Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30735 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30735 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29241-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2225/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/06/2022 R.G.N. 2808/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 29241/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 24/09/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Roma, che aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dal lavoratore NOME COGNOME volta all’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, al riconoscimento di differenze retributive e alla declaratoria di inefficacia del licenziamento orale.
La Corte ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva affermato la competenza del giudice delegato del procedimento di prevenzione, e non del giudice del lavoro, per la domanda di condanna alle differenze retributive, rilevando che il credito lavorativo vantato era anteriore al provvedimento di sequestro del Tribunale del 18 settembre 2018. Tuttavia, ha riformato la decisione relativamente agli ulteriori aspetti, dichiarando l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti nel periodo compreso tra il 2 novembre 2015 e il 10 giugno 2018, con svolgimento di mansioni di addetto alle pulizie di VII livello del c.c.n.l. Turismo – Pubblici Esercizi.
La Corte ha altresì dichiarato inefficace il licenziamento orale, ordinando la reintegra immediata del lavoratore nel posto di lavoro e la corresponsione di un’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione, oltre ai contributi previdenziali e assistenziali dovuti.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso la RAGIONE_SOCIALEin persona dell’Amministratore giudiziario, con due motivi, cui resiste con controricorso, COGNOME Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo del ricorso per cassazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2222 e 2094 c.c., sostenendo che la Corte d’Appello di Roma avrebbe erroneamente riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro tra le parti.
La corte avrebbe, secondo la ricorrente, trascurato elementi indicativi della natura autonoma del rapporto, come la proprietà degli strumenti di lavoro da parte del lavoratore e l’assenza di un’integrazione stabile nell’organizzazione aziendale, né avrebbe considerato altre circostanze, come il fatto che il lavoratore si sarebbe assentato dal lavoro senza richiedere una preventiva autorizzazione e che la attività di pulizia dell’immobile esula completamente dell’oggetto sociale dell’azienda, che si occupa della gestione di sale giochi; la ricorrente evidenzia pure che, l’avere il lavoratore scelto di non essere titolare di una partita IVA, non renderebbe automaticamente subordinata la sua prestazione.
Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., il ricorrente deduce la nullità della sentenza per motivazione illogica e carente. La Corte d’Appello non ha fornito una spiegazione adeguata del ragionamento che ha portato alla decisione di qualificare il rapporto di lavoro come subordinato. Secondo il ricorrente, la motivazione della sentenza è insufficiente e non consente di comprendere appieno l’iter logico seguito, precludendo il controllo sull’esattezza della decisione.
Il ricorso è inammissibile, poiché introduce, al di là della indicazione formale nelle censure proposte, quali violazioni di legge, contestazioni relative alla ricostruzione dei fatti fornita
dai giudici di merito, che sollecitano una revisione della motivazione attraverso una diversa valutazione delle risultanze istruttorie.
La Corte di Appello ha correttamente applicato i principi consolidati per l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, fondandosi su elementi fattuali e presuntivi che rientrano nell’apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Tali accertamenti, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, non sono censurabili in sede di Cassazione, trattandosi di valutazioni di fatto sottratte al controllo di legittimità (Cass., Sez. VI, ord. n. 9097/2017; Cass., Sez. Lav., n. 1227/2013).
3.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Le doglianze della ricorrente consistono in una mera critica alla valutazione del materiale probatorio compiuta dal giudice di appello. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il sindacato della Cassazione non può essere esteso al riesame delle risultanze istruttorie o alla rivalutazione degli elementi di fatto posti a base del giudizio. La pretesa del ricorrente di contrapporre una diversa lettura del materiale probatorio a quella del giudice di merito esula dai limiti del giudizio di legittimità, essendo riservata esclusivamente al giudice di merito la valutazione delle prove e la scelta tra le risultanze istruttorie (Cass. 26.07.2022 n. 23371; Cass. n. 19144/2021).
Il giudice di appello ha individuato la subordinazione ricorrendo ai c.d. criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, la regolamentazione dell’orario di lavoro e l’inserimento del lavoratore nella struttura organizzativa aziendale. Tale valutazione, trattandosi di prestazioni elementari e ripetitive (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), è pienamente conforme ai principi sanciti da questa Corte (Cass. 20.01.2022 n. 1809; Cass. 6.07.2021 n. 19144).
3.2 Il secondo motivo, prospettato quale vizio della motivazione e violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., è inammissibile in quanto la Corte d’Appello ha fornito una motivazione chiara, logica e comprensibile, tale da rendere intellegibile il percorso argomentativo seguito.
In particolare la corte ha osservato come, nel caso di specie, la natura ripetitiva e continuativa dell’attività svolta dal sig. COGNOME unita alla sua stabile presenza presso la struttura aziendale per orari e giorni predeterminati, come confermato dalle testimonianze acquisite, consente di ritenere dimostrata l’integrazione del requisito della subordinazione.
La corte ha pure chiarito come fossero superate, alla luce di tale ragionamento, le obiezioni del Tribunale in merito all’assenza di un esercizio costante del potere direttivo, trattandosi di un rapporto in cui le direttive potevano risultare limitate ma comunque vincolanti e accettate dal prestatore di lavoro. Né le contestazioni sol levate in ordine all’assenza di sostituti diretti o alla dotazione minima di strumenti di lavoro posseduti dal sig. COGNOME sono sufficienti a escludere l’esistenza del rappor to di lavoro subordinato, essendo tali aspetti marginali rispetto all’insieme degli elementi probatori considerati.
Il ricorrente, qualificando erroneamente le sue censure come violazioni di legge, mira in realtà a ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, attività preclusa al giudice di legittimità. Come precisato da questa Corte, “l’apprezzamento dei fatti e delle prove è riservato al giudice di merito e non può essere rivalutato in sede di legittimità, se non nei limiti di un evidente vizio logico o giuridico nella motivazione” (Cass. n. 9097/2017; Cass. n. 8053/2014).
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il vizio di motivazione può essere dedotto solo nei ristretti limiti previsti dal novellato art. 360 n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis, e
non può risolversi in una generica non condivisione delle conclusioni del giudice di merito (Cass. SS.UU. n. 8053/2014; Cass. n. 23371/2022).
In ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore antistatario; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, oltre accessori di legge, con distrazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 24 settembre