Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23663 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23663 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16899-2024 proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 887/2023 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 28/11/2023 R.G.N. 658/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Messina, in riforma della pronuncia emessa dal giudice di prime cure, ha accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME per l’accertamento della sussistenza di un rapporto di
R.G.N. 16899/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2025
cc
lavoro subordinato per il periodo novembre 2012 -novembre 2013, con mansioni di manovale ed orario di lavoro ordinario.
La Corte territoriale ha ritenuto che il quadro probatorio acquisito, anche in considerazione della natura elementare e meramente esecutiva dei compiti svolti, dimostrava la natura subordinata dell’attività prestata.
Per la cassazione di tale sentenza il datore di lavoro ha proposto ricorso affidato a un motivo, illustrato da memoria, e il lavoratore resiste con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed unico motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 654 c.p.p. e 2 della legge n. 266 del 1991 avendo, la Corte territoriale, ritenuto positivamente apprezzabili le deposizioni di alcuni testimoni per il solo fatto che gli stessi sono stati dipendenti dell’COGNOME nonché considerato le risultanze del procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro con riguardo alla posizione di NOME COGNOME. L’apprezza mento delle deposizione dei testimoni non è condivisibile e la sentenza penale non ha efficacia di giudicato civile; inoltre, i giudici del merito non hanno adeguatamente valutato gli elementi oggettivi emersi nel corso del giudizio, con particolare riferimento al versamento di somme di denaro certamente non superiori a meri rimborsi spese.
Il ricorso è inammissibile.
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860/2014).
Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha attribuito efficacia di giudicato civile alla sentenza penale emessa nei confronti di altra persona, sentita come testimone nel presente procedimento, bensì ha, più semplicemente, fatto una valutazione di parte della documentazione ivi acquisita ai fini della attendibilità del testimone; ha, poi, accertato la sussistenza dell’elemento della subordinazione sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, elementi valutati complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 14434/2015, n. 11959/2023).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’udienza del 10 luglio 2025.
Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME