Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24128 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24128 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso R.G.N. 21599/2024
promosso da
NOME COGNOME nato in Egitto, rappresentato e difeso dall’ avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Prefettura di Frosinone in persona del Prefetto pro tempore, Questura di Frosinone in persona del Questore pro tempore e Ministero dell’interno in persona del Ministro pro tempore;
– intimati con atto di costituzione –
avverso la sentenza del Giudice di Pace di Frosinone n. 489/2024, pubblicata il 27/06/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME ha impugnato il decreto di espulsione dal territorio nazionale emesso dal Prefetto della Provincia di Frosinone in data 31/10/2023 e notificato in pari data.
L’impugnazione era affidata a i seguenti tre motivi di censura: 1) nullità del decreto prefettizio per assenza di attestazione di conformità;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990 per mancanza e/o insufficienza di motivazione per relationem , in ragione dell’omessa notifica del rifiuto di permesso di soggiorno; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990 per mancanza e/o insufficienza e violazione dell’art. 97 Cost.
La Questura di Frosinone, costituitasi in giudizio, costituitasi in giudizio eccepiva la tardività del ricorso introduttivo e comunque la conformità del provvedimento emesso alla normativa vigente.
Con sentenza n. 489/2024 del 27/06/2024, l’impugnazione è stata rigettata.
In particolare, respinta l’eccezione di tardività del ricorso, il Giudice di Pace rilevava che l’espressione contenuta nella relata di notifica del decreto di espulsione, redatta dal personale della Questura ( « l’atto è consegnato all’interessato in originale, ovvero eventualmente in copia conforme all’unico originale di cui il cittadino straniero ha preso visione, previa sottoscrizione per ricevuta del presente verbale» ), non ledeva affatto il diritto di difesa del cittadino straniero, poiché in entrambe le ipotesi contemplate non era stata mai consegnata una copia informale del provvedimento.
Lo stesso Giudice di Pace escludeva , inoltre, l’assenza o l’inadeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato, poiché l’atto conteneva il chiaro richiamo alla normativa e ai presupposti legittimanti l’espulsione , laddove conteneva il riferimento al prodromico provvedimento di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno da parte del Questore di Frosinone, emesso il 02/08/2023 e per tabulas notificato all’interessato in data 31/10/ 2023.
Lo stesso Giudice aggiungeva, in relazione al diniego del permesso di soggiorno, che quest’ultimo era stato ritualmente notificato e non risultava essere stato impugnato.
Infine, con riferimento alla dedotta vita familiare, il menzionato Giudice rilevava che il ricorrente risultava risiedere a Cassino, mentre il fratello, la di lui moglie e i nipoti risultavano risiedere a Milano (con
si evinceva dai documenti di identità, prodotti in atti), con la conseguenza che non si evinceva come il provvedimento di espulsione avrebbe potuto ledere un diritto alla coesione familiare, che non risultava esercitato al momento della richiesta di asilo.
Avverso tale decisione il cittadino straniero ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di doglianza.
Gli intimati non si sono difesi con controricorso, ma hanno depositato un atto di costituzione ai soli fini della partecipazione alla discussione in caso di fissazione della pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per motivazione apparente e/o insufficiente, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nella parte in cui il Giudice di Pace ha respinto l’eccezione formulata in ordine al vizio di forma del decreto espulsivo, in primo luogo perché non presentava alcuna attestazione di conformità e, comunque, perché nella relata di notifica della Questura di Frosinone si leggeva che « l’atto è consegnato all’interessato in originale, ovvero eventualmente in copia conforme all’unico originale di cui il cittadino straniero ha preso visione, previa sottoscrizione per ricevuta del presente verbale», con una formula alternativa ed ambigua, che non dava conto dell’effettiva notificazione dell’origin ale o di una copia conforme.
Secondo il ricorrente, la motivazione della sentenza del Giudice di Pace non coglieva affatto le predette criticità e con motivazione meramente apparente, nonché illogica, aveva sostenuto che in entrambi i casi fosse da escludere la consegna di copia ‘semplice’ , mentre l’accertamento sull’autenticità doveva essere effettuato in maniera rigorosa.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per motivazione apparente e/o insufficiente, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nella parte in cui il Giudice di Pace ha respinto l’eccezione riferita al vizio di motivazione del provvedimento di
espulsione, che rimandava al provvedimento di diniego del permesso di soggiorno, in relazione al quale il ricorrente aveva dedotto che non era stato allegato al decreto espulsivo né separatamente notificato.
La parte ha precisato che la Prefettura si era costituita per il tramite del personale della Questura, allegando il provvedimento prodromico di rifiuto del permesso di soggiorno, senza tuttavia fornire la prova della notifica dello stesso, mentre il Giudice di Pace aveva erroneamente ritenuto che vi fosse la prova documentale di tale notificazione, invece assente.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione di norme di diritto , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., e omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , per avere il Giudice di Pace escluso la lamentata lesione del diritto all’unità familiare, in quanto il ricorrente avrebbe prodotto documentazione inerente la residenza in Cassino, mentre i familiari a cui aspirava congiungersi risiedevano a Milano, senza tenere conto del fatto che l’ ingresso del ricorrente era avvenuto proprio tramite la ‘frontiera’ milanese, della frequentazione scolastica e del reperimento di lavoro in Milano, come emergeva dai seguenti documenti prodotti unitamente al ricorso: lettera di assunzione da parte della società RAGIONE_SOCIALE avente sede in Milano; iscrizione a gennaio 2023 alla scuola di italiano per stranieri, avente sede in Milano. Il ricorrente aggiungeva che il fratello del ricorrente, NOMECOGNOME era iscritto alla camera di commercio industria artigianato e agricoltura di Bergamo, con qualifica di piccolo imprenditore, perché svolgeva attività di vendita al dettaglio di frutta e verdura ed era più che disponibile ad assumere il ricorrente, tanto che allo stato lo aveva assicurato presso Inail nell’ambito dei soci e familiari non artigiani, come si evinceva dalla visura camerale e dalla denuncia Inail prodotte.
Ad opinione del ricorrente, il giudice di pace ha apertamente violato l’insegnamento della Corte Cost. 18 luglio 2013, n. 202, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n.
286 del 1998, nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto» , e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato» .
Inoltre, secondo il ricorrente, il Giudice di pace, nell’esaminare i fatti, si era arrestato all’esame dei soli documenti di residenza del ricorrente e dei familiari, omettendo di dare rilievo agli altri fatti idonei a provare il legame familiare de quo e l’integrazione nel tessuto civile e sociale: in particolare l’iscrizione ad una scu ola di italiano per stranieri, propriamente a Milano, dunque vicino ai familiari di cui sopra, nonché la possibilità di lavorare a Milano presso RAGIONE_SOCIALE in alternativa nell’azienda del fratello.
Il primo motivo è inammissibile.
2.1. Com’è noto, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta dalla novella del 2012) non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della
decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche qualora sussista un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito, nei limiti sopra indicati, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 05/08/2016).
2.2. Nel caso di specie, la censura, come formulata, non prospetta la mancanza di motivazione della decisione o la sua incomprensibilità, che è stata richiamata e semplicemente non condivisa dal ricorrente.
Il Giudice di pace ha affermato che dall’attestazione contenuta nella relazione di notificazione si evinceva che comunque al cittadino straniero non era stata consegnata una copia informale del
provvedimento di espulsione, mentre invece il ricorrente ha contestato la correttezza di tale valutazione.
Non si tratta, dunque, della prospettazione di un vizio di motivazione, ma di una non condivisione della decisione.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente ha dedotto che il Giudice di pace ha ritenuto provato che il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno era stato notificato al cittadino straniero, mentre invece tale prova non era stata acquisita al processo, perché tale provvedimento non era stato allegato al decreto di espulsione e la controparte aveva prodotto in giudizio il solo provvedimento di rifiuto del permesso e non anche la relazione di notificazione.
La censura non convoglia la prospettazione di un vizio della motivazione, che dalle stesse argomentazioni del ricorrente risulta, anzi, esistente e chiara, tanto che è contestata, ma un errore nella percezione delle risultanze probatorie.
Il terzo motivo di ricorso è invece fondato in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
4.1. Come sopra evidenziato, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché influenza l’esito del giudizio.
Non integrano, dunque, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, o le mere ipotesi alternative, e neppure le singole risultanze istruttorie, qualora il fatto storico rilevante sia, comunque, stato preso in considerazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
4.2. Nel caso di specie, il Giudice di Pace ha dato rilievo al fatto che in base all’esame dei documenti d’identità, prodotti in giudizio, il ricorrente risultava risiedere a Cassino, mentre il fratello, la di lui moglie e i nipoti risiedevano a Milano, aggiungendo che non si evinceva come, in tale situazione, il provvedimento di espulsione avrebbe potuto ledere il diritto alla coesione familiare.
Il ricorrente ha, tuttavia, dedotto di avere rappresentato la propria integrazione sociale e il legame con i familiari a Milano e la sua presenza nel negozio del fratello a Bergamo, supportando le allegazioni con documentazione, che risulta avere prodotto unitamente al ricorso al Giudice di Pace, rappresentativa di circostanze di fatto (in particolare, iscrizione in una scuola di lingua italiana, contratto di lavoro a termine, residenza del fratello e della sua famiglia, posizione Inail nell ‘ impresa del fratello), che non risultano essere state esaminate dal Giudice e che, invece, avrebbero dovuto essere considerate, in quanto in grado di determinare un diverso esito decisionale in ordine
alla verifica dei presupposti di cui al vigente art. 19, comma 1.1, d.lgs. n. 286 del 1998.
In conclusione, accolto il terzo motivo, dichiarati inammissibili il primo e il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Giudice di Pace di Frosinone, in persona di un diverso magistrato, chiamato a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte
accoglie il terzo motivo di ricorso e, dichiarati inammissibili il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di Pace di Frosinone, in persona di un diverso magistrato, chiamato a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile