Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11937 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 11937 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30629-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 592/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/04/2019 R.G.N. 1685/2016;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/03/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
con sentenza 8 aprile 2019, la Corte d’appello di Roma ha rigettato la domanda di NOME COGNOME di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato con RAGIONE_SOCIALE dal luglio 1998 al dicembre 2009 e di condanna della società al pagamento, in proprio favore a titolo di differenze retributive, della somma di € 78.000,00: così riformando la sentenza di primo grado, che l’aveva invece accolta;
in esito allo scrutinio delle risultanze istruttorie, essa ha escluso la prova dell’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinando, piuttosto che di un’attività libero professionale della ricorrente, in qualità di logopedista;
con atto notificato l’8 ottobre 2019 NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui la società ha resistito con controricorso;
Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 c.c., per esclusione dalla Corte territoriale della prova di esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, in esito ad una erronea valutazione delle risultanze
istruttorie richiamate, alla luce dei principi di diritto in materia come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità (primo motivo); violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2094 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo, per non corretto esame delle dichiarazioni testimoniali e dei documenti prodotti (secondo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
in via di premessa, giova ribadire l’identificazione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 2094 c.c., in base all’elemento distintivo della subordinazione, ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che si esprime nell’emanazione di ordini specifici oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa (Cass. 19 novembre 2018, n. 29764), senza necessità di provare anche l’esistenza di un diverso rapporto (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728);
3.1. qualora esso non sia agevolmente accertabile per la peculiarità delle mansioni, esso può essere ricostruito, in via presuntiva, sulla base di criteri complementari e sussidiari, sia pure privi ciascuno di valore decisivo, quali: la collaborazione o la continuità delle prestazioni o l’osservanza di un orario predeterminato o il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita o il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo datoriale o l’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale (Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 17 aprile 2009, n. 9256). Ed è desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate dal giudice del merito (Cass. 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. 31 maggio 2017, n. 13816;
Cass. 29 maggio 2018, n. 13478), alla stregua di accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 luglio 2015, n. 14434);
3.2. in esatta applicazione dei suenunciati principi di diritto e in esito ad una valutazione probatoria globale, la Corte capitolina ha accertato l’inesistenza di un rapporto di subordinazione, con argomentazione congrua, per la prestazione dalla ricorrente dell’attività libero professionale di logopedista (per le ragioni esposte dal secondo capoverso di pg. 5 all’ultimo di pg. 10 della sentenza);
non è pertanto configurabile la violazione delle norme di legge denunciate, in assenza di errori di diritto, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851).
La ricorrente si duole piuttosto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
le censure si risolvono nella sostanza in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 13 febbraio 2023, n. 4316), in quanto spettanti esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e
adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
6. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la lavoratrice alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 13 marzo 2024