Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21876 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21876 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16490-2023 proposto da:
DEMONTE NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 360/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/02/2023 R.G.N. 940/2022;
Oggetto
Costituzione rapporto privato
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Velletri, con la pronuncia pubblicata il 19.10.2021, ha dichiarato che COGNOME NOME aveva svolto lavoro subordinato, a tempo indeterminato, part-time (30 ore settimanali) in favore dell’unico centro di imputazione di interessi rappresentato dalla società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, presso cui aveva svolto compiti di call center outbound dal gennaio 2009 al 30 aprile 2016, condannando le società suddette, in solido, al pagamento di euro 45.000,00 a titolo di differenze retributive.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 360/2023, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto che il quadro probatorio generale, risultante sia dalla prova orale che da quella documentale, non deponevano, tenuto conto dell’attività svol ta, in maniera rigorosa nel senso della subordinazione; ha poi, condannato la COGNOME, avendo rigettato la sua originaria domanda, alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della pronuncia del Tribunale.
Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a due motivi, cui hanno resistito con un unico controricorso le tre società intimate.
La ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con i due motivi, illustrati unitariamente, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il decidere, nonché lo stravolgimento delle risultanze istruttorie ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per avere, da un lato, la Corte di appello erroneamente
ritenuto insussistente un rapporto di lavoro subordinato tra le parti e, dall’altro, per avere omesso di valutare correttamente le prove orali dei testi escussi che avevano dettagliatamente riferito fatti e circostanze dimostrativi appunto di un rapporto di natura subordinata.
Il ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità.
In primo luogo, va ribadito che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940/2017, Cass. 22598/2018): nel caso de quo l’iter logico giuridico seguito nella gravata pronuncia è chiaro e spiega le ragioni poste a base della decisione.
In secondo luogo, deve precisarsi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, vizio di omesso esame di un fatto decisivo se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 19881/2014).
In terzo luogo, va evidenziato che le doglianze articolate ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si risolvono quanto all’accertamento sulla insussistenza della natura subordinata del rapporto di lavoro oggetto di causa- unicamente in una sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e in una contestazione della valutazione
probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento di fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (per tutte Cass. 331 del 2020).
In quarto ed ultimo luogo, deve rilevarsi l’inammissibilità della questione, prospettata dalla lavoratrice, relativa all’omessa applicazione, da parte dei giudici di seconde cure, dell’art. 69 D.lgs. n. 276/2003, ai contratti di collaborazione stipulati inter partes per l’asserita omessa indicazione di specifici progetti, programmi di lavoro o fasi di essi con conseguente conversione in rapporto di lavoro subordinato- trattandosi di questione nuova, di cui la Corte di appello non ne ha parlato e in relazione alla quale parte ricorrente non ha specificato il ‘dove’, il ‘come’ ed il ‘quando’ l’abbia sottoposta, nei termini di cui al presente ricorso, ai giudici del merito nei precedenti gradi.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo per le tre società che hanno presentato un unico controricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi, in favore delle controricorrenti, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 maggio 2024