Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24148 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24148 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19303-2019 proposto da:
DI COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4265/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/12/2018 R.G.N. 2144/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
Qualificazione rapporto privato
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/05/2024
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza n. 4265/2018 la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame e in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, ha rigettato le originarie domande proposte da NOME COGNOME, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, con cui era intercorso un contratto di lavoro a progetto a tempo determinato dal 19.5.2008 all’1.12.2009, dirette al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e all’accertamento dell’illegittimità della risoluzione del rapporto, con richiesta di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle differenze retributive pari ad euro 40.594,87.
I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, hanno rilevato che: a) l’appello della COGNOME era tempestivo; b) la conciliazione sindacale intercorsa tra le parti, avvenuta non in presenza del pubblico ufficiale certificatore, non era valida né efficace in quanto era stata disconosciuta e non era stata chiesta la verificazione dalla controparte; c) non erano stati dedotti profili di illegittimità del contratto a progetto né le allegazioni e le deduzioni del lavoratrice consentivano di ravvisare gli indici della subordinazione nel rapporto intercorso tra le parti.
Avverso la decisione di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge, ex art. 360 n. 3 cpc, con riferimento all’art. 2697 cc e art. 356 cpc; la nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc; il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc. Ella deduce che la
Corte territoriale aveva errato nel ritenere non allegato, non provato e non provabile il rapporto di lavoro di natura subordinata, come esposto nell’atto introduttivo del giudizio, quando invece, dalle articolate richieste istruttorie emergeva con chiarezza la fondatezza della pretesa azionata.
Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3, n. 4 e n. 5 cpc, per omessa e/o insufficiente motivazione, in relazione agli artt. 2697 cc e 356 cpc, per non avere la Corte di appello ammesso la chiesta prova testimoniale e la richiesta di ctu contabile senza specifica motivazione e senza considerare la prova documentale in atti.
I motivi, che per la loro connessione logico giuridica possono essere esaminati congiuntamente, presentano profili di infondatezza e di inammissibilità.
Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 437 cod. proc. civ.), trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (Cass. n. 17109/2009; Cass. n. 21421/2014).
Nella fattispecie, va rilevato che la Corte territoriale si è pronunciata su tutte le domande proposte dalla ricorrente sottolineando, con un accertamento adeguatamente motivato e riscontrato dall’esame degli atti processuali, che: a) non erano stati dedotti profili di illegittimità del contratto a progetto; b) le circostanze da cui desumere comunque la subordinazione del rapporto di lavoro nel suo concreto svolgimento erano generiche, non essendo stato specificato il contenuto delle mansioni (si parlava genericamente di
attività di recupero crediti), l’orario di lavoro a cui la lavoratrice era obbligata ad attenersi, l’esistenza di un obbligo di presenza giornaliera, la consistenza degli ordini e delle direttive impartite dal datore di lavoro.
Non è ravvisabile, pertanto, alcun error in procedendo nella pronuncia impugnata ma solo un esame del contenuto degli atti processuali congruamente motivato.
Sono, invece, inammissibili le doglianze nella parte in cui vengono censurati l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
Inammissibile è anche la prospettata violazione del mancato esercizio dei poteri officiosi da parte del giudice perché occorreva che la parte avesse investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori e sollecitandone l’esercizio (Cass. n. 22534/2014; Cass n. 25374/2017), così come è inammissibile il denunciato rigetto della richiesta di una consulenza contabile di ufficio -la cui ammissibilità costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice- respinta per la inidoneità delle allegazioni poste a fondamento della pretesa.
Quanto alle prove documentali, le quali asseritamente, secondo la ricorrente, avrebbero potuto superare e colmare il difetto di allegazioni, deve rilevarsi che le stesse riguardavano il contratto di lavoro, che dettagliava il concreto svolgimento del rapporto di lavoro, le buste paga e varie mail con le quali sarebbero state date direttive e ordini ad essa lavoratrice.
Orbene, le censure sul punto non si confrontano con la ratio decidendi della impugnata sentenza che ha rilevato, con riguardo al contratto a progetto, la mancata deduzione in astratto di profili di
illegittimità di questo e, con riferimento agli indici della subordinazione, la genericità delle allegazioni circa gli elementi indispensabili per valutare la subordinazione che effettivamente non possono essere desunti da un contratto di collaborazione autonoma che formalmente deve prevedere il compenso, le mansioni attribuite ed eventuali direttive ma non certo i presupposti, essenziali in concreto, per rilevare la eterodirezione nell’espletamento del rapporto, necessaria per la qualificazione della natura subordinata.
Risulta, poi, inappropriato il richiamo ad una violazione dell’art. 2697 c.c., ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, quando oggetto di censura sia la valutazione del giudice circa le prove offerte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018).
Da ultimo, deve ribadirsi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente, pur essendo stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
Il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, ex art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, infatti, non vale ad addossare allo Stato anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all’altra parte, risultata vittoriosa (Cass. n. 8388/2017).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore della controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 maggio 2024