Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26841 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26841 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13519-2020 proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, titolare dell’omonima impresa individuale, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. 13519/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/09/2024
CC
avverso la sentenza n. 1565/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/10/2019 R.G.N. 259/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
con sentenza 3 ottobre 2019, la Corte d’appello di Milano ha rigettato le domande del lavoratore indicato in epigrafe di accertamento del rapporto di lavoro alle dipendenze di NOME COGNOME e di sua condanna alla riammissione al lavoro, nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dal mese di agosto 20 13 fino all’effettiva riammissione: così riformando la sentenza di primo grado, che le aveva parzialmente accolte;
a differenza del Tribunale, in esito a critico scrutinio delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale ha escluso, in assenza di dimostrazione dell’esercizio dei poteri propri datoriali né degli indici sintomatici accessori, la prova dei requisiti della subordinazione del lavoratore, saltuariamente utilizzato, come altri suoi colleghi dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, dalla socia NOME COGNOME per il disbrigo di alcuni lavori nel suo maneggio;
con atto notificato il 21 maggio 2020, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, cui ha resistito la predetta con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
1. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 2094, 2103, 2104 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la continuità delle prestazioni elemento necessario per la natura subordinata della prestazione lavorativa, escludendo l’esercizio del potere direttivo datoriale nonostante lo svariato contenuto delle prestazioni, che ne costituisce anzi principale elemento rivelatore, per la messa a disposizione generica, da parte del prestatore, delle proprie energie lavorative: evidentemente correlata all’esercizio datoriale dello jus variandi e del potere di conformazione delle mansioni (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, quale la seconda parte della denuncia querela sporta ai Carabinieri da NOME COGNOME, in relazione alla prestazione del predetto (ancorché saltuaria) ‘durante l’orario di lavoro; solo che invece di stare in azienda veniva in stalla’ , decisiva ad invalidare il convincimento della Corte territoriale di pretesa gratuità e non obbligatorietà del rapporto tra le parti (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per la mancata prova di gratuità della prestazione, pure a fronte della dichiarazione lato sensu confessoria resa da NOME COGNOME nella denuncia querela sporta, tratta dalla natura saltuaria e variabile delle attività, idonea a vincere la presunzione di onerosità di ogni prestazione lavorativa (terzo motivo); violazione e falsa applicazione dell’ar t. 30 d.lgs. 276/2003 e motivazione apparente, per avere la Corte territoriale tratto argomento per negare il proprio rapporto di subordinazione dalla circostanza del ‘la presenza di numerosi altri dipendenti -anche di RAGIONE_SOCIALE -impiegati in diverse prestazioni presso il maneggio, in una situazione di generalizzata commistione fra la gestione delle due aziende’ , in
contrasto con la tesi difensiva della resistente di completa assenza di compenso delle saltuarie prestazioni lavorative ivi del ricorrente e in violazione della disciplina del distacco, legittimante il lavoratore, in assenza di un interesse meritevole di t utela dell’impresa distaccante (RAGIONE_SOCIALE), a richiedere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del soggetto che ne abbia utilizzato la prestazione (quarto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62, 115, 116, 191 e 194 c.p.c., quale error in procedendo , per avere la Corte territoriale negato che la C.t.u., qualora sia strumento (oltre che di valutazione tecnica, anche) di accertamento di situazioni di fatto rilevabili con il ricorso a determinate cognizioni tecniche, possa costituire fonte oggettiva di prova, con nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 116 e 420 c.p.c. e motivazione carente, illogica e contraddittoria (quinto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in riferimento alla illogica svalutazione della C.t.u., di accertamento della riconducibilità al ricorrente di buona parte delle opere dal medesimo enumerate nel ricorso introduttivo e della loro non riferibilità alle fatture prodotte da controparte, senza adeguatamente giustificare perché ne abbia disatteso le risultanze, né considerare la non pertinenza delle predette fatture, con apprezzamento parziale e parcellizzato delle prove, non assumendone l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi, secondo un corretto ragionamento presuntivo, ignorando i gravi, precisi e concordanti elementi indiziari acquisiti (sesto motivo);
essi congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
giova premettere in linea di diritto che:
a ) l’ accertamento del rapporto di lavoro subordinato si basa essenzialmente sul fondamentale vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate dal giudice del merito (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728; Cass. 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. 31 maggio 2017, n. 13816; Cass. 29 maggio 2018, n. 13478). Esso è pure ricostruibile in via presuntiva sulla base di criteri complementari e sussidiari, sia pure privi ciascuno di valore decisivo, quali: la collaborazione o la continuità delle prestazioni o l’osservanza di un orario predeterminato o il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita o il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo datoriale o l’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale (Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 17 aprile 2009, n. 9256; Cass. 19 novembre 2018, n. 29764); ed è desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate dal giudice del merito (Cass. 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. 31 maggio 2017, n. 13816), alla stregua di accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 luglio 2015, n. 14434);
b ) ferma l’indubbia possibilità di assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio ed alle correlate indagini peritali funzione ‘percipiente’ ossia di costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, restando pur sempre necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento dei diritti vantati (Cass. 26 novembre 2007, n. 24620), quando essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Cass. 22 gennaio 2015, n. 1190; Cass. 3 luglio 2020, n. 13736, in
riferimento al risarcimento del danno) -nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALEuRAGIONE_SOCIALE non ha avuto una tale natura, essendo stata disposta per la verifica di compatibilità delle opere eseguite dal ricorrente nel maneggio con le fatture di lavori prodotte dalla controparte, di possibilità di loro realizzazione da uno o due manovali senza ausilio di mezzi meccanici e delle relative ore di lavoro necessarie (come da quesito riportato all’ultimo capoverso di pg. 33 del ricorso): e quindi natura di lettura critica di prove documentali;
c ) in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’ (essendo il suo ragionamento, qualora sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti che non siano invece rispondenti a quei requisiti, censurabile in base all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., e non già alla stregua del n. 5, competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere stata applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta: Cass. 16 novembre 2018, n. 29635; Cass. 30 giugno 2021, n. 18611) e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, per scartare quelli irrilevanti e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, per verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi; con la conseguenza che la denuncia in cassazione di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., si configura quando il giudice di merito affermi che il
ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza, a fini inferenziali dal fatto noto della conseguenza ignota; ma non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. 21 marzo 2022, n. 9054);
c’ ) inoltre, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ ‘id quod plerumque accidit’ , i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass. 25 settembre 2023, n. 27266). E ciò perché la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratti di presunzioni, costituisce attività riservata in via esclusiva ad esso, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento, che il giudice si sia formato a norma dell’art. 116, primo e secondo comma c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, ad essa contrapponendo una diversa interpretazione per la revisione dal giudice di legittimità degli
accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass.19 luglio 2021, n. 20553);
d ) non è configurabile alcuna violazione delle norme di legge denunciate, in assenza di errori di diritto, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851); il ricorrente si duole piuttosto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui non ricorrenti;
e ) infine, sussiste omesso esame, ai sensi del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in riferimento ad ‘un fatto’ (ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti) ‘decisivo’ (vale a dire che, se esaminato, avrebbe ex se solo determinato un esito diverso della controversia: Cass.29 ottobre 2018, n. 27415) ‘per il giudizio’ (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26 gennaio 2022, n. 2268); non quando, sotto l’apparente deduzione di omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio (come pure del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, ovvero di mancanza assoluta di motivazione) si miri in realtà ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);
4. nel caso di specie, la Corte territoriale, in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie (dal quart’ultimo capoverso di pg. 5 al terzo di pg. 7 della sentenza), ha escluso la prova della sussistenza tra le parti di un rapporto di subordinazione, in difetto non soltanto di prestazioni continuative, bensì anche di stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e pure di indici sussidiari quale, in particolare, la soggezione ad un orario fisso e prestabilito (dal quarto capoverso di pg. 7 al terzo di pg. 8 della sentenza).
Né la stessa Corte è incorsa nell’errore di diritto infondatamente denunciato, confermando la correttezza del rilievo della parte appellante che la C.t.u. ‘non possa costituire un mezzo di prova, trattandosi di strumento finalizzato al compimento di valutazioni specialistiche in ordine ad elementi probatori già acquisiti agli atti di causa’ (al quinto capoverso di pg. 4 della sentenza): con affermazione (non già di carattere assoluto, ma) chiaramente aderente all’istruttoria svolta e pertanto esatta, per le ragioni illustrate al superiore p.to 3, lett. b ). Essa ne ha quindi comparato le conclusioni con gli altri dati acquisiti sul punto (dal quart’ultimo capoverso di pg. 4 al terzo di pg. 5 della sentenza) e pertanto compiuto una valutazione globale degli elementi di prova acquisiti, non segmentabile nella critica parcellizzata di ognuno condotta dal ricorrente mediante i singoli motivi, senza collocarli nel complessivo quadro probatorio;
4.1. si comprende allora come le censure si risolvano in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in
modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
5. il ricorso deve essere dichiarato pertanto inammissibile, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (in conformità alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2024
Il Presidente (AVV_NOTAIO NOME COGNOME)