Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13831 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13831 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4632-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2720/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/07/2018 R.G.N. 3793/2014;
R.G.N. 4632/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda di NOME COGNOME – medico chirurgo con incarico di medico assistente per l’emodialisi – di accertamento, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, per il periodo marzo 2005 – settembre 2012 e di condanna al pagamento di differenze retributive;
la Corte territoriale, richiamata, sinteticamente, la giurisprudenza elaborata in materia di elementi distintivi tra rapporto di lavoro subordinato e autonomo nell’ambito delle prestazioni di lavoro intellettuali e, in particolare, della professione medica, ha rilevato che gli elementi istruttori raccolti consentivano di ricondurre il rapporto talvolta al modello autonomo talvolta allo schema di subordinazione, ma ‘l’esame complessivo ed il soppesamento di tutti gli elementi induce a ritenere prevalenti i primi’, emergendo ‘pacificamente che la COGNOME ha conservato, per tutta la durata del rapporto, la facoltà di scegliere se e quando fornire la propria attività, pur nell’esigenza di raccordarsi con le modalità del servizio reso da RAGIONE_SOCIALE a terzi’ ; né può dirsi che la dottoressa sia stata stabilmente inserita nell’organizzazione aziendale; con riguardo alla domanda di adeguamento dei compensi, la Corte territoriale ha confermato la decisione del giudice di prime cure in relazione alla inapplicabilità degli artt. 63 della legge n. 276 del 2003 e 272 della legge n. 296 del 2006 (dettati per la diversa fattispecie del contratto a progetto) nonché dell’art. 36 Cost.
(essendo la disposizione riservata ai soli lavoratori subordinati), vigendo, per i lavoratori autonomi, l’art. 2225 cod.civ. che non consente l’intervento del giudice se come nel caso di specie -il compenso è stato stabilito tra le parti; 3. per la cassazione della sentenza propone ricorso il medico con tre motivi, illustrati da memoria; il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo ed il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 2094 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato di valutare i profili della indispensabilità della prestazione ai fini del regolare funzionamento della struttura nonché del ruolo e valore che essa rivestiva nel rapporto con i terzi utenti; invero, l’apporto del medico assistente alla dialisi non può che essere ritenuto necessario e imprescindibile per il funzionamento della struttura; la Corte territoriale ha fatto ricorso al solito ‘trucchetto’ (ipocrita) sul quale la sanità privata ha fondato i suoi profitti e lo sfruttamento dei medici, essendo sufficiente dire che ‘possono’ declinare la partecipazione al turno di lavoro per dichiararli lavoratori autonomi; in realtà, l’organico dei medici ‘collaboratori’ addetti alla struttura era quanto mai ridotto; d’altra parte, la possibilità di rifiutare singole prestazioni è, ormai, entrata nello schema del contratto di lavoro subordinato, con riguardo al lavoro intermittente o a chiamata;
con il terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 36 Cost., 63, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, 1, comma 292, del d.lgs. n. 296 del 2006 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), avendo, la Corte territoriale, trascurato che l’art. 36 Cost. si applica a tutti i rapporti a valenza e significato esistenziale, come può essere (non la singola prestazione di un professionista bensì) l’attività complessiva, continuativa, del professionista: con l’a uspicio, dunque, che venga modificato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità;
i primi due motivi di ricorso, che per stretta connessione possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili;
la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. n. 16681 del 2007; Cass. n. 14160 del 2014);
invero, per costante giurisprudenza di questa Corte la violazione dell’art. 2094 cod.civ. è denunziabile in questa sede di legittimità soltanto ove il giudice del merito abbia assunto a fondamento della decisione criteri di qualificazione del rapporto di lavoro subordinato non corretti; per contro il giudizio espresso sulla ricorrenza o meno nel caso concreto di detti indici, all’esito della valutazione delle istanze istruttorie, costituisce accertamento di fatto, sindacabile in questa sede
di legittimità nei limiti di deducibilità del vizio di motivazione ( ex plurimis : Cass. n. 163 del 2020; Cass. n. 4884 del 2018; Cass., n. 17009 del 2017; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 13448 del 2003; Cass. n. 8254 del 2002; Cass. n. 14664 del 2001; Cass. n. 5960 del 1999);
la Corte territoriale ha analiticamente valutato le modalità concrete di prestazione dell’attività lavorativa del medico, alla luce di tutte le prove (di fonte documentale e testimoniale) acquisite, applicando, correttamente, i principi elaborati da questa Corte con riguardo alla qualificazione del rapporto di lavoro intellettuale e, in specie, degli esercenti la professione medica;
il terzo motivo di ricorso non è fondato;
la Corte territoriale, in coerenza con il modello contrattuale accertato, ha correttamente rilevato che le parti, in ossequio alla disciplina dettata in materia di lavoro autonomo (art. 2225 cod.civ.), hanno concordato il compenso spettante per l’attivi tà disimpegnata, ed ha coerentemente escluso l’applicazione della disciplina prevista per altre e diverse tipologie di contratti non adottate nel caso di specie;
in ordine all’art. 36 Cost., la Corte territoriale si è correttamente uniformata al principio di diritto, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il diritto inderogabile a ricevere compensi proporzionati alla quantità e qualità del lavoro è attribuito dall’art. 36 Cost. ai soli lavoratori subordinati, mentre per tutte le altre prestazioni lavorative un intervento del giudice sulla determinazione del compenso può ammettersi solo se specificamente previsto da disposizioni legislative (vedi, per tutte, Cass. nn. 12620 e 13440 del 2007; Cass. n. 28718 del 2008; Cass. n. 17564 del 2004; Cass. nn. 16059 e 19435 del 2003; Cass. n. n. 13941 del 2000; Cass.,
S.U. n. 3532 del 1990); invero in tema di lavoro autonomo, è previsto, all’art. 2225 c.c., che il giudice possa determinare il corrispettivo in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo, ma ciò nel solo caso che non sia stato convenuto dalle parti e non possa essere stabilito secondo le tariffe professionali o gli usi. Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato -con valutazione insindacabile – che le parti avevano stipulato un contratto di lavoro, qualificato come libero professionale, in data 16.3.2005, nell’ambito del quale risulta che è stato altresì concordato il compenso, del quale, in ogni caso, non si deduce nemmeno l’insufficienza;
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
11. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali oltre euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 aprile