di lavoro ed a rafforzare il rispetto degli obblighi anche assicurativi e previdenziali nei riguardi dei lavoratori; ma tale nesso finalistico non integra sul piano giuridico alcuna connessione diretta tra le materie tale da attrarre quella sanzionatoria nell’ambito, precisamente delimitato (v. sopra) , del Regolamento di sicurezza sociale europeo; posto che, come già rilevato, gli stessi illeciti amministrativi contestati non si riferiscono ad omissioni contributive, tanto che nemmeno risulta in questa causa che in base ad essi si sia prodotta (e per quali lavoratori) una qualche omissione contributiva nel nostro Paese o nel Paese prescelto dalle parti per la disciplina del rapporto di lavoro.
15.- La pronuncia impugnata è infine del tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato come l’oggetto della causa di opposizione ad ordinanza ingiunzione sia costituito soltanto dal giudizio sull’esercizio di un potere autoritativo (Cass. n. 33765 del 16/11/2022) senza che rilevi in alcun modo ai fini della qualificazione della controversia la stessa materia sostanziale a cui le violazioni si riferiscono.
16.- Ed invero, in base alla sentenza delle Sezioni Unite n. 63/2000, ciò che rileva in questi giudizi è «la reazione all’illecito, che, in quanto tale, si propone con uguale strumentalità al ripristino dell’ordine violato ed alla connessa
tutela dell’interesse generale all’effettività della regola dettata dalla norma giuridica della cui osservanza, di volta in volta, si tratta restando invece indifferente il settore dell’ordinamento inciso dal comportamento integrativo della violazione’ (in questi termini Cass. Sez Unite n. 2145/21).
17.Sempre la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 9/04/2018, n. 8673) ha ribadito in seguito che «nei giudizi di opposizione all’ordinanza di irrogazione di una sanzione amministrativa l’oggetto del contendere è costituito dalla esistenza o meno dei presupposti per l’esercizio della potestà sanzionatoria pubblica; il collegamento con il rapporto di lavoro subordinato è, invece, soltanto indiretto poiché ciò che rileva – e che costituisce il tratto comune dell’esercizio della potestà sanzionatoria -è la reazione all’illecito amministrativo e non il settore dell’ordinamento in cui siffatta violazione si consuma».
18.- Tale orientamento è stato rafforzato e reso più esplicito dalla pronuncia n. 2145/21, sempre delle Sez. Unite di questa Corte, la quale ha rilevato che nelle cause di opposizione ad ordinanze ingiunzioni quello che viene in rilievo è propriamente ‘ il rapporto sanzionatorio, ossia quello vertente sull’accertamento della conformità della sanzione ai casi, alle forme e all’entità previsti dalla legge, atteso che si fa valere il diritto a non essere sottoposto a una prestazione patrimoniale se non nei casi espressamente previsti dalla legge (così Cass. Sez.Un. 1786/2010, cit.)’.
Si prescinde quindi del tutto dal c.d. rapporto sostanziale sottostante. E ‘che il thema decidendum sia da individuarsi nell’accertamento della fattispecie produttiva dell’«effetto giuridico tra P.A. e cittadino, consistente nell’obbligo del secondo di pagare una somma di denaro alla prima», è confermato da una serie di norme di carattere generale, contenute negli articoli da 1 a 12 della L. n. 689/1981, le
quali valgono per l’interpretazione del regime sostanziale dell’illecito e della sanzione amministrativa.’ (Cass. Sez. Un. 1786/2010 cit.)
19. Per quanto fin qui osservato, il ricorso deve essere rigettato. Data la novità della questione, sussistono i presupposti per disporre la compensazione delle spese di lite, alla luce di quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n.77/2018.
20. Sussistono invece i presupposti per il raddoppio del c.u.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, alla pubblica udienza del 24 settembre 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME