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Lavoro subordinato: quando il tirocinio non basta

Un’azienda è stata sanzionata per aver impiegato una lavoratrice senza regolare comunicazione, sostenendo si trattasse di un tirocinio. La Corte di Cassazione ha confermato la sanzione, ritenendo che la mancanza di documentazione formale e la presenza di indizi concreti (orari fissi, direttive) provassero l’esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro subordinato: quando un tirocinio è in realtà un impiego mascherato

La distinzione tra un tirocinio formativo e un vero e proprio lavoro subordinato è una questione cruciale nel diritto del lavoro, con importanti conseguenze per aziende e lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: non conta il nome dato al rapporto, ma la sua sostanza. Se gli elementi di fatto dimostrano la subordinazione, il rapporto va qualificato come tale, anche se l’azienda lo definisce un ‘tirocinio’.

I Fatti del Caso

Tutto ha origine da un’ordinanza-ingiunzione emessa dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro nei confronti di un laboratorio di analisi. L’accusa era di aver impiegato una neo-laureata per 38 giorni senza la preventiva comunicazione obbligatoria, sanzionando l’azienda per oltre 11.000 euro.

Il laboratorio si è opposto, sostenendo che la giovane non fosse una dipendente, ma stesse svolgendo una sorta di pratica professionale non formalizzata per ‘rendersi conto della realtà del mondo del lavoro’. In primo grado, il Tribunale ha dato ragione all’azienda, annullando la sanzione e ritenendo che l’Ispettorato non avesse fornito prove sufficienti dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione. I giudici di secondo grado hanno accolto il ricorso dell’Ispettorato, sottolineando che l’ipotesi del tirocinio era del tutto priva di fondamento, in quanto mancava qualsiasi documentazione obbligatoria per legge, come la convenzione con un ente promotore. Al contrario, gli elementi raccolti durante l’ispezione provavano l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Prova del lavoro subordinato

L’azienda ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione, che lo ha dichiarato inammissibile, confermando in via definitiva la decisione della Corte d’Appello.

La Suprema Corte ha evidenziato la contraddittorietà e l’infondatezza delle argomentazioni dell’azienda. Il tentativo di difendersi evocando genericamente un ‘tirocinio’ si è scontrato con la totale assenza di prove documentali. La legge sui tirocini formativi (L. 196/1997) prevede infatti requisiti formali stringenti, la cui mancanza rende indifendibile tale tesi.

I giudici hanno chiarito che il ricorso in Cassazione non può servire a riesaminare i fatti già accertati nei gradi di merito. La Corte d’Appello aveva correttamente valutato le prove a disposizione, che dipingevano un quadro inequivocabile di subordinazione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si basano su elementi fattuali concreti che, letti nel loro insieme, dimostrano l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. La lavoratrice:

1. Era stata trovata sul posto di lavoro in camice, intenta a svolgere le sue mansioni al momento dell’accesso degli ispettori.
2. Seguiva un orario di lavoro predeterminato e costante: dal lunedì al venerdì, dalle 8:30 alle 13:00.
3. Era soggetta al potere direttivo altrui: seguiva le direttive dei responsabili del laboratorio e, in particolare, le ‘direttive specifiche’ di una dottoressa indicata come l’effettiva titolare.
4. Possedeva le qualifiche professionali (laurea e abilitazione) specifiche per l’attività svolta nel laboratorio.

Questi indici, secondo la Corte, sono più che sufficienti per provare la subordinazione. Il fatto che l’azienda non avesse prodotto alcun documento a sostegno della tesi del tirocinio ha reso quest’ultima una mera affermazione priva di valore giuridico.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce che nel diritto del lavoro la realtà dei fatti prevale sempre sulla forma. Chiamare un rapporto ‘tirocinio’ o ‘pratica’ non è sufficiente se le modalità concrete di svolgimento della prestazione sono quelle tipiche del lavoro subordinato.

In secondo luogo, evidenzia l’importanza cruciale della documentazione. Un tirocinio, per essere considerato tale, deve essere attivato nel rispetto di precise procedure e formalizzato attraverso convenzioni e progetti formativi. L’assenza di tali documenti espone l’azienda a rischi significativi, poiché in caso di ispezione la presunzione sarà quella di un rapporto di lavoro irregolare.

Infine, la decisione conferma il valore probatorio delle dichiarazioni rese agli ispettori durante l’accertamento. Tali dichiarazioni, se regolarmente verbalizzate, costituiscono una prova importante per ricostruire la natura del rapporto di lavoro e possono essere decisive in un eventuale contenzioso.

È sufficiente definire un rapporto come ‘tirocinio’ per escludere il lavoro subordinato?
No. La Corte ha chiarito che, in assenza della documentazione obbligatoria per legge (come la convenzione formale), l’ipotesi del tirocinio è infondata. Ciò che conta sono gli elementi di fatto che dimostrano la subordinazione, come orari fissi e sottoposizione a direttive.

Quali elementi concreti possono provare l’esistenza di un lavoro subordinato anche senza un contratto scritto?
La sentenza evidenzia come prove sufficienti la presenza della lavoratrice sul luogo di lavoro con l’abbigliamento aziendale (il camice), il rispetto di un orario fisso e continuativo e il fatto di seguire le ‘direttive specifiche’ dei responsabili, elementi che dimostrano la soggezione al potere direttivo del datore di lavoro.

Le dichiarazioni rese agli ispettori del lavoro hanno valore di prova nel processo?
Sì. La Corte ha basato la sua decisione anche sulle dichiarazioni verbalizzate durante l’accesso ispettivo, sia quelle della lavoratrice sia quelle di altre persone presenti, considerandole elementi probatori validi per dimostrare le reali modalità di svolgimento del rapporto lavorativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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