Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31251 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 31251 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3638/2020 R.G. proposto da
COGNOME , domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, domicilio telematico presso PEC EMAIL, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO C/O
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato -Contratti co.co.co. con ente comunale -Reiterazione -Accertamento rapporto lavoro subordinato
R.G.N. 3638/2020
Ud. 21/11/2024 CC
STUDIO COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO LECCE – SEZ.DIST. DI TARANTO n. 260/2019 depositata il 11/07/2019. giorno
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 260/2019, pubblicata in data 11 luglio 2019 la Corte d’appello di Lecce Sezione Distaccata di Taranto, nella regolare costituzione dell’appellata nonché appellante incidentale NOME COGNOME ha accolto l’appello principale proposto d al COMUNE DI GINOSA avverso la sentenza del Tribunale di Taranto n. 5121/2014 e, per l’effetto, ha respinto integralmente le domande proposte nei confronti del COMUNE DI GINOSA dalla medesima NOME COGNOME
Quest’ultima aveva adito il Tribunale di Taranto, riferendo di avere iniziato a svolgere prestazioni lavorative per il COMUNE DI GINOSA in virtù di un contratto di somministrazione concluso in data 11 febbraio 2008 con Adecco, successivamente stipulando una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa a far tempo dal maggio 2008 e sino al dicembre 2012.
Aveva quindi dedotto di non aver mai svolto i compiti in relazione ai quali era stato concluso il contratto di somministrazione -inserimento dell’ufficio di staff del Sindaco -e di essere stata invece inserita nello svolgimento delle attività amministrative del Comune, ed aveva pertanto chiesto la conversione del rapporto in contratto di
lavoro a tempo indeterminato, con condanna del medesimo COMUNE DI GINOSA alla corresponsione delle differenze retributive.
2. Accolta in prime cure solo tale ultima domanda -avendo il Tribunale escluso la possibilità di convertire il rapporto in contratto a tempo indeterminato, in virtù della natura di Ente pubblico del COMUNE -e proposto sia appello principale da parte del COMUNE DI GINOSA sia appello incidentale da parte di NOME COGNOME la Corte d’appello ha ritenuto di disattendere integralmente la domanda dell’appellata riformando la decisione impugnata -rilevando radicali carenze nella valutazione delle risultanze processuali da parte del giudice di prime cure ed osservando, in particolare, che dalle prove testimoniali assunte in giudizio non erano concretamente emersi elementi tali da evidenziare uno svolgimento del rapporto come caratterizzato dal vincolo della subordinazione.
La Corte, anzi, ha ritenuto che dalle prove assunte in corso di giudizio fosse emerso che, nell’ambito dei vari contratti di collaborazione coordinata e continuativa, NOME COGNOME aveva goduto di autonomia soprattutto per quanto riguardava l’orario di lavoro, giungendo anche ad assentarsi per ragioni personali.
La Corte territoriale è quindi pervenuta alla conclusione che, a fronte dell’assenza di indici di subordinazione, la concreta diversità tra le mansioni dedotte nei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e quelle concretamente svolte non era in ogni caso idonea a fondare la tesi del l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (che era il petitum oggetto di causa).
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce -Sezione Distaccata di Taranto ricorre ora NUNZIA COGNOME
Resiste con controricorso il COMUNE DI GINOSA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato entrambe memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 90, D. Lgs. n. 267/2000; 2121 c.c.; 3, 36, 38, 97 e 98 Cost., ‘per non aver la Corte territoriale dichiarato la illegittimità dei contratti, stipulati in palese violazione del dettato normativo tanto nella forma (somministrazione, prima, e co.co.co. poi), quanto nella sostanza delle attività svolte (attività amministrativa ordinaria all’interno degli uffici comunali, in luogo delle funzioni di supporto all’attività di indirizzo e controllo alle dirette dipendenze degli organi politici) e non aver applicato il CCNL EE.LL., riconoscendo alla ricorrente le differenze retributive dovute, per periodi e le mansioni effettivamente svolte, cosi come descritte nell’atto introduttivo del processo e pacificamente accertate in giudizio. Nonché, per aver qualificato come volontario e a titolo gratuito, il lavoro svolto dalla ricorrente all’interno degli uffici comunali e violato il principio indisponibilità delle forme contrattuali’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe errato a non rilevare l’illegittimità dei contratti conclusi tra la ricorrente ed il COMUNE DI GINOSA, in quanto gli stessi venivano a violare i limiti posti dall’art. 90, D. Lgs. n. 2 67/2000, il quale, per la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco, della Giunta o degli assessori impone per l’assunzione del personale la forma specifica del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato,
escludendo altre forme come la collaborazione coordinata e continuativa.
Ne consegue, sostiene il ricorso, che i contratti conclusi tra le parti dovevano ritenersi nulli, con conseguente applicazione dell’art. 2126 c.c., con conseguente inquadramento della fattispecie nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., deduce testualmente: ‘violazione e falsa applicazione degli articoli 244 e 253 c.p.c. , nonché degli articoli 2733 c.c. e 228 c.p.c. e, conseguentemente, dell’articolo 116 c.p.c. poiché la Corte territoriale, sull’errato presupposto che la mera conferma, da parte dei testi escussi, delle circostanze capitolate nel ricorso introduttivo, non sia sufficiente se non ulteriormente chiarite, ha ritenuto di non valutare i riscontri delle testimonianze assunte a supporto della tesi di parte ricorrente. -Violazione e falsa applicazione degli articoli 2733 c.c. e 228 c.p.c., nonché dell’art. 116 c.p.c. poiché la Corte d’Appello ha omesso di esaminare la confessione giudiziale (avente prova legale) dell’Amministrazione resistente nel corso dell’interrogatorio formale deferito, di cui al verbale d’udienza del 18.04.2013’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale:
-avrebbe erroneamente negato rilevanza probatoria alla conferma, da parte di alcuni testi, delle circostanze che evidenziavano il carattere subordinato del rapporto, unicamente perché i testi si erano limitati a confermare tali circostanze;
-avrebbe omesso di valutare la confessione resa dal Sindaco in sede di interrogatorio formale.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 3, 10 e 117 Cost.; delle Clausole 4
e 5 dell’Accordo Quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE; degli artt. 1, 2 e 3, Dir. 2000/43/CE; degli artt. 1, 2 e 3, Dir. 2000/78/CE; degli artt. 1 e 4, Dir. 2006/54/CE; dei D. Lgs. nn. 315/2003; 216/2003; 198/2006; nonché ‘la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in applicazione dei principi comunitari a tutela del diritto di effettività, uguaglianza e parità di trattamento dei lavoratori ‘ in quanto ‘ la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere il diritto della ricorrente a percepire la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno per aver fatto, il Comune di Ginosa, abusivamente ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato, in conformità ai principi di diritto di cui alla sentenza a Sezioni Unite n. 5072/2016 ‘ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., nonché degli artt. 187 e 209 c.p.c. in relazione all’art. 111 della Costituzione e conseguentemente dell’art. 116 c.p.c. per non aver la Corte d’appello autorizzato l’integrazione della domanda nonché dei relativi mezzi istruttori, conseguenti alle nuove prospettazioni fattuali riportate da controparte in memoria difensiva, relative a vicende storicamente occorse successivamente al deposito del ricorso, che ne ampliavano il thema decidendum’ .
Il ricorso censura l’operato della Corte territoriale, in quanto la stessa non avrebbe consentito l’integrazione della domanda e dei mezzi istruttori da parte della ricorrente in conseguenza dell’allegazione da parte del COMUNE DI GINOSA, di un fatto nuovo e successivo all’introduzione del giudizio.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Lo stesso, infatti, non coglie né critica adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, contrariamente a quanto asserito in ricorso, non ha erroneamente ritenuto che l’insieme
di rapporti intercorrenti tra la lavoratrice ed il COMUNE fosse compatibile con l’art. 90 , D. Lgs. n. 267/2000, previsione che la decisione impugnata non risulta neppure richiamare.
La Corte d’appello, invece, sulla scorta delle stesse allegazioni originarie della ricorrente, ha ritenuto che detto insieme di rapporti non fosse ab origine qualificabile come rapporto di lavoro subordinato -e quindi, a maggior ragione, come rapporto riconducibile all’ipotesi di cui al citato art. 90, D. Lgs. n. 267/2000, atteso che tale previsione disciplina un rapporto di lavoro con caratteri peculiari ma comunque connotato imprescindibilmente dalla subordinazione -e che lo stesso dovesse invece essere ricondotto ad un’attività svolta in favore di uffici dell’Ente ma senza vincoli di subordinazione .
La Corte territoriale, infatti, ha evidenziato in premessa che la ricorrente non aveva proceduto ad impugnare in modo specifico il contratto di somministrazione che aveva dato origine al suo rapporto con il COMUNE, omettendo di sollevare contestazione in ordine alla regolarità di detto rapporto anche dopo la sua cessazione e quindi omettendo di dedurre quella violazione dell’art. 90, D. Lgs. n. 267/2000 che invece è stata proposta nella presente sede.
La Corte d’appello, quindi, ha sottolineato che l’iniziativa giudiziale della ricorrente veniva ad investire unicamente la successiva sequenza di contratti di collaborazione continuata e coordinata, senza in alcun modo affermare – come invece si sostiene in ricorso -la compatibilità di tale vicenda con la previsione del D. Lgs. n. 267/2000 -che, si ribadisce, non risulta neppure richiamata dalla decisione impugnata – ed ha concluso, sulla scorta delle allegazioni della stessa ricorrente, che a venire in rilievo nella specie era unicamente il problema di verificare se la reiterazione dei contratti di co.co.co. avesse
di fatto integrato l’i nstaurarsi di un rapporto avente le caratteristiche della subordinazione.
In altri termini, la Corte d’appello ha chiarito che la domanda della ricorrente andava valutata sulla scorta del rapporto effettivamente sussistente -procedendo alla verifica della concreta sussistenza degli elementi della subordinazione -e non sulla base di una sua qualificazione meramente ipotetica (peraltro non è chiaro se dedotta), risultando, quindi, inapplicabili al caso in esame i principi enunciati da Cass. Sez. L, Ordinanza n. 11242 del 2023 e Cass. Sez. L – Ordinanza n. 22325 del 07/08/2024 (precedenti entrambi invocati dalla ricorrente in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.), in quanto questi ultimi sono da riferirsi ad ipotesi nelle quali, invece, risultava indubbia ed evidente la riconducibilità della fattispecie concreta al D. Lgs. n. 267/2000.
In tal modo, allora, la decisione impugnata si è conformata ai principi più volte enunciati da questa Corte, la quale ha chiarito che, se è vero che, ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico, non rilevando in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, né che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni (Cass. Sez. L, Sentenza n. 28250 del 2018, invocata dalla stessa ricorrente) è tuttavia anche vero che per giungere a tale esito occorre verificare l’effettiva sussistenza dell’elemento della subordinazione sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e
l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità (la stessa Cass. Sez. L, Sentenza n. 28250 del 2018, nonché, tra le altre, Cass. Sez. L, Ordinanza n. 7334 del 2018).
Le censure illustrate con il motivo di ricorso, quindi, non sono in alcun modo riferite alla ricostruzione operata dalla Corte d’appello nella propria decisione né sviluppano concreti argomenti critici per contestarla, da ciò derivando che il motivo, inidoneo com’è ad intercettare adeguatamente la ratio dedicendi , risulta nel complesso inammissibile.
Il secondo motivo è infondato.
Richiamato il fondamentale principio enunciato da questa Corte in materia (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20867 del 30/09/2020), a mente del quale:
-per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
-la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia
operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento;
si deve osservare, in primo luogo, che risultano infondate -anche se non inammissibili – le deduzioni concernenti la valutazione delle deposizioni testimoniali rese in corso di giudizio, avendo la Corte d’appello proceduto ad un esame complessivo delle deposizioni medesime – giungendo motivatamente alla conclusione che esse non valevano ad evidenziare che la ricorrente avesse svolto le proprie prestazioni in un regime riconducibile alla subordinazione – senza che sia in alcun modo ravvisabile in tale argomentata valutazione un ‘ipotesi di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
A non diverse conclusioni si deve pervenire in ordine alle censure che investono la valutazione dell’interpello reso dal Sindaco del COMUNE controricorrente, atteso che le dichiarazioni rese a verbale -al di là della conferma di una circostanza che peraltro risultava già da una fonte audiovisiva -contengono una serie di puntualizzazioni qualificanti – per tacere dei casi in cui l’interpellato si è limitato a dichiarare di non essere a conoscenza dei fatti – tali da far escludere sia che il mezzo istruttorio fosse sfociato in una confessione, come argomentato in ricorso, sia, conseguentemente, che la valutazione delle risposte all’interrogatorio formale operata dalla Corte d’appello si sia tradotta nel negare al mezzo istruttorio la valenza che quest’ultimo – in ipotesi ma non in concreto -avrebbe potuto rivestire.
Il terzo motivo è infondato.
Il motivo, infatti, si fonda su un postulato la cui sussistenza è stata invece esclusa dalla decisione impugnata, e cioè che il rapporto tra le parti venisse ad integrare un rapporto di lavoro subordinato, seppure a termine, giacché è solo in presenza di un contratto di lavoro con i caratteri della subordinazione che avrebbe potuto porsi il problema dell’applicazione della tutela stabilita dalle fonti nazionali ed eurounitarie a tutela dei lavoratori con contratto a termine.
Che nella specie di rapporto di lavoro subordinato si trattasse, tuttavia, è stato direttamente escluso dalla decisione impugnata, senza che, come visto in precedenza, le censure mosse dalla ricorrente avverso tale statuizione possano ritenersi fondate, da ciò derivando che, non potendosi ravvisare un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a termine, non vi è luogo neppure per l’applicazione della tutela invocata dalla ricorrente.
Il quarto motivo è infondato.
Il suo esame, infatti, evidenzia che le deduzioni dell’odierna controricorrente -per come riprodotte nel ricorso -non valevano in alcun modo a determinare un ampliamento del thema decidendum , essendo dedotti profili che in nessun modo valevano ad intaccare quest’ultimo, in quanto quest’ultimo era, e restava, limitato all’accertamento della sussistenza o meno di un rapporto di subordinazione, d a ciò derivando l’assenza di una lesione del diritto di difesa della ricorrente, la cui domanda, del resto, è stata disattesa in virtù dell’assenza di prova dei fondamentali elementi costitutivi, da dedurre sin da subito con la domanda introduttiva.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente
delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
7. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge da corrispondersi all’avvocato NOME COGNOME antistatario .
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione