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Lavoro subordinato giornalistico: la Cassazione decide

Una società editoriale ha contestato l’obbligo di versare i contributi previdenziali per alcuni collaboratori, negandone la natura di lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La sentenza ribadisce i limiti del giudizio di legittimità, che non può riesaminare i fatti, e chiarisce l’autonomia del regime sanzionatorio degli enti previdenziali privatizzati, come quello dei giornalisti, rispetto alla normativa generale.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Subordinato Giornalistico: Obblighi Contributivi e Autonomia degli Enti Previdenziali

La corretta qualificazione di un rapporto di lavoro è cruciale per determinare gli obblighi contributivi del datore di lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del lavoro subordinato giornalistico, chiarendo i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione dei fatti e l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati nell’applicazione delle sanzioni. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione per le aziende editoriali e i professionisti del settore.

I Fatti del Caso

Una nota società editoriale si era opposta a un decreto ingiuntivo emesso da un ente previdenziale per i giornalisti. L’ente richiedeva il pagamento di una somma cospicua a titolo di contributi assicurativi e sanzioni civili per il periodo 2001-2006, relativi alle posizioni di sette collaboratori. La società sosteneva che tali rapporti non fossero qualificabili come lavoro subordinato.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’ente previdenziale per sei dei sette lavoratori, ritenendo che l’attività svolta avesse natura giornalistica e carattere subordinato, condannando la società al pagamento dei contributi. La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su sette motivi.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Lavoro Subordinato Giornalistico

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna al pagamento. Le motivazioni della Corte si concentrano su due aspetti fondamentali: l’impossibilità di rivalutare i fatti in sede di legittimità e l’autonomia del regime sanzionatorio degli enti previdenziali privatizzati.

L’Inammissibilità delle Censure sulla Qualificazione del Rapporto

I primi cinque motivi del ricorso miravano a contestare la valutazione delle prove operata dai giudici di merito, che aveva portato a qualificare il rapporto come lavoro subordinato giornalistico. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. La Corte non può riesaminare le prove o scegliere un’interpretazione dei fatti diversa da quella, motivata e non implausibile, del giudice d’appello.
I ricorrenti, mescolando censure per violazione di legge e per omesso esame di un fatto decisivo, cercavano di ottenere una nuova valutazione del materiale istruttorio. La Corte ha chiarito che tale approccio è inammissibile, poiché il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non di sostituirsi al giudice di merito nell’accertamento dei fatti.

Autonomia Sanzionatoria dell’Ente Previdenziale

Un altro motivo di ricorso contestava il regime sanzionatorio applicato dall’ente, sostenendo che dovesse trovare applicazione la disciplina generale prevista dalla Legge n. 388/2000. Anche su questo punto, la Cassazione ha respinto la tesi della società.

La Corte ha ricordato che gli enti previdenziali privatizzati, come quello dei giornalisti, godono di autonomia gestionale e hanno il potere di adottare proprie deliberazioni in materia di sanzioni, