Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8085 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8085 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10556-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE AZIENDA SANITARIA REGIONALE DEL MOLISE, in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente principale -controricorrente incidentale contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 264/2019 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 23/01/2020 R.G.N. 271/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
R.G.N. 10556/2020
COGNOME
Rep.
Ud.18/12/2024
CC
La Corte di appello di Campobasso accoglieva l’appello principale proposto da NOME COGNOME e, ritenuta la natura subordinata del rapporto formalmente qualificato di collaborazione coordinata e continuativa (natura subordinata già accertata dal Tribunale che però aveva escluso la conversione del ra pporto e anche l’applicazione dell’art. 2126 c.c.), condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive, quantificate nei termini richiesti dall’appellante e d inferiori a quelle accertate dal consulente tecnico d’ufficio. La C orte distrettuale, pur dando atto della formalizzazione di contratti stipulati ex art. 7 d.lgs. n. 165/2001, quanto a questi ultimi osservava che la prima evidente anomalia andava ravvisata nella circostanza che il rapporto si era protratto per oltre 5 anni, senza soluzione di continuità e, quindi, facevano difetto la occasionalità e la temporaneità caratterizzanti la tipologia contrattuale utilizzata. Inoltre, i provvedimenti con i quali erano state prorogate le attività asseritamente progettuali non contenevano alcuna specifica indicazione del progetto non ancora realizzato. Dall’esame della documentazione in atti formata dai dirigenti della azienda emergeva che l’appellante principale era stato utilizzato per fornire quotidiano supporto a tutte le attività della unità operativa di assegnazione e che il Gentile aveva operato secondo le direttive del responsabile dell’ufficio , essendo, altresì, tenuto al rispetto dell’orario di lavoro, tanto che gli era stata chiesta documentazione giustificativa delle assenze. Conclusivamente, la corte territoriale riteneva instaurato di fatto un rapporto di lavoro subordinato e, applicato l’art. 2126 c.c. , riconosceva all’appellante principale le differenze retributive , calcolate applicando la contrattazione di settore e assumendo a parametro la retribuzione fissata per il profilo di collaboratore amministrativo di categoria D.
Proponeva ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidato a tre motivi, cui resisteva con controricorso NOME COGNOME che proponeva, altresì, ricorso incidentale.
Entrambe le parti depositavano memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 36 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 2222 cod. civ., dell’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000 .
La Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere che fra le parti fosse intercorso un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, perché i provvedimenti del
Direttore Generale erano stati adottati nel rispetto delle norme di legge richiamate in rubrica, che consentono alle amministrazioni pubbliche di ricorrere a prestazioni di carattere autonomo per il raggiungimento di specifici obiettivi.
Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 2126 e 2697 cod. civ..
A parere della ricorrente dall’eventuale illegittimità delle proroghe non deriv erebbe in via automatica la nullità del contratto; inoltre, la pronuncia impugnata sarebbe erronea non avendo il ricorrente assolto all’onere della prova sullo stesso gravante con riferimento alla natura subordinata del rapporto.
Con il terzo ed ultimo motivo denuncia «omesso esame e valutazione in ordine alla circostanza determinante dell’insussistenza degli indici di subordinazione così come risultante dalle stesse dichiarazioni della resistente» ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.. ; si sostiene che l’inserimento nell’organizzazione aziendale, valorizzato dalla Corte territoriale, non è di per sé incompatibile con il rapporto di natura autonoma.
Le censure possono essere trattate congiuntamente stante la loro intima connessione.
Va al riguardo premesso che il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Orbene, le censure contenute nel ricorso principale non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla valutazione compiuta circa la natura subordinata dal rapporto di lavoro laddove la corte distrettuale ha valorizzato a tal fine: a) la protrazione dell’attività per oltre cinque anni; b) lo svolgimento di prestazioni riferibili all’attività ordinaria del servizio di assegnazione , nonché le ammissioni dell’Azienda fatte in merito alla necessità di prorogare i contratti anche in ragione della «cronica carenza di personale cui soffre la struttura»; c) la sottoposizione alle direttive ed indicazioni del responsabile dell’Ufficio ed il controllo datoriale sull’attività svolta;
Ciò posto, i motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. nella misura in cui la sentenza impugnata ha deciso questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte.
