Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22938 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22938 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17393-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con domicilio digitale presso il difensore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI CROTONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma alla INDIRIZZO;
– controricorrente – avverso la sentenza n. 46/2024 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO, depositata il 05/03/2024 R.G.N. 532/2021;
Oggetto
Opposizione ad ordinanza ingiunzione
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
U
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2025 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 671/2020 il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE aveva accolto il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE ed aveva annullato l’opposta ordinanza ingiunzione 1/24 -15/2017, emessa dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, notificata alla suddetta società il 10/05/201 7, per l’importo di € 11.079,50, per la violazione dell’art. 3 d.l. n. 12/2002, come modificato dal d.l. n. 145/2013, per avere la società occupato, senza preventiva comunicazione, la dipendente COGNOME NOME nei periodi in dettaglio indicati, compresi tra il 27/1/2014 e il 30/05/2014, per un totale di 38 giorni lavorativi.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Catanzaro accogliendo l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE contro la suddetta sentenza e in riforma della stessa, rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, condannandola al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, come liquidate per ciascun grado.
Per quanto qui interessa, la Corte RAGIONE_SOCIALE premetteva: a) che il Tribunale, muovendo dal generico riferimento della ricorrente ad un’attività di pratica professionale intrapresa presso di essa dalla RAGIONE_SOCIALE, aveva ritenuto di dover ricostruire dettagliatamente la disciplina legislativa dei tirocini formativi di cui all’art. 18 L. n. 197/1997, notoriamente non costituenti rapporti di RAGIONE_SOCIALE subordinato, e le interpretazioni consolidate della giurisprudenza di legittimità; b) che, ciò fatto, sempre il primo giudice aveva rilevato che l’onere della prova
dell’ipotizzato rapporto di RAGIONE_SOCIALE subordinato gravava sull’RAGIONE_SOCIALE, che aveva rinunciato alla prova testimoniale richiesta, e che tutte le persone audite in sede di accertamento ispettivo avevano detto che la RAGIONE_SOCIALE svolgeva u n’attività di mera tirocinante, sicché accoglieva l’opposizione all’ordinanza -ingiunzione suddetta.
4. Tanto premesso e riferiti i motivi d’appello dell’RAGIONE_SOCIALE, la Corte riteneva: I) per prima cosa, di sgombrare il campo dalla suggestiva ipotesi del tirocinio formativo ex art. 18 L. 197/97, non solo perché non era stata rinvenuta, in sede di accesso ispettivo e nemmeno mai prodotta nelle fasi successive o in giudizio, la documentazione che pure ex lege avrebbe dovuto esistere ed essere custodita dalla società verificata (la necessaria convenzione con uno dei soggett i di cui all’art. 18 lett. a) L. cit.; l’altrettanto obbligatoria convenzione con l’RAGIONE_SOCIALE), ma anche perché neppure la stessa ricorrente, nel ricorso introduttivo del giudizio, aveva mai dedotto l’esistenza di un tirocinio ex L. n. 196/97, essendosi limitata ad evocare una molto generica necessità della COGNOME di ‘rendersi conto’ della realtà del mondo del RAGIONE_SOCIALE in cui avrebbe operato; II) che, pertanto, la dettagliata ed esaustiva esposizione della regolamentazione legislativa di tale materia e delle interpretazioni fornitane dalla giurisprudenza contenuta nell’impugnata sentenza, risultava essere del tutto priva di attinenza con l’oggetto del giudizio; III) che quel che emergeva dagli atti era che la dr.ssa COGNOME NOME, laureata in biologia ed abilitata all’esercizio della professione, era stata trovata in camice all’interno di un laboratorio di analisi e, condotta presso i locali dell’RAGIONE_SOCIALE procedente, aveva reso dichiarazioni, regolarmente verbalizzate e sottoscritte, secondo le quali:
appena ottenuta l’abilitazione a gennaio 2014, iniziava a frequentare il laboratorio della verificata; vi si recava da lunedì a venerdì di ogni settimana, seguendo l’orario h. 8:30 -h.13.00; seguiva le direttive dei responsabili del laboratorio e, in partic olare, le ‘direttive specifiche’ della dr.ssa COGNOME NOME, da tutte le altre persone udite indicata come effettiva titolare del laboratorio; IV) che sussisteva, pertanto, un’adeguata e sufficiente prova dell’esistenza di un rapporto di RAGIONE_SOCIALE subordinato: soggezione alle direttive datoriali, orari e giorni lavorativi predeterminati ed anche la titolarità di un titolo di laurea e di un’abilitazione professionale proprie e specifiche per l’attività di laboratorio di analisi, oltre alla circostanza dell ‘essere stata trovata intenta al RAGIONE_SOCIALE e in camice al momento dell’accesso.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘ex art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Violazione e falsa applicazione di un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. ed agli artt. 2697, 2094 e 2222 c.c.’.
Con il secondo motivo denuncia ‘ex art. 360 n. 3 c.p.c.: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’inesistenza degli elementi sintomatici della invocata subordinazione’.
Il primo motivo è inammissibile.
A prescindere dal promiscuo ed indistinto riferimento in rubrica ai differenti mezzi di cui ai nn. 3) e 5) dell’art. 360, comma primo, c.p.c., la ricorrente dichiara di impugnare i .
4.1. E in proposito, in un primo momento, la ricorrente deduce che: ‘Ma all’attenta analisi della difesa, la suggestiva ipotesi del tirocinio formativo non è da attribuire al RAGIONE_SOCIALE, bensì alle deduzioni dell’RAGIONE_SOCIALE‘ (così a pag. 6 del ricorso).
Osserva allora il Collegio che, come ben risulta dalla narrativa che precede, la parte di motivazione che la ricorrente censura, peraltro riportandola in modo incompleto, alla luce di quanto premesso in sentenza (al § 3) sul ragionamento decisorio espresso dal primo giudice partendo dalla disciplina della disciplina dei tirocini formativi ex art. 18 L. n. 196/1997,
era volta essenzialmente ad evidenziare che quelle considerazioni del Tribunale erano estranee al thema decidendum in fatto e in diritto, in base a quanto dedotto dalla stessa opponente nel ricorso introduttivo del giudizio.
5.1. Non è dato comprendere allora di cosa si dolga a riguardo la ricorrente per cassazione, che sembra ora voler sostenere di non aver inteso far valere in primo grado la ricorrenza con la COGNOME di quel tipo di tirocinio formativo.
Contraddittoriamente, allora, la ricorrente, in una parte seguente dello svolgimento del primo motivo (cfr. pagg. 7-8 del ricorso), si sofferma sulla disciplina dei tirocini formativi e di orientamento di cui al D.M. n. 142/1998, Regolamento cui la Corte di merito non ha fatto il benché minimo cenno.
6.1. Parimenti eccentriche rispetto alla ratio decidendi dell’impugnata sentenza sono le considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine alla mancanza di prova da parte dell’RAGIONE_SOCIALE in ordine ad una figura di ‘allievo’ (cfr. prima parte di pag. 9 del ricorso).
Sono, infine, inammissibili le ulteriori considerazioni svolte dalla ricorrente per sostenere che: ‘Nel caso di specie avendo l’RAGIONE_SOCIALE rinunciato alla prova orale nel corso del giudizio, le dichiarazioni raccolte in sede ispettiva non sono sufficienti a dimostrare la sussistenza di un rapporto di RAGIONE_SOCIALE subordinato, anzi confermano lo svolgimento di attività di formazione a titolo gratuito, come dichiarato dalla stessa COGNOME NOME e dai testimoni escussi’ (v. in extenso pagg. 9-12 del ricorso).
7.1. Invero, la ricorrente non considera che la Corte di merito ha più volte sottolineato c he il personale dell’RAGIONE_SOCIALE
procedente aveva direttamente constatato, in occasione dell’accesso ispettivo, che la COGNOME era intenta al RAGIONE_SOCIALE in camice all’interno del laboratorio di analisi della società (aspetto sul quale il relativo verbale è munito di fede privilegiata ex art. 2700 c.c.) e che la stessa Corte, oltre a quanto già riportato nella narrativa di questa ordinanza, ha svolto ulteriori considerazioni sia su quanto dichiarato dalla stessa COGNOME (autodefinitasi ‘tirocinante’) e sulla stessa definizione di ‘tirocinante’ proveniente da altre persona sentite dagli ispettori (cfr. la parte finale della motivazione dell’impugnata sentenza).
7.2. Per contro, la ricorrente propone una propria diversa lettura, per giunta del tutto generica, delle dichiarazioni rese dalla COGNOME e dai ‘testimoni escussi’ (alludendo, in realtà, alle altre persone ascoltate dagli ispettori del RAGIONE_SOCIALE); il che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
8. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
In disparte la mancata indicazione delle norme di diritto che si assumono violate in censura che, questa volta, si basa esclusivamente sul mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c., l’assunto della ricorrente secondo il quale, quando la presenza di elementi compatibili sia col rapporto di RAGIONE_SOCIALE autonomo, sia con quello subordinato rende difficile l’apprezzamento dei requisiti propri del secondo, occorre fare necessariamente riferimento alla qualificazione formale attribuita dalle parti al rapporto è, per così dire, privo di oggetto, in relazione alla fattispecie concreta come accertata in sede di merito.
Invero, non risulta assolutamente, né è dedotto attualmente dalla stessa ricorrente, che tra le parti fosse stato
concluso per iscritto o anche oralmente un contratto nel quale le stesse avessero attribuito al loro rapporto un determinato nomen iuris , in un qualsiasi senso.
Inoltre, a prescindere dalla considerazione che è inesatto l’ulteriore assunto della ricorrente per cui ‘Gli indici rivelatori sussidiari al riconoscimento di un rapporto di RAGIONE_SOCIALE subordinato non si ritengono da soli sufficienti (per prassi giurisprudenziale consolidata) a dimostrare la sussistenza del presunto rapporto invocato dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ (v., ad es., ex multis Cass. n. 13071/2024), la ricorrente fonda la propria censura su una propria lettura di talune ‘deposizioni testimoniali’ ( cfr. pagg. 14-15 del ricorso). Si tratta, quindi, di altra rivisitazione delle risultanze processuali, contrapposta a ll’accertamento fattuale operato dalla Corte di merito, che, peraltro, come già riferito in narrativa, aveva constatato più che meri indici sintomatici della subordinazione, nell’evidenziare che la COGNOME .
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 29.4.2025.