Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14394 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14394 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20920/2019 proposto da:
NOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio del l’ avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 479/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE depositata il 30/05/2019 R.G.N. 684/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale di Arezzo, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento di un rapporto d i lavoro per il periodo novembre 2012 -gennaio 2014.
La Corte territoriale ha ritenuto che il quadro probatorio raccolto (accordo commerciale del giugno 2014 e deposizioni testimoniali) escludesse il carattere subordinato del rapporto di lavoro svolto tra le parti: la prestazione lavorativa doveva, invece, ricondursi agli accordi commerciali intervenuti tra le parti (nonché con un terzo soggetto, NOME COGNOME) per lo svolgimento di attività nel settore del noleggio di motoveicoli e veicoli, al fine di garantire alla rispettiva clientela la più ampia scelta di mezzi da noleggiare; nessun elemento era stato acquisito in ordine all’esercizio di un potere direttivo della società né risultavano essere state impartite specifiche istruzioni e direttive al lavoratore.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2247, 2253, 2263, 2265, 2291, 2293 nonché omessa valutazione sulla concreta ricorrenza dei presupposti giuridici della società di fatto costituita dalle parti in causa e dal COGNOME, i cui elementi costitutivi non sono stati provati dalla società.
Con il secondo ed il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 246 cod.proc.civ. avendo, la Corte territoriale, ammesso la deposizione testimoniale del COGNOME che, in quanto socio della società di fatto, era incapace a deporre; la valutazione della incapacità del teste può essere formulata solamente alla luce della pronuncia del giudice di appello che ha fondato il rigetto della domanda sulla base della costituzione di una società di fatto. In ogni caso, il teste doveva ritenersi inattendibile avendo, lo stesso, interesse (al pari della società) al rigetto della domanda del lavoratore in quanto (in qualità di socio di fatto della società) avrebbe dovuto rispondere illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali della società stessa.
Con il quarto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, la violazione dell’art. 183, comma 7, cod.proc.civ. avendo, il Tribunale prima e la Corte di appello poi, dimezzato i capitoli di prova e limitato il numero di testi da escutere
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente congiunti, sono inammissibili.
La sentenza impugnata ha respinto la domanda proposta dal lavoratore che aveva ad oggetto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti (e non la costituzione di una società di fatto fra le parti stesse) conformandosi, correttamente, ai principi di diritto statuiti da questa Corte.
Questa Corte ha, invero, precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato, (cfr. Cass., n. 4500 del 2007).
Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicchè ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a
cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria (cfr. Cass. n. 4500 del 2007; Cass. n. 13935 del 2006; Cass. n. 9623 del 2002; Cass. S.U. n. 379 del 1999).
La Corte territoriale ha correttamente individuato ed analizzato i parametri normativi del lavoro subordinato ed autonomo e gli elementi indiziari, dotati di efficacia probatoria sussidiaria ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, e -con un rigoroso percorso logico-giuridico che ha analizzato lo sviluppo delle vicende, di reciproco interesse commerciale, delle parti al fine della gestione di un’attività di noleggio auto -ha escluso l’esercizio di un potere direttivo nonché ha ritenuto insussistenti tutti gli indici sintomatici della subordinazione; tale valutazione, insindacabile in questa sede di legittimità, è risultata decisiva (e sufficiente) al fine di rigettare la domanda di riconoscimento della sussistenza di un lavoro subordinato.
La sentenza impugnata si è conformata ai principi di diritto sopra enunciati e si sottrae alle censure che vengono mosse con i motivi di ricorso in esame, dovendosi, altresì, rilevare che nessuna parte ha mai introdotto, quale petitum del giudizio, l’accertamento della costituzione di una società di fatto tra le parti, la cui prospettazione integra una nuova questione di diritto, inammissibile, in quanto postula indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito; conseguentemente, nessun profilo di incapacità del teste viene in rilievo nel caso di specie, posto che l’incapacità a deporre prevista dall’art 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, circostanza (in particolare, la sussistenza di una società di fatto) che non è stata mai sottoposta alla valutazione del giudice né accertata.
La valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita
confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attività selettiva si estende all’effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire il convincimento sull’efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova, con la conseguente inammissibilità di una tardiva produzione documentale volta a confutarla, salva soltanto l’eventuale ‘remissione in termini’ (Cass. n. 16467 del 2017).
Questa Corte ha, altresì, affermato che il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (Cass. n. 34189 del 2022); inoltre, la riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, esercitabile anche nel corso dell’espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testimoni ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova, con giudizio che si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivato anche per implicito dal complesso della motivazione (Cass. n. 11810 del 2016): la congruità della motivazione espressamente contenuta nella sentenza di primo grado e la lettura dell’approfondito percorso argomentativo contenuto nella sentenza impugnata rendono chiaramente ragione della superfluità ritenuta dai giudici di merito in ordine ad alcuni capitoli di prova e all’ampia lista di testimoni articolata dal lavoratore.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e il riparto delle spese del presente giudizio di legittimità segue il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 3.500,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 17 aprile 2024.