Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6042 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6042 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14431-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME;
– intimato – avverso la sentenza n. 426/2022 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 07/06/2022 R.G.N. 29/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza n. 426 del 2022 la Corte di appello di Lecce ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME il quale, premesso di avere lavorato alle dipendenze dell’AVV_NOTAIO svolgendo le mansioni di collaboratore tecnico ed operatore CAD, aveva chiesto accertarsi la natura subordinata del rapporto di
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 31/01/2024
CC
lavoro, intercorso tra le parti, dal settembre 1997 al 2005, con condanna al pagamento, in suo favore, delle differenze retributive quantificate in complessivi euro 85.527,00 (anche a titolo di mensilità aggiuntive, ferie, festività, permessi, straordinario e TFR).
I giudici di seconde cure hanno, in sintesi, rilevato che proprio l’attività svolta (espletamento degli incarichi di consulenza tecnica di ufficio, per conto dell’AVV_NOTAIO formalmente nominato, conferiti dall’AG) non era un indice della natura subordinata del rapporto di lavoro e che, nel caso in esame, non risultava dimostrata l’eterodirezione, cui era sottoposto lo COGNOME, in relazione agli incarichi e mansioni espletate.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a due motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per la diversa composizione del Collegio giudicante, in cui relatore era stato nominato un giudice ausiliario dopo che un precedente collegio aveva suggerito criteri per una definizione transattiva della controversia, con violazione degli artt. 158 e 281 sexies cpc nonché la violazione del giudicato costituzionale per cui il giudice onorario può partecipare al collegio giudicante ma non può assumere, come è avvenuto nel caso di specie, il ruolo di relatore per mancanza di una espressa disposizione di legge.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2094 cc), per avere la Corte territoriale erroneamente escluso, sulla base delle risultanze processuali, la sussistenza del requisito della subordinazione nel rapporto di lavoro di cui è processo che, concernendo una prestazione intellettuale, doveva essere valutata in modo attenuato.
Il primo motivo è infondato.
Deve premettersi che, a seguito delle due ordinanze di remissione n. 32032 e n. 32033, entrambe depositate il 9.12.2019, con la quale questa stessa Corte ha dubitato della conformità della normativa richiamata al dettato costituzionale, la Corte Costituzionale si è pronunciata, con sentenza n. 41 del 25 gennaio 2021, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli da 62 a 72 compresi della Legge n. 98 del 2013, “nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non verrà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116” . La Corte costituzionale, operando un misurato bilanciamento tra i diversi valori costituzionali, ed allo scopo di evitare pregiudizi irreparabili all’amministrazione della giustizia, ha ribadito, in motivazione, la legittimità della costituzione dei collegi delle Corti di Appello ai quali abbia partecipato non più di un giudice ausiliario, come nel caso in esame, fino al 31 ottobre 2025.
Quanto al profilo della sostituzione del giudice relatore, avvenuta con decreto del Presidente in data 4.10.2021 con relativa nomina di un giudice onorario ausiliario, va precisato che, nel giudizio d’appello, non integra vizio di costituzione del giudice la sostituzione del relatore senza l’osservanza delle modalità di cui agli artt. 174 c.p.c. e 79 disp. att. c.p.c., costituendo tale violazione una mera irregolarità di carattere interno che non incide sulla validità del procedimento o della sentenza (Cass. n. 14554/2022).
In ordine, infine, alla asserita impossibilità di un giudice ausiliario di potere svolgere le funzioni di relatore, deve specificarsi che, in ipotesi di una decisione collegiale di appello, la relativa attività, a prescindere da chi svolga la relazione della causa, non è riferibile al solo relatore, come sembra paventare parte ricorrente, ma a tutto il Collegio giudicante e la stesura del provvedimento da parte dell’estensore, giudice ausiliario, è comunque riferibile all’intero organo giudicante attraverso la sottoscrizione del Presidente che conferisce la paternità collegiale alla decisione stessa.
L’art. 68, comma 1, dello stesso d.l. n. 69 del 2013 prevede, infatti, che i giudici togati costituiscono la maggioranza del collegio, del quale può fare parte un solo giudice ausiliario, proprio per garantire la maggioranza della decisione da parte dei magistrati professionali.
