SENTENZA CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI N. 382 2025 – N. R.G. 00000288 2021 DEPOSITO MINUTA 09 10 2025 PUBBLICAZIONE 09 10 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI
II Sezione Civile
In funzione di giudice del lavoro, composta dai magistrati:
AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME
Consigliera
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa iscritta al n. 288 del RAGIONE_SOCIALE generale degli affari civili contenziosi per l’anno 2021 promossa da:
sia in proprio che quale legale rappresentante della con sede in RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in RAGIONE_SOCIALE presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che li rappresenta e difende, anche disgiuntamente, con l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
APPELLANTI
CONTRO
di RAGIONE_SOCIALE e di Oristano
, con sede in RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso per legge dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in INDIRIZZO è ex lege domiciliato;
APPELLATO
All’esito della udienza collegiale dell’11 giugno 2025, celebrata nelle forme di cui all’art. 127 ter c.p.c., la causa è stata decisa sulle seguenti
CONCLUSIONI
Nell’interesse delle parti appellanti:
l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, in totale riforma della a sentenza appellata, voglia giudicare in accoglimento delle seguenti
CONCLUSIONI
Annullare, per le ragioni di cui alla superiore premessa, le ordinanze1ingiunzione emesse dal di RAGIONE_SOCIALEOristano n. 167 (Prot. n. 24195) e 167-bis (Prot. n. 24198) del 5 maggio 2017, notificate il 9 maggio 2017 ed il 18 maggio 2017, di complessivi euro 12.068,20 e conseguentemente resistente di voler restituire la somma di euro 12.068,20 pagata dagli opponenti con moRAGIONE_SOCIALE NUMERO_DOCUMENTO in data
assolvere gli opponenti da ogni avversa pretesa ordinando al 26.11.24 in forza della provvisoria esecutorietà e con riserva di ripetizione.
In subordine
ridurre in misura pari ai minimi edittali, per le ragioni di cui alla superiore premessa, le sanzioni comminate con le ordinanze per cui è causa ordinando al resistente di voler restituire la differenza rispetto a quanto pagato in eccesso, in forza della provvisoria esecutorietà e con riserva di ripetizione.
In ogni caso
Con vittoria di spese ed onorari.
Nell’interesse dell’appellato
:
Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, disattesa ogni contraria istanza e conclusione, respingere l’avverso appello in quanto inammissibile e/o improponibile e comunque infondato in fatto ed in diritto, confermando integralmente l’impugnata sentenza; per l a denegata e gravanda ipotesi di accoglimento, anche parziale dell’avverso gravame, accogliere comunque le conclusioni assunte dall’Amm.ne nel corso del primo grado di giudizio; in ogni caso con vittoria di spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il 9 giugno 2017 in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ha proposto opposizione avverso le ordinanze dell’ Oristano, n. 167 (prot. n. 24195) e 167 bis (prot. n. 24198) del 5 maggio 2017 con le quali gli è stato ingiunto il
pagamento di complessivi 12.068,20 euro per gli illeciti ivi contestati concernenti la posizione lavorativa di , ed
A sostegno della opposizione, premesso che la all’epoca dei fatti per cui è causa esercitava una attività commerciale nel settore della telefonia presso i due punti vendita di Selargius rispettivamente ubicati in INDIRIZZO e presso il RAGIONE_SOCIALE situato in INDIRIZZO, hanno dedotto che i rapporti di lavoro con le tre predette collaboratrici erano regolati sulla base di altrettanti contratti di associazione in partecipazione.
Più in particolare aveva sottoscritto vari contratti di tal tipo con apporto di puro lavoro, come comprovato dai prospetti paga recanti la erogazione di somme a titolo di acconto sugli utili e la ricevuta di presa visione del bilancio di esercizio per il 2012.
Conseguentemente alcun rapporto di lavoro subordinato ella aveva intrattenuto con la società opponente avendo sempre lavorato come associato in partecipazione presso i due predetti punti vendita di Selargius.
Con riguardo invece al contestato rapporto di lavoro relativo a per il periodo che va dall’1 ottobre 2012 al 15 novembre 2012 gli opponenti hanno escluso che fosse mai esistito tale rapporto subordinato mentre per quanto concerne la posizione di
hanno dato atto che la stessa dopo aver agito in giudizio onde ottenere il riconoscimento del pregresso rapporto di lavoro aveva sottoscritto un verbale di conciliazione recante la rinuncia alle domande inizialmente avanzate dinanzi al Tribunale.
Tanto premesso hanno sostenuto che con la e la erano intercorsi rapporti di mera collaborazione non ascrivibili dunque ad un rapporto di lavoro subordinato.
Infatti difettavano sia l’assoggettamento al potere direttivo dell’asserito datore di lavoro sia la sottoposizione ad un orario di lavoro vincolante mentre, sotto altro profilo, la retribuzione era commisurata al risultato ottenuto.
Con riguardo alla corretta determinazione della entità della sanzione amministrativa di tipo pecuniario comminata relativamente alla posizione di irregolarmente occupata per 1 giorno l’11 aprile 2014 con mansioni di commessa senza previa c omunicazione dell’inizio del rapporto di lavoro al competente Ufficio, hanno contestato la legittimità della sanzione irrogata pari ad euro 3.380,00 essendo prevista una forbice compresa tra un minimo
di euro 1.950,00 ed un massimo di euro 15.600,00 invocando l’applicazione del minimo edittale.
A tal proposito hanno evidenziato che tale illecito sarebbe stato consumato per un unico giorno di lavoro talchè la ridotta offensività della condotta avrebbe dovuto portare alla mitigazione della sanzione al minimo previsto piuttosto che alla più severa sanzione irrogata.
Peraltro, hanno proseguito, tale decisione non risulta nemmeno corredata da una specifica motivazione fatto salvo un generico richiamo all’art. 11 della legge n. 689/1981.
Sulla scorta delle suesposte argomentazioni, previa sospensione della efficacia esecutiva dei predetti titoli, hanno chiesto l’annullamento degli stessi con conseguente esclusione di qualsiasi pretesa creditoria ed in subordine la riduzione delle sanzioni ai minimi edittali per le ragioni esposte in atti.
Si è costituito per il tramite del legale rappresentante l’
(da qui in poi indicato per comodità espositiva come ) onde contestare le avverse ragioni di opposizione, stante la correttezza dell’op erato del personale ispettivo il quale ha debitamente appurato, sulla scorta delle concordi risultanze degli accertamenti svolti nel corso del 2014, rispettivamente: per la la natura fittizia di due contratti di associazione in partecipazione intercorsi tra il novembre 2012 ed il marzo 2014 nonché lo svolgimento di un periodo di lavoro subordinato in totale scopertura assicurativa dal 17 settembre 2012 al 25 novembre 2012, per la del pari un periodo di lavoro subordinato con mansioni di comm essa addetta alle vendite ricompreso tra l’1 ottobre 2012 ed il 15 novembre 2012 senza alcuna formalizzazione del rapporto ed ancora per la lo svolgimento di analoga attività lavorativa in totale scopertura assicurativa per la giornata dell’11 apr ile 2014. Anche con riguardo alla entità delle sanzioni applicate ha sostenuto la legittimità del proprio operato avendo commisurato tali sanzioni, con riferimento in particolare alla posizione della (cfr. punto 9 delle premesse delle ordinanze in contestazione) alle previsioni di legge le quali non prevedono un minimo e massimo edittale per la maggiorazione giornaliera, peraltro Con
ridotta ai sensi dell’art. 16 della legge n. 689/1981.
Anche la cd. maxisanzione era stata graduata in misura ben inferiore rispetto ai limiti massimi edittali posto che si è comunque tenuto conto di vari criteri che hanno condotto ad un coefficiente di maggior favore per gli autori degli illeciti.
Ha quindi concluso per il rigetto del ricorso in opposizione e per la conseguente conferma delle ordinanze in contestazione.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n. 215/2020 del 12 dicembre 2020, istruita la causa mediante documenti e prova per testimoni, ha rigettato l’opposizione avendo ritenuto esente dai vizi lamentati l’operato dell’ e dunque corretto l’operato degli organi ispettivi laddove hanno accertato le violazioni in parola e applicato le sanzioni amministrative pecuniarie correlate agli illeciti contestati. Con
Avverso la predetta sentenza ha proposto il presente giudizio di gravame sia in proprio che quale legale rappresentante della con atto di appello depositato il 10 giugno 2021 ove ha rassegnato le sovrascritte conclusioni.
L’ si è costituito in giudizio per il tramite dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ed ha resistito concludendo nei termini sopra esposti. Con
MOTIVI DELLA DECISIONE
Gli appellanti hanno censurato la sentenza resa nel giudizio di primo grado formulando due motivi di censura.
Il primo, articolato ulteriormente con riguardo alle violazioni che hanno riguardato le posizioni delle lavoratrici e concerne il merito della decisione del Tribunale e si riferisce alla effettiva consumazione degli illeciti amministrativi contestati ove valutati sulla base delle complessive risultanze istruttorie.
Si contesta difatti la correttezza della ricostruzione operata dal primo giudice laddove all’esito della valutazione del contributo conoscitivo offerto dai vari testi escussi nel corso della istruttoria espletata nel giudizio di primo grado.
Gli appellanti intendono più precisamente censurare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza gravata anzitutto con riguardo alla stessa esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con e con (limitatamente per quest’u ltima al periodo che va dal settembre 2012 al novembre 2012) ed ancora in ordine alla genuinità dei contratti di associazione in partecipazione intercorsi tra la e la società appellante dal 26 novembre 2012 al 28 marzo 2014.
3 . Tanto premesso e prima di procedere alla disamina del materiale istruttorio acquisito in causa reputa la Corte dover illustrare brevemente i criteri di valutazione della prova offerti dalla
più recente giurisprudenza laddove si verta in tema di verifiche di tipo ispettivo operate dalle amministrazioni che istituzionalmente sono preposte a tali compiti.
Gli esiti di tali attività infatti risultano, come avvenuto nella vicenda in disamina, compendiati in appositi processi verbali cui sono allegate, per quanto di interesse in questa sede, anche le dichiarazioni raccolte nel corso degli accertamenti dai soggetti a vario titolo coinvolti nelle attività ispettive.
Costoro risultano ulteriormente escussi anche in sede processuale talchè pare opportuno chiarire lo spessore probatorio di tali diversificate fonti di conoscenza.
3.1. Va in ogni caso sottolineato che gli accertamenti vengono svolti anche a distanza di anni dai fatti oggetto di verifica e che tale circostanza, diversamente da quanto pare adombrare la difesa appellante, non inficia la piena validità della ricostruzione svolta a posteriori dagli ispettori purchè condotta sulla base di una coerente e ragionata valutazione degli elementi di conoscenza raccolti.
3.2. Merita quindi di essere anzitutto richiamato il principio, ormai consolidato, in forza del quale i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’
fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (cfr. Cass. ord. n. 22592/2025).
Ancora la stessa Suprema Corte (cfr. Cass. ord. n. 14766/2025) ha rilevato che la valutazione complessiva delle risultanze di causa ben consente al giudice di attribuire maggior rilievo alle circostanze riferite dagli interessati ai verbalizzanti, nell’immediatezza dei fatti, piuttosto che alle circostanze da essi riferite in sede di deposizione in giudizio (cfr. Cass. n. 17555/02), e che in sostanza i verbali di contravvenzione forniscono elementi di valutazione liberamente apprezzabili dal giudice, il quale può peraltro anche considerarli prova sufficiente delle relative circostanze, sia nell’ipotesi di assoluta carenza di elementi probatori contrari -considerata la sussistenza in capo al datore di lavoro, obbligato ai versamenti contributivi, del relativo onere probatorio -, sia qualora il giudice di merito, nel valutare nel suo complesso il
materiale probatorio a sua disposizione, pervenga, con adeguata motivazione, al convincimento della effettiva sussistenza degli illeciti denunciati.
La stessa Corte di legittimità ha poi opportunamente chiarito che nell’ambito del giudizio (in specie, all’interno di un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione emessa dall’ per omissioni contributive), il lavoratore non è portatore di un interesse che lo legittimi a proporre l’azione e neppure ad intervenire in giudizio, e pertanto non è incapace a testimoniare, onde la sua testimonianza potrà, se del caso, essere valutata dal giudice anche sotto il profilo dell’attendibilità (cfr. Cass. ord. n. 23252/2024).
Sulla scorta di tali insegnamenti può dunque ora procedersi all’esame della posizione di per la quale la difesa appellante sostiene non essere emersa la inconfutabile prova che abbia prestato attività di lavoro subordinato in favore della società opponente.
La Corte non condivide tale assunto che reputa, alla luce delle considerazioni che seguono, infondato.
