Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11581 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11581 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24377-2021 proposto da:
COGNOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente e legale rappresentante
Oggetto
Subordinazione
R.G.N. 24377/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 26/02/2025
CC
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 206/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 27/07/2021 R.G.N. 79/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME convenne RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Genova affinché accertasse la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, con assegnazione della qualifica di informatore scientifico del farmaco; condannasse la datrice di lavoro al pagamento degli emolumenti retributivi per euro 52.315,20, oltre accessori; dichiarasse l’obbligo della società al versamento dei contributi previdenziali o, nell’impossibilità, la condannasse al risarcimento dei danni ex art. 2116 c.c.; qualificasse la risoluzione unilaterale del rapporto comunicata da RAGIONE_SOCIALE come licenziamento inefficace, con conseguente condanna della società alla reintegrazione e al pagamento degli emolumenti dalla cessazione del rapporto fino alla reintegra oltre che al risarcimento dei danni per illegittimità del recesso;
instaurato il contraddittorio, si costituì la convenuta chiedendo il rigetto del ricorso;
il Giudice adito ordinò l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS che si costituì chiedendo il rigetto della
domanda o, in subordine, che fosse condannato il datore di lavoro al pagamento dei contributi, delle sanzioni e degli interessi dovuti per legge;
il Tribunale, esperita l’istruttoria ed interrogate le parti, rigettò il ricorso, compensando per la metà le spese tra il ricorrente e i contraddittori chiamati in giudizio;
la Corte di Appello di Genova, con la sentenza qui impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado, condannando il soccombente a rifondere le spese del grado sia nei confronti della società che dell’INPS;
in sintesi e per quanto qui rilevi, la Corte, dopo aver disatteso il primo motivo di appello con cui si contestava la condanna del ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dell’INPS, chiamato in causa su ordine del giudice, ha condiviso con il Tribunale le conclusioni secondo cui si è escluso che ‘il rapporto di lavoro oggetto di causa, né da principio, né in corso di svolgimento, abbia presentato le caratteristiche proprie del lavoro subordinato’;
la Corte ha anche confermato l’assunto di prime cure che aveva escluso l’applicabilità dell’art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015 questione esaminata d’ufficio dal primo giudice -sul convincimento che ‘non è stato dedotto e non è risultato suscettibile di prova alcun significativo vincolo relativo al tempo, al luogo o anche ad altri aspetti della prestazione, unilateralmente imposto dalla parte datoriale (e non di fonte legale) ed estraneo alle caratteristiche dell’attività dell’informatore scientifico e all e fisiologiche e minime esigenze di coordinamento proprie delle collaborazioni autonome in tale settore’;
la Corte, infine, ha respinto anche l’ultimo motivo di gravame concernente il preteso licenziamento, una volta esclusa la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con quattro motivi; ha resistito con controricorso l’intimat a società mentre l’INPS ha depositato solo una procura ai difensori;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito;
1.1. il primo denuncia la violazione degli artt. 102 e 91 c.p.c. sostenendo che nella specie, sulla base delle domande formulate nell’atto introduttivo, non era ravvisabile alcun litisconsorzio necessario rispetto all’INPS, per cui risulterebbe illegittima la condanna alle spese legali in favore dell’Istituto; il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2094 c.c., criticando diffusamente la sentenza impugnata per avere escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra
1.2. le parti;
1.3. il terzo motivo denuncia, ancora ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione dell’art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015, in relazione all’art. 113 c.p.c., assumendo che ‘nei dati processuali erano del tutto rinvenibili i presupposti integranti la pr evisione normativa dell’art. 2 comma 1 d. lgs. n. 81 del 2015’;
1.4. il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 6 l. n. 604 del 1966 e all’art. 18 l. n. 300 del 1970, nella parte in cui la
sentenza gravata ha confermato anche il rigetto dell’impugnativa di licenziamento; si insiste sulla ‘inconfigurabilità della eccezione di decadenza sollevata dalla controparte ove ha ritenuto non applicabile la sospensione dei termini attuata dalla legislazione emergenziale Covid al termine dei 60 giorni per la impugnazione stragiudiziale’;
2. il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è infondato, anche a prescindere dalla questione della sussistenza o meno di un litisconsorzio necessario con l’INPS, comunque chiamato in giudizio;
è principio affermato da questa Corte – con cui parte ricorrente neanche si confronta – che colui il quale attivamente o passivamente si espone all’esito del processo, oltre a conseguire i vantaggi, deve anche sopportare le eventuali conseguenze sfavorevoli che, in ordine alle spese, sono stabilite a suo carico in base al principio della soccombenza e ciò anche se si tratti di spese non rigorosamente conseguenziali e strettamente dipendenti dall’attività della parte rimasta soccombente ma derivante dagli eventuali errori in cui può incorrere il giudice nei vari gradi o nelle diverse fasi del processo, come nel caso di quelle che vengono sopportate da coloro che sono chiamati a partecipare al giudizio quali terzi evocati per ordine del giudice, ancorché rivelatosi successivamente ingiustificato: solo in tal modo, infatti, rimane efficacemente salvaguardato il fondamentale diritto di difesa delle parti che vengono, anche se ingiustamente, chiamate in giudizio (v. Cass. n. 9049 del 2006; Cass. n. 4386 del 2007; Cass. n. 8886 del 2013);
2.2. il secondo motivo di gravame deve essere respinto; esso si fonda, nella sostanza, sulla tesi errata che l’attività dell’informatore scientifico, laddove non rientri nel rapporto di
agenzia o in quella di procacciatore di affari, debba necessariamente ascriversi tra le attività di lavoro subordinato; al contrario, secondo plurime decisioni di questa Corte, siffatta tipologia di rapporti, come ogni attività umana, può svolgersi sia nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo che in quello del rapporto di lavoro subordinato (v. Cass. n. 9676 del 1992; Cass. n. 10158 del 2021; Cass. n. 26891 del 2024);
ne consegue che l’indagine che il giudice deve compiere è quella consueta rispetto all’art. 2094 c.c., così come svolta nella specie dai giudici del merito con esiti conformi, mentre la critica contenuta nel motivo di ricorso esorbita dai limiti che incontra il sindacato di legittimità in tali ipotesi;
invero, secondo indirizzi consolidati, la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. n. 13202 del 2019; Cass. n. 5436 del 2019; Cass. n. 332 del 2018; Cass. n. 17533 del 2017; Cass. n. 14434 del 2015; Cass. n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 26896 del 2009);
l’accertamento in ordine alla ricostruzione dei fatti, principali e secondari, che concretano gli indici sintomatici della subordinazione e del come si siano verificati nella vicenda storica che dà origine alla controversia compete ai giudici di merito, così come a costoro spetta anche la valutazione di detti fatti, al fine di esprimere un giudizio complessivo dei medesimi che sintetizzi le ragioni per cui da essi si sia tratto il convincimento circa la sussistenza o meno della subordinazione medesima; trattandosi di giudizi di fatto questa Corte può
sottoporli a sindacato nei limiti consentiti da una prospettazione del vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente (cfr. Cass. n. 33820 del 2021);
tuttavia chi ricorre per cassazione non può limitarsi ad opporre un diverso convincimento, criticando la sentenza impugnata per aver dato credito a talune circostanze, che si assumono prive di valore significativo, piuttosto che ad altre, ritenute al contrario più rilevanti, con ciò assumendo erroneamente di avere individuato vizi idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata; come noto, infatti, al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, essendo del tutto estranea allo scrutinio di legittimità la funzione di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie; in particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (per tutte, sui limiti del sindacato di legittimità in tema di subordinazione, v. Cass. n. 11015 del 2016; successive conformi: v. Cass. n. 9157 del 2017; Cass. n. 9401 del 2017; Cass. n. 25383 del 2017; più di recente: Cass. n. 32385 del 2019; Cass. n. 2526 del 2020; Cass. n. 14376 del 2020; Cass. n. 4037 del 2021);
2.3. il terzo motivo è inammissibile;
la sentenza impugnata ha confermato integralmente la pronuncia di prime cure che aveva escluso l’applicabilità al caso
concreto dell’art. 2 d. lgs. n. 81 del 2015 non rinvenendo ‘elementi di etero -organizzazione nella fase funzionale di esecuzione del rapporto’; in particolare, secondo i giudici del merito ‘non è risultato suscettibile di prova alcun significativo vincolo relativo al tempo, al luogo o anche ad altri aspetti della prestazione, unilateralmente imposto dalla parte datoriale’; col motivo in esame, ci si dilunga nell’affrontare la questione dei rapporti tra domanda ex art. 2094 c.c. e domanda ex art. 2 d. lgs. n. 91 del 2015 -quest’ultima comunque esaminata nel merito dai giudici del doppio grado -ma poi, quanto all’applicabilità al caso di quest’ultima previsione normativa, ci si limita ad affermare apoditticamente che ‘nei dati processuali erano del tutto rinvenibili i presupposti integranti la previsione normativa dell’art. 2 comma 1 d. lgs. n. 81 del 2015’, senza confutare a deguatamente l’apprezzamento di merito compiuto dai giudici ai quali compete;
2.4. parimenti inammissibile il quarto motivo, atteso che non si confronta con la ragione della decisione espressa dalla Corte territoriale sul punto;
una volta esclusa sia la subordinazione che l’etero -organizzazione, i giudici hanno coerentemente respinto le pretese derivanti dalla pretesa illegittimità di un licenziamento, nella specie evidentemente non configurabile; chi ricorre non confuta tale motivazione ma ripropone la questione della decadenza ex art. 6 l. n. 604 del 1966 su cui la Corte neanche si è pronunciata in quanto assorbita;
3. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore della controricorrente società, mentre l’INPS non ha svolto attività difensiva;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 26 febbraio