Inoltre, come precisato dalla Corte costituzionale con la menzionata pronuncia, i giudici ausiliari non sono nominati per concorso, ma con decreto del Ministro della giustizia previa deliberazione del CSM, in base alla verifica dei requisiti prescritti dalla legge (artt. 63 e 64 del d.l. n. 69 del 2013); acquisiscono «lo stato giuridico di magistrati onorari» (art. 72, comma 1); sono stabilmente incardinati, per la durata di anni cinque prorogabile di altri cinque (art. 67, commi 1 e 2), nell’organo collegiale, esercitando le relative funzioni giurisdizionali, e sono chiamati a definire nel collegio in cui sono relatori, almeno novanta procedimenti per anno (art. 68, comma 1), senza che vi sia alcun limite – di materia o valore – nell’assegnazione dei procedimenti civili (art. 62, comma 1), con la eccezione dei soli «procedimenti trattati dalla Corte d’appello in unico grado» (art. 62, comma 2). Essi compongono i collegi, secondo la pianta organica definita presso ciascuna corte d’appello tenendo conto delle pendenze e delle scoperture di organico (art. 65, comma 1), in funzione della esigenza di agevolare la definizione dei procedimenti civili, compresi quelli in materia di lavoro e previdenza, secondo le priorità individuate annualmente dai presidenti delle corti di appello con i programmi previsti dal citato art. 37, comma l, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito.
Per quanto sopra specificato, le doglianze di cui al motivo non sono meritevoli di accoglimento perché, pur essendo stata la figura del giudice ausiliario di appello considerata contraria all’art. 106 della Cost., tuttavia è stata ritenuta legittima, anche nella funzione di relatore, dalla Corte costituzionale almeno fino al 31.10.2025.
Il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Deve premettersi che la valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Cass. n. 22846/2022).
L’esistenza del vincolo di subordinazione, quindi, va valutata dal giudice di merito – il cui accertamento è censurabile in sede di legittimità quanto all’individuazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre si sottrae al sindacato, se sorretta da motivazione adeguata e immune da vizi logici, la valutazione delle risultanze processuali – avuto riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione. (Cass. n. 9256/2009; Cass. n. 14160/2014; Cass. n. 23816/2021).
Orbene, in punto di diritto va ribadito che la subordinazione è la soggezione del lavoratore all’altrui effettivo potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare (Cass. 3418/2012) e ciò che conta, ai fini appunto di qualificare un rapporto di lavoro come rapporto di natura subordinata, è la eterodirezione dell’attività lavorativa nonché l’inserimento stabile e costante del lavoratore nella compagine organizzativa aziendale (Cass. n. 25204/2013).
Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato in caso di prestazioni di natura intellettuale o
professionale, poi, l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui si presenta in forma attenuata in quanto non agevolmente apprezzabile a causa dell’atteggiarsi del rapporto, sicché occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, la cui valutazione di fatto, rimessa al giudice del merito, se immune da vizi giuridici ed adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità, ove è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. n. 5436/2019).
16. Nella fattispecie, la Corte territoriale si è attenuta, nell’esame delle risultanze processuali, ai suddetti principi rilevando, con un accertamento di merito adeguatamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità -esclusa ogni rilevanza in ordine alle avanzate pretese riferibili all’attività di redazione delle consulenze giudiziarie affidate al COGNOME e che venivano poi di fatto delegate allo COGNOME il quale le svolgeva in completa autonomia- che dalle deposizioni dei testi non erano emersi elementi di prova tali da rendere indubitabile la sussistenza della subordinazione; in particolare, la dimostrazione certa che lo COGNOME lavorasse per pratiche dell’AVV_NOTAIO e non per quelle sue o se rispettasse uno specifico orario di lavoro: il tutto in un contesto in cui l’indicazione delle direttive che il presunto datore di lavoro avrebbe impartito era estremamente generico non essendo emerso in che cosa tali direttive fossero effettivamente consistite.
17. E’ opportuno ribadire, in relazione alle doglianze riguardanti l’esame del materiale probatorio, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 cpc), come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga
più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 gennaio 2024