4.1. In primo luogo il Collegio intende valorizzare le dichiarazioni rese in sede ispettiva l’8 luglio 2014 da la quale ha riferito che la NOME aveva lavorato presso la sede di INDIRIZZO a Selargius da ottobre 2012 a metà novembre 2012.
Inoltre la stessa interrogata dagli ispettori il 5 agosto 2014, con dichiarazioni che assumono quantomeno valore indiziario anche in ragione delle particolari responsabilità che incombono sul dichiarante che renda informazioni mendaci, ha rammentato di aver lavorato presso la el punto vendita anzidetto nel periodo ricompreso tra l’1 ottobre 2012 ed il 15 novembre 2012 come addetta alla vendita ed assistenza alla clientela per gli articoli di telefonia a marchio
La Corte reputa non dirimente, quanto alla esatta collocazione temporale dell’attività lavorativa in discorso, la diversa datazione offerta dalla stessa in altra documentazione acquisita in causa.
Quanto alla dichiarazione del 7 maggio 2014 (ove ha collocato il suo rapporto di lavoro tra l’8 ottobre 2012 ed il 14 novembre 2012) osserva il Collegio che trattasi di affermazioni rese,
diversamente da quella assunte dagli ispettori nell’agosto successivo, senza alcuna assunzione di responsabilità, dunque dotate di un ben più limitato spessore probatorio.
Con riguardo a quanto riferito nel corso del suo esame testimoniale la ha dichiarato di aver iniziato il rapporto di lavoro presso la società appellante l’ultima settimana di settembre del 2012 (ossia in un periodo che va dal 24 al 30 del mese) per co ncluderlo l’8 novembre 2012.
Tali affermazioni, peraltro sostanzialmente coincidenti con quanto accertato dall’ relativamente al numero di giornate lavorative complessivamente svolte presso la sono state rese nel giugno 2018 ossia a distanza di circa 6 anni dai fatti controversi. Con
E’ quindi plausibile che quanto dichiarato nel 2014 risulti più aderente alla realtà dei fatti, tenuto conto che la memoria di un accadimento, come è notorio, tende ad essere sempre meno precisa col trascorrere del tempo.
Ulteriori conferme con riguardo alla esistenza in fatto di un rapporto di lavoro subordinato dall’1 ottobre 2012 al 15 novembre RAGIONE_SOCIALE stesso anno con assegnazione della a mansioni di addetta alle vendite sono emerse all’esito della istruttoria condott a nel corso del giudizio di primo grado.
In particolare, oltre a quanto riferito dalla nei termini più sopra riportati, la teste ha rammentato la sua presenza per un breve periodo nel punto vendita di INDIRIZZO come commessa sotto le direttive di e dapprima dichiarando che osservava l’orario di lavoro per quel punto vendita, ossia dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00 coincidente con l’orario di apertura al pubblico, per poi rettificare sostenendo di non ricordare se la stessa lavorasse a tempo pieno o parziale.
Osserva la Corte che tale ultima indicazione, che contraddice quanto poco prima lucidamente affermato dalla teste, appare scarsamente verosimile posto che quest’ultima ha riferito di aver inizialmente lavorato secondo una data turnazione per poi passare ad un orario a tempo pieno talchè l’eventuale avvicendamento con la stessa ove effettivamente avvenuto, sarebbe stato agevolmente memorizzabile posto che i turni erano predisposti dall’ e dal e presupponevano che gli interessati, evidentemente, ne prendessero adeguata visione con il dovuto anticipo.
4.2. In senso contrario a quanto argomentato dal primo giudice non paiono dirimenti, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, le dichiarazioni testimoniali rese da
e laddove hanno sostanzialmente riferito di non aver conosciuto .
Infatti costoro non frequentavano il punto vendita di San Lussorio con particolare assiduità e soprattutto non è provato che si fossero ivi recati proprio tra ottobre e novembre 2012.
Dunque è del tutto ragionevole ipotizzare che non abbiano mai avuto occasione di conoscere la né di averla vista allorchè stava lavorando come addetta alle vendita ed alla assistenza dei clienti nel brevissimo arco temporale di circa un mese e mezzo c ui si riferisce l’illecito contestato.
Anche quanto riferito dal teste sul tipo di mansioni svolte dalla non risulta decisivo nel senso voluto dagli appellanti posto che quanto egli ha affermato sulla inidoneità della stessa in relazione all’attività di commessa e sulla sua adibizione a compiti di supporto agli addetti alle vendite non solo è smentito dagli altri testi anzidetti ma conferma, indirettamente, che è esistito un rapporto di lavoro subordinato e che, dunque la e la sul punto circostanze (ossia la presenza in negozio della quale collega adibita alle vendite) che corrispondono al vero.
4.3. Né possono essere sminuite le dichiarazioni rese dalla e dalla (che, per inciso, non ha mai affermato di aver iniziato a lavorare per la nel 2013 avendo dichiarato dinanzi agli ispettori il 15 dicembre 2014 di aver lavorato per la da gennaio -febbraio 2012 ed ancor prima l’11 aprile 2014 sempre in sede ispettiva, di lavorare dal marzo 2013 per la stessa azienda in forza di un contratto di associazione in partecipazione, affermazione che non esclude un lavoro pregresso presso l’appellante) per il solo fatto che le stesse hanno agito in via amministrativa onde ottenere il riconoscimento delle rivendicate spettanze economiche.
Difatti tale circostanza non vale di per sé ad inficiare la attendibilità delle rispettive dichiarazioni nella parte relativa alla posizione lavorativa di un soggetto terzo, ossia la posto che non si comprende, né la difesa appellante ha ritenuto di meglio argomentare sul punto, quale sarebbe stato, in ipotesi, l’interesse a rendere dichiarazioni mendaci.
La ipotizzata volontà di rendere dichiarazioni reciprocamente favorevoli da parte della della e della in disparte i gravi rischi sul piano delle conseguenze penali
cui le stesse si esporrebbero, è rimasta a livello di mera allegazione come tale non rilevante ai fini decisori.
4.4. In definitiva, concludendo sul punto, le doglianze sollevate dagli appellanti non meritano condivisione essendo emersi plurimi e coerenti elementi di conoscenza, dei quali si è dato conto, che conducono a confermare quanto già statuito dal giudice di prime cure in ordine alla esistenza in fatto di un rapporto subordinato tra la e nei termini sopra dianzi descritti.
5. Del pari infondato il secondo profilo di gravame secondo il quale non sarebbe emersa prova inconfutabile che abbia svolto attività di lavoro subordinato in favore della tra il settembre 2012 ed il novembre 2012 come addetta alle vendite alle dipendenze della società appellante.
Al riguardo valgono le considerazioni che precedono relativamente al corredo probatorio che fonda la ricostruzione operata dall’ rispetto alla consumazione dell’illecito in contestazione. Con
5.1. Depongono infatti in tal senso in primo luogo le dichiarazioni rese il 5 agosto 2014 da dinanzi agli ispettori che hanno condotto gli accertamenti in disamina allorchè ha riferito di aver lavorato per la società appellante presso il negozio di INDIRIZZO a Selargius unitamente, tra gli altri, alla , dall’1 ottobre 2012 al 15 novembre 2012.
Nello stesso senso militano le dichiarazioni rese, sempre in sede ispettiva, da l’11 aprile 2014 la quale ha collocato l’inizio della prestazione lavorativa della nella seconda metà di settembre 2012.
Quest’ultima l’8 luglio 2014 ha riferito dinanzi agli ispettori dell’ , assumendosi di conseguenza la responsabilità per eventuali false o reticenti dichiarazioni, di aver lavorato presso l’unità di vendita di INDIRIZZO sin dal 17 settembre 2012 c ircostanza che assume, come visto, rilevanza indiziaria e che trova debito riscontro nelle dichiarazioni delle altre due lavoratrici sopra indicate. Con
Anche l’istruttoria condotta in corso di causa ha consentito di acquisire ulteriori elementi di conoscenza, seppur non particolarmente stringenti ma pur sempre valorizzabili ove valutati unitamente alla predette risultanze istruttorie, che confermano la pr ospettazione dell’ . Con
In tal senso depongono le dichiarazioni rese dalla teste , come visto già sentita sugli stessi fatti in sede di accertamento ispettivo, la quale ha confermato che la aveva iniziato il suo lavoro di assistenza alla clientela circ a due settimane prima dell’1 ottobre 2012 sotto le direttive del e/o dell’ con impegno orario dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 16,00, alle 20,00.
Anche ha confermato la presenza della quale addetta alle vendite presso il punto vendita di San Lussorio, pur non essendo stato in grado di precisare la data in cui la stessa aveva ivi iniziato il suo lavoro.
Tale ultima dato temporale, tuttavia, può essere agevolmente ricostruito facendo riferimento alle attendibili dichiarazioni di la quale ha riferito di aver conosciuto la proprio in quel punto vendita avendo iniziato il suo lavoro due settimane dopo di lei.
Conseguentemente incrociando le deposizioni del e della che iniziò il suo lavoro l’1 ottobre 2012 risulta debitamente dimostrato che la cominciò il suo lavoro di addetta alle vendite a tempo pieno presso il detto negozio a partire dalla metà del mese di settembre 2012, come d’altronde lei stessa ha esposto nella richiesta di intervento dell’1 luglio 2014 debitamente prodotta in atti.
5.2. Può soggiungersi che anche sulla posizione lavorativa della per il periodo in esame quanto argomentato dal primo giudice non è incrinato dalle dichiarazioni testimoniali rese da e
Per costoro va ribadito che non si trattava di soggetti che frequentavano il punto vendita di San Lussorio con particolare assiduità e soprattutto che non è provato che si fossero ivi recati proprio tra il settembre ed il novembre 2012.
Dunque è del tutto plausibile, come già rilevato per la posizione lavorativa della che non abbiamo visto la all’interno del negozio pur avendovi la stessa lavorato come fin qui chiarito fin dalla metà di settembre 2012.
5.3. Concludendo sul punto risulta sufficientemente dimostrato che ha iniziato a lavorare presso il punto vendita di INDIRIZZO a Selargius quale addetta alle vendite full time alle dipendenze della dal 17 settembre 2012 al 25 novembre 2012 in totale scopertura assicurativa, talchè va rigettato il relativo motivo di doglianza avverso la sentenza resa in prime cure dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
6. Il terzo profilo di gravame concerne la genuinità dei contratti di associazione in partecipazione intercorsi tra la società appellante e la dal 2012 al 2014, segnatamente il primo dal 26 novembre 2012 al 30 novembre 2013 ed il secondo dal 2 dicembre 2013 al 28 marzo 2014.
Osserva al riguardo il Collegio che la dimostrazione in ordine alla natura subordinata di un rapporto di lavoro formalizzato con un diverso nomen juris grava sulla parte interessata a comprovare l’esistenza in fatto di un rapporto lavorativo differente da quello nominalmente pattuito, ossia nel caso di specie sull’ (cfr., sul valore non vincolante di un contratto intestato come associazione in partecipazione stante la necessità di appurare il concreto schema negoziale, Cass. sent. n. 4524/2011). Con
Tuttavia, avuto riguardo alla collocazione temporale dei due contratti di associazione in partecipazione anzidetti, trova applicazione nel presente giudizio l’art. 1 comma 30 della legge n. 92/2012.
Detta disposizione, vigente ratione temporis dal luglio 2012 al giugno 2015 e dunque nel periodo di interesse in causa ricompreso tra il novembre ed il marzo 2014, così disponeva: I rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi sia stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare , ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall’articolo 2552 del codice civile, si presumono, salva prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato . La predetta presunzione si applica , altresì, qualora l’apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all’articolo 69-bis, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, introdotto dal comma 26 del presente articolo .
Tale ultimo periodo riguarda, in virtù del rinvio ivi contenuto, la prestazione lavorativa connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività .
6.1. Osserva il Collegio che nella fattispecie in esame risultano integrati i presupposti cui la legge riconnette l’inversione dell’onere della prova rispetto alla ipotesi più generale dianzi descritta, con conseguente presunzione relativa circa l’instaurazion e di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Difatti dall’esame degli atti di causa e segnatamente dalla documentazione prodotta dalle parti e dalle deposizioni testimoniali non emerge affatto che la abbia percepito una remunerazione per l’attività lavorativa svolta commisurata agli utili e ffettivamente prodotti dalla avendo, al contrario, ricevuto una retribuzione priva di un documentato collegamento con i primi.
La variabilità dei compensi mensilmente corrisposti d’altro canto non costituisce debita prova della commisurazione agli utili di impresa avendo la stessa chiarito che tale diversità era parametrata al livello di produttività via via raggiunto, criterio questo adoperato significativamente nell’ambito del lavoro subordinato.
Va comunque evidenziato come le parti appellanti non abbiano fornito alcun elemento di tipo contabile a sostegno della prospettazione secondo la quale il compenso erogato era commisurato al 10 % dell’utile lordo derivante dall’attività del punto vendita
Si tratta di una condotta processuale assai significativa ove si abbia riguardo al principio di vicinanza della prova che rendeva assai agevole una compiuta dimostrazione di tale assunto rimasto a livello di allegazione non corroborata, come sarebbe stato necessario, da un coerente riscontro documentale.
Sotto altro punto di vista nemmeno è stato allegato che la prestazione lavorativa espletata dalla stessa fosse connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività.
6.2. Se dunque opera la presunzione di subordinazione nei termini sopra richiamati spettava agli odierni appellanti fornire la prova rigorosa in ordine alla mancanza di vincoli di subordinazione in capo alla rispetto alla attività lavorativa che ella ha svolto nel periodo in esame.
All’esito dell’istruttoria tale dimostrazione non può ritenersi fornita: il teste ha dichiarato che era a dare le direttive al personale compresa la ed ha poi aggiunto in modo alquanto generico che tutti erano coinvolti nelle decisioni aziendali;
ha riferito che si occupava di tutto , peraltro in forza alla solo da luglio 2013, nulla ha saputo precisare sulla eventuale autonomia decisionale anche in ordine alla scelta sull’ orario di lavoro da osservare in capo alla ;
ha dichiarato che era dapprima il e quindi l’ a impartire le direttive al personale anche per quanto riguarda la supervisione sugli orari di lavoro che andavano, anche per la dalle 9,00 circa alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00 ovvero dalle 9,00 alle 17,00/dalle 12,00 alle 20,00 per 6 giorni settimanali; ha riferito che erano gli addetti al negozio a gestire il lavoro interno, circostanza non anomala siccome relativa alla concreta gestione quotidiana, ed ha soggiunto poco dopo che a livello aziendale dovevano rivolgersi al ed all’ ha dimostrazione del RAGIONE_SOCIALE decisionale di costoro ed ha poi affermato che la organizzazione dei turni era concordata dagli addetti aspetto del pari non dirimente posto che, come visto, la decisione finale al riguardo spettava allo stesso il quale non necessariamente doveva imporre una data collocazione oraria al singolo dipendente, infine ha dichiarato di aver curato la contabilità aziendale per la società appellante talchè quanto riferito dalla stessa in ordine al RAGIONE_SOCIALE sostanzialmente marginale del e dell’ quanto alla gestione aziendale ed alle decisioni di tipo organizzativo appare ben poco verosimile siccome proveniente da un soggetto estraneo al personale presente nei punti vendita peraltro pure smentito dagli altri testi nei termini di cui si è testè dato conto.
6.3. In definitiva risulta che non rivestiva uno specifico RAGIONE_SOCIALE organizzativo nei punti vendita ove ha lavorato, posto che, analogamente ai colleghi, osservava i turni concordati con costoro, infine verificati dai responsabili aziendali nell’a mbito di un orario di apertura e chiusura rigidamente predeterminato, e godeva solamente di profili di autonomia operativa di tipo esecutivo propri degli addetti alle vendite di qualsiasi negozio al dettaglio.
Va quindi escluso, come appurato dagli ispettori e condiviso dalla sentenza impugnata, che i rapporti di associazione in partecipazione fossero genuini posto che, in realtà, dissimulavano un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 26 novembre 2012 e fino al 28 marzo 2014 quando il rapporto è pacificamente cessato.
Il relativo motivo di appello deve pertanto essere disatteso perché infondato apparendo pertanto corrette e condivisibili le conclusioni cui è pervenuto sul punto il giudice di primo grado.
7. Anche il secondo motivo di doglianza appare, ad avviso del Collegio, non meritevole di accoglimento.
7.1. Gli appellanti lamentano in particolare che al punto 9) delle ordinanze ingiunzione nn. 167 e 167 bis con riguardo alla occupazione irregolare di per la giornata dell’11 aprile 2014 (circostanza non contestata quanto alla materiale commissione dell’illecito) l’ dopo aver ritenuto di mantenere la riduzione ad euro 65,00 della maggiorazione per ogni giornata di effettivo lavoro non denunciata avrebbe fissato la sanzione per la violazione dell’art. 3 comma 3 del D.L. n. 12/2022 in euro 3.380,00 senza chiarire la ragione della mancata applicazione del minimo edittale, fissato ad euro 1.950,00, posto che tale illecito è riferito ad una sola giornata lavorativa. Con
Gli stessi appellanti hanno poi contestato la mancata applicazione dei minimi di legge anche per la generalità degli illeciti contestati.
7.2. Osserva al riguardo la Corte che come chiarito dall’ già nel corso del giudizio di prime cure l’entità della sanzione prevista per la violazione posta in essere mediante la assunzione in scopertura assicurativa della non assume rilievo rispetto alla determinazione della cd. maxisanzione per l’utilizzo di lavoratori in nero . Con
L’ d’altro canto ha ridotto di 2/3 la misura della maggiorazione giornaliera altrimenti fissata in misura pari a 195,00 euro in applicazione dell’art. 16 della legge n. 689/1981.
7.3. Quanto alla entità della maxisanzione l’ ha operato in coerenza col disposto dell’art. 11 della medesima legge in base al quale Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità RAGIONE_SOCIALE stesso e alle sue condizioni economiche. Con
Difatti dalla lettura delle ordinanze ingiunzione in discorso risulta (cfr. pag. 6 di tali provvedimenti) che nella motivazione l’ ha espressamente tenuto in conto la gravità della violazione per quanto concerne gli illeciti di cui ai punti 1), 5) e 9), mentre per quanto riguarda più in generale gli illeciti di cui ai progressivi 1), 2), 4), 5,), 6), 7), 8) e 9) ha valutato nell’ordine la gravità della violazione, il comportamento dell’autore della stessa e gli altri elementi di tipo soggettivo che conco rrono a determinare l’entità della misura sanzionatoria. Con
La contestazione svolta dagli appellanti sulla carenza di motivazione si appunta a ben vedere sulla scheda istruttoria che costituisce un mero atto interno, dovendosi invece far riferimento al provvedimento finale ove risulta invero motivata la misura della sanzione applicata per ciascuna violazione accertata.
7.4. D’altra parte relativamente alla violazione specificamente relativa alla la sanzione applicata appare ben al di sotto del massimo edittale fissato ad euro 15.600,00 essendo stata contenuta in euro 3.380,00, a riprova della adeguata considerazione della concreta carica offensiva del corrispondente illecito condotta in base agli elementi di valutazione previsti dalla legge (nella specie l’assenza di precedenti e la condotta collaborativa del trasgressore).
7.5. La Corte reputa, in definitiva, che la misura delle sanzioni irrogate in confronto degli odierni appellanti risulti congrua tenuto conto della pluralità degli illeciti accertati, della protrazione nel tempo di alcune di tali condotte, delle condizioni economiche di costoro che, per quanto consta, nemmeno risultano caratterizzate da particolari situazioni di difficoltà (cfr. Cass. ord. n. 29315/2024 sul potere del giudice di autonoma verifica del rispetto delle previsioni contenute nella legge).
La sentenza appellata appare conclusivamente, alla luce delle esposte argomentazioni, esente dai vizi lamentati dagli appellanti talchè deve essere integralmente confermata.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico degli appellanti e tenuti in solido alla loro rifusione in favore dell’amministrazione appellata, con applicazione dei parametri medi previsti dalla tabella per i giudizi dinanzi alla Corte di Appello dal D.M. n. 55/2014, come successivamente modificato, per le controversie di valore compreso tra 5.201,00 e 26.000,00 euro, senza riconoscimento del compenso per la fase istruttoria nella sostanza non svoltasi.
Dal rigetto dell’atto di appello discende l’obbligo per gli appellanti di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, come da dispositivo.
Per questi motivi La Corte d’appello
Definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:
Rigetta, in quanto infondato, l’appello proposto da ed avverso la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 2151/2020 del 12 dicembre 2020 che, per l’effetto, conferma;
Condanna ed in solido tra loro, alla rifusione delle spese del giudizio in favore dell’ appellato, che liquida in complessivi euro 3.966,00, oltre al 15% per spese forfettarie ed accessori dovuti per legge;
Dichiara tenuti gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 1 quater D.P.R. 30-5-2002 n. 115, come modificato dall’art. 1, 17° comma l. 228-2012.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE il 9 ottobre 2025.
L ‘ Estensore
La Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME