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Lavoro subordinato: quando si applica a professionisti?

Un collaboratore tecnico ha citato in giudizio un architetto per ottenere il riconoscimento del suo rapporto come lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La sentenza chiarisce che, per le prestazioni intellettuali, la prova della subordinazione richiede la dimostrazione di un effettivo potere direttivo del datore di lavoro, non essendo sufficiente una semplice collaborazione continuativa. La Corte ha inoltre validato la legittimità della nomina di un giudice ausiliario come relatore nel processo d’appello.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Subordinato per Professionisti: Quando la Collaborazione non Basta

La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto del lavoro, specialmente quando riguarda prestazioni di natura intellettuale e professionale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su quali elementi siano decisivi per qualificare un rapporto di lavoro. Vediamo insieme il caso di un collaboratore tecnico che ha cercato di far riconoscere la natura subordinata del suo rapporto con uno studio di architettura.

I Fatti del Caso: Collaboratore Tecnico contro Architetto

Un collaboratore tecnico e operatore CAD ha lavorato per circa otto anni per uno studio di architettura. Ritenendo di aver operato come un dipendente a tutti gli effetti, ha citato in giudizio l’architetto titolare dello studio per chiedere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e il pagamento delle relative differenze retributive, quantificate in oltre 85.000 euro.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto la sua domanda. Secondo i giudici di merito, non era stata fornita la prova dell’elemento fondamentale della subordinazione: l’eterodirezione. In altre parole, non era stato dimostrato che il collaboratore fosse sottoposto al potere direttivo, di controllo e organizzativo dell’architetto. Le sue attività, inclusa la redazione di consulenze tecniche d’ufficio delegate dall’architetto, venivano svolte in completa autonomia.

L’Appello in Cassazione e la questione del lavoro subordinato

Insoddisfatto della decisione, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due principali motivi:
1. Un vizio procedurale: La nullità della sentenza d’appello a causa della composizione del collegio giudicante. In particolare, si contestava il fatto che il ruolo di giudice relatore fosse stato svolto da un giudice ausiliario.
2. Un errore di diritto: La violazione delle norme sul lavoro subordinato (art. 2094 c.c.). Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato a non considerare che, nel caso di prestazioni intellettuali, il vincolo di subordinazione si presenta in forma ‘attenuata’ e che, quindi, si sarebbero dovuti valutare altri indici, come la continuità della collaborazione e l’inserimento nell’organizzazione aziendale.

La Decisione della Corte: Quando un rapporto è davvero subordinato

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello.
Sul piano procedurale, i giudici supremi hanno ribadito la piena legittimità dell’impiego dei giudici ausiliari anche con funzioni di relatore, citando una precedente sentenza della Corte Costituzionale che ha validato questa prassi fino al 31 ottobre 2025 per far fronte alle esigenze dell’amministrazione della giustizia.

Le Motivazioni: Indici di Subordinazione e Valutazione del Giudice

La parte più interessante della decisione riguarda il merito della questione. La Cassazione ha ricordato un principio consolidato: la qualificazione di un rapporto come autonomo o subordinato è un accertamento di fatto che spetta al giudice di merito. La Corte Suprema può intervenire solo se la decisione è basata su un’errata interpretazione dei criteri legali o se la motivazione è palesemente illogica.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i principi giuridici. I giudici hanno sottolineato che, sebbene per le prestazioni intellettuali il vincolo di subordinazione sia più ‘leggero’, è comunque indispensabile provare l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo altrui.
Nel processo non erano emersi elementi sufficienti a dimostrarlo: le deposizioni dei testimoni non avevano confermato l’esistenza di un orario di lavoro specifico e vincolante, né la natura delle direttive impartite dall’architetto era tale da configurare un vero e proprio potere di controllo. Le direttive erano risultate generiche e il collaboratore manteneva un’ampia autonomia nello svolgimento delle sue mansioni tecniche. Di conseguenza, in assenza di prove concrete sull’eterodirezione, la domanda del lavoratore è stata respinta.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza sul Lavoro Subordinato?

Questa ordinanza offre due importanti lezioni. La prima è che per ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, specialmente in contesti professionali, non è sufficiente dimostrare una collaborazione continuativa o l’inserimento funzionale nell’attività altrui. È essenziale provare, con elementi concreti, di essere stati soggetti al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. L’onere della prova spetta a chi afferma di essere un lavoratore dipendente. La seconda lezione, di carattere processuale, conferma la validità e l’importanza del ruolo dei giudici ausiliari nel sistema giudiziario italiano per garantire la ragionevole durata dei processi.

Quando un rapporto di collaborazione con un professionista si considera lavoro subordinato?
Un rapporto si considera di lavoro subordinato solo se il collaboratore riesce a dimostrare di essere stato soggetto al potere direttivo, di controllo e organizzativo del professionista (eterodirezione). La semplice continuità della collaborazione non è sufficiente.

Un giudice ausiliario può svolgere la funzione di relatore in una causa d’appello?
Sì, la Corte di Cassazione, richiamando una pronuncia della Corte Costituzionale, ha confermato la piena legittimità di questa prassi, almeno fino al 31 ottobre 2025, per contribuire a smaltire il carico di lavoro delle Corti d’Appello.

Per dimostrare la subordinazione, è sufficiente provare di aver lavorato per un solo committente?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che l’elemento decisivo è la prova dell’assoggettamento al potere direttivo. Nel caso esaminato, nonostante la collaborazione continuativa, non è stata dimostrata l’esistenza di direttive specifiche, di un orario di lavoro fisso o di un controllo costante, elementi che caratterizzano il lavoro subordinato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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