Ed invero, la Corte territoriale non si è discostata dai principi di diritto che devono guidare il giudice del merito nell’accertamento dell’instaurazione di fatto del rapporto di impiego, principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, la quale da tempo ha affermato che «ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico, non rilevando in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, né che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni» ( Cass. n. 10551/2003; negli stessi fra le tante Cass. n. 17101/2017 e la giurisprudenza ivi richiamata); si è aggiunto che anche in relazione ai contratti che intercorrono con le pubbliche amministrazioni, formalmente qualificati di collaborazione coordinata e continuativa, la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità ( ex plurimis Cass. n. 18/2019 e Cass. n. 28459/2018);
A detti principi di diritto si è correttamente attenuta la Corte territoriale la quale, oltre a valorizzare l’assenza dei presupposti richiesti dall’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 per il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa e la protrazione d ell’attività per più anni, è pervenuta ad affermare la natura subordinata del rapporto dopo avere esaminato le modalità di svolgimento dello stesso, desunte dalle risultanze di causa.
Il primo motivo di ricorso, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme di legge, nella sostanza censura il giudizio di merito compiutamente espresso dalla Corte territoriale e ciò fa, si ripete, senza confrontarsi pienamente con la motivazione della sentenza impugnata e ponendo alla base della censura documenti rispetto ai quali non risulta assolto l’onere imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.; l’accertamento della
ricorrenza degli indici dai quali può essere desunta l’instaurazione di fatto di un rapporto di impiego è riservato al giudice del merito e non è sindacabile in questa sede né vi è spazio per il vizio, denunciato nel terzo motivo, di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., vizio ravvisabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, e denunciabile solo nelle forme e nei casi indicati da Cass. S.U. n. 8053/2014, che ha precisato come l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
La censura contenuta nel secondo motivo, inoltre, oltre a svolgere considerazioni manifestamente infondate sull’assenza di una norma imperativa violata dall’Azienda (hanno, infatti, carattere imperativo e determinano la nullità del contratto o del rapporto gli artt. 7 e 35 del d.lgs. n. 165/2001), torna nuovamente a contestare la valutazione delle risultanze istruttorie che si legge nella sentenza impugnata e sollecita un giudizio di merito non consentito alla Corte di legittimità.
Al riguardo, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui il rapporto di lavoro subordinato instaurato da un ente pubblico non economico, affetto da nullità perché non assistito da regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra nella sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione (Cass. nn. 9592, 9591, 7491, 7335 del 2018).
In conclusione, il ricorso principale è inammissibile.
Viceversa, va dichiarata l’inefficacia del ricorso incidentale in quanto tardivo ai sensi dell’art. 334, comma 2, c.p.c..
Nel caso di specie, risulta dagli atti che la sentenza è stata notificata il 6 febbraio 2020 e da quella data decorreva per entrambe le parti il termine breve di impugnazione che, tenuto conto della sospensione COVID, è spirato il 10 giugno 2020. Il controricorso è stato notificato il 18 giugno 2020, nel rispetto del termine di 40 giorni dalla notifica del ricorso
principale, ma quando ormai era spirato il termine di cui all’art. 325, secondo comma, c.p.c..
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente principale, perché la soccombenza deve essere riferita solo a quest’ultima . Infatti nel dichiarare la perdita di efficacia, la Corte di Cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e, dunque, l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum porta a ritenere che l’instaurazione del giudizio sia da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. n. 15220/2018).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente principale. Le richiamate condizioni non sono ravvisabili, invece, per le ragioni dette, nei confronti del ricorrente incidentale, non essendo ad esse riconducibile la dichiarata perdita di efficacia (v. Cass. n. 32209/2021).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale.
Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che liquida in € 5.0 00,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 18 dicembre 2024.