Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15602 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15602 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7236-2022 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4265/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/11/2021 R.G.N. 3225/2019;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
con sentenza 24 novembre 2021, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il gravame di NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto intrattenuto, quale Direttore sanitario, con la RAGIONE_SOCIALE ininterrottamente dal 1° aprile 1992 (dapprima con un contratto di prestazione d’opera prorogato fino al 13 settembre 2010 e nuovamente, dopo un contratto a tempo indeterminato, dal 1° gennaio 2012 ed infine con un contratto a tempo determinato dal 15 ottobre al 31 dicembre 2014, prorogato fino al 15 gennaio 2015) a tale ultima data e, in via gradata, di nullità del termine ad esso apposto, con la conseguente condanna risarcitoria;
in esito a critico scrutinio delle risultanze istruttorie, essa ha escluso l’esistenza di un ininterrotto rapporto di lavoro subordinato tra le parti e negato la natura di impugnazione stragiudiziale della lettera 18 febbraio 2015, siccome riferita all’intero rapporto lavorativo intercorso dal 1° aprile 1992 e non già al solo contratto a tempo determinato dal 15 ottobre al 31 dicembre 2014 (prorogato fino al 15 gennaio 2015), così accertando la decadenza del lavoratore dalla sua impugnazione;
con atto notificato il 18 marzo 2022, il predetto ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui la società ha resistito con controricorso;
la Presidente delegata dal Presidente titolare ha formulato, a norma dell’art. 380 bis , primo comma c.p.c., una sintetica
proposta di definizione del giudizio per manifesta infondatezza del ricorso;
con tempestiva istanza, sottoscritta dal difensore munito di nuova proRAGIONE_SOCIALE speciale in data 7 novembre 2023, il lavoratore ha richiesto la decisione, ai sensi dell’art. 380 bis , secondo comma c.p.c., per cui è stata fissata l’odierna adunanza;
Il ricorrente ha comunicato memoria finale;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222, 2697, 1362 c.c., 115, 116 c.p.c., per non avere la Corte territoriale correttamente individuato i criteri di accertamento del rapporto di lavoro ininterrottamente intrattenuto tra le parti, non valorizzando gli elementi risultanti dalle dichiarazioni testimoniali acquisite, in riferimento agli indici sintomatici della subordinazione, analiticamente esposti (primo motivo);
esso è infondato;
in via di premessa, giova ribadire che un rapporto di lavoro subordinato è identificato, ai sensi dell’art. 2094 c.c., dall’elemento distintivo della subordinazione, ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che si esprime nell’emanazione di ordini specifici oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa (Cass. 19 novembre 2018, n. 29764), senza necessità di provare anche l’esistenza di un diverso rapporto (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728).
Qualora non sia agevolmente accertabile per la peculiarità delle mansioni, esso può essere ricostruito, in via presuntiva,
sulla base di criteri complementari e sussidiari, sia pure privi ciascuno di valore decisivo, quali: la collaborazione o la continuità delle prestazioni o l’osservanza di un orario predeterminato o il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita o il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo datoriale o l’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale (Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 17 aprile 2009, n. 9256). Ed è desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate dal giudice del merito (Cass. 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. 31 maggio 2017, n. 13816; Cass. 29 maggio 2018, n. 13478), alla stregua di accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 luglio 2015, n. 14434);
3.1. in esatta applicazione dei suenunciati principi di diritto e in esito ad una valutazione probatoria globale, la Corte partenopea ha accertato, con ragionamento congruamente argomentato, l’inesistenza di un rapporto di subordinazione (per le ragioni esposte dal quinto capoverso di pg. 5 all’ult imo di pg. 6 della sentenza), per la prestazione dal ricorrente di un’attività di collaborazione medica di natura autonoma;
3.2. non si configura pertanto la violazione delle norme di legge denunciate, in assenza di errori di diritto, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). La ricorrente si duole piuttosto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del
novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (qui inammissibile);
4. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 6 legge n. 604/1966 come mod. dall’art. 32 legge n. 183/2010, per la natura di impugnazione stragiudiziale della lettera datata 18 (spedita il 25 e ricevuta il 27) febbraio 2015, nel rispetto del termine di decadenza prescritto, in realtà neppure previsto per il riferimento della diffida all’intero rapporto lavorativo intercorso tra le parti dal 1° aprile 1992 al 15 gennaio 2015 (data a cui prorogato il contratto a tempo determinato dal 15 ottobre al 31 dicembre 2014, giunto a scadenza), essendo oggetto della controversia la corretta qualificazione dello stesso (secondo motivo);
5. esso è inammissibile;
6. anche qui non si configura alcuna violazione di legge, ma si contesta l’interpretazione giudiziale della lettera di diffida, neppure appropriatamente censurata. D’altro canto, l’interpretazione degli atti di autonomia RAGIONE_SOCIALE e del contratto costituisce indagine di fatto; sicché, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., non soltanto deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461), poiché quest’ultima non deve essere l’ unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale
siano possibili due o più interpretazioni, alla parte, che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, non è consentito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 28 novembre 2017, n. 28319; Cass. 27 giugno 2018, n. 16987);
il ricorrente ha dedotto omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, quali le circostanze in particolare: di mancanza di specifica contestazione dalla società della illegittimità del contratto a tempo determinato tra le parti, sotto i profili formale e sostanziale; di genericità delle ragioni in esso indicate; di nullità del contratto e della sua proroga; di diritto del ricorrente all’assunzione a tempo indeterminato (terzo motivo);
8. esso è inammissibile;
ricorre nel caso di specie l’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348 ter , quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis , nella quale il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994): ciò che il ricorrente non ha fatto;
il ricorrente ha infine dedotto omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, quali le obbligazioni retributive, risarcitorie e contributive conseguenti all’illegittimità del contratto a tempo indeterminato;
esso è assorbito;
in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380 bis , terzo comma c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) – che, nei casi di definizione del
giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. S.U. 27 settembre 2023, n. 27433; Cass. S.U. 13 ottobre 2023, n. 28540);
13. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza, condanna ad una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma c.p.c., oltre che ad una somma di denaro in favore della cassa ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma c.p.c. e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dells controricorrente, alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi, in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge, in € 2.500,00 ai sensi degli artt. 380 bis e 96, terzo comma c.p.c. e € 2.500,00 ai sensi degli artt. 380 bis e 96, quarto comma c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 23 aprile 2024