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Lavoro subordinato: onere della prova del lavoratore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso di una lavoratrice che chiedeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato per un periodo coperto da contratti di collaborazione autonoma. La Corte ha stabilito che non è sufficiente contestare la veridicità del contratto formale; il lavoratore ha l’onere di provare concretamente gli elementi tipici della subordinazione, come l’assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro. La valutazione dei fatti spetta al giudice di merito e non è, di norma, sindacabile in Cassazione.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Subordinato: Non Basta Affermare che il Contratto è Falso

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in materia di diritto del lavoro: per ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, non è sufficiente sostenere che il contratto di collaborazione autonoma sia fittizio. È il lavoratore a dover fornire la prova concreta degli elementi che caratterizzano la subordinazione. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una lavoratrice che aveva intrattenuto un rapporto di lavoro con una società di telecomunicazioni per diversi anni. Inizialmente, il rapporto era formalizzato come contratto d’opera e, successivamente, come collaborazione coordinata e continuativa. La lavoratrice si era rivolta al tribunale per chiedere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto sin dall’inizio.

La Corte d’Appello aveva accolto solo parzialmente la sua richiesta, riconoscendo la subordinazione solo per l’ultimo periodo del rapporto e negandola per gli anni precedenti, coperti dai contratti autonomi. Secondo i giudici di merito, per quel primo periodo non erano emerse prove sufficienti a dimostrare l’esistenza di un vincolo di subordinazione.

Il Ricorso in Cassazione e la Prova del Lavoro Subordinato

La lavoratrice ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione. Il suo unico motivo di ricorso si basava sulla presunta errata valutazione delle circostanze di fatto da parte dei giudici, sostenendo che l’illegittimità del contratto d’opera iniziale dovesse automaticamente portare alla riqualificazione del rapporto come lavoro subordinato.

La Suprema Corte, tuttavia, ha respinto questa tesi, chiarendo i limiti del proprio sindacato e i principi che regolano l’onere della prova in queste controversie.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha innanzitutto ricordato che la valutazione circa l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato è un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito. Il sindacato della Cassazione può riguardare solo la corretta individuazione dei criteri legali che definiscono la subordinazione (come l’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro), ma non può entrare nel merito della ponderazione delle prove.

Il punto centrale della decisione risiede nell’onere della prova. Spetta al lavoratore, che chiede la riqualificazione del rapporto, dimostrare in modo positivo e concreto la sussistenza degli indici della subordinazione. Non è sufficiente, secondo la Corte, limitarsi a sostenere la ‘falsità’ o la natura pretestuosa del contratto di lavoro autonomo stipulato tra le parti. È necessario allegare e provare fatti specifici che dimostrino, al di là della qualificazione formale, che il rapporto si è svolto concretamente secondo le modalità tipiche del lavoro dipendente.

La Corte ha specificato che l’allegazione della non veridicità del contratto d’opera non è di per sé rilevante se non è accompagnata dalla prova positiva degli elementi che attestano il vincolo di subordinazione. Il lavoratore deve corroborare la sua richiesta con elementi significativi che ne attestino le caratteristiche.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento consolidato: la qualificazione formale data dalle parti al loro rapporto (‘nomen iuris’) non è vincolante, ma chi intende far valere una diversa realtà giuridica deve assolverne il relativo onere probatorio. In sintesi, per dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato mascherato da una collaborazione autonoma, il lavoratore non può limitarsi a una contestazione generica del contratto, ma deve fornire al giudice prove concrete e specifiche dell’effettivo assoggettamento al potere direttivo e organizzativo dell’azienda.

Per far riconoscere un rapporto di lavoro subordinato, è sufficiente dimostrare che il contratto formale (es. contratto d’opera) è fittizio?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, oltre a contestare la veridicità del contratto, il lavoratore deve fornire la prova positiva degli elementi concreti che caratterizzano il vincolo di subordinazione.

Chi ha l’onere di provare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato quando esiste un contratto di lavoro autonomo?
L’onere di allegazione e prova incombe interamente sul lavoratore che invoca il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di una causa per decidere se un rapporto era subordinato?
No, di regola la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti. Il suo giudizio è limitato alla verifica della corretta applicazione dei criteri di legge usati per qualificare il rapporto, mentre la valutazione delle prove e delle circostanze di fatto è riservata al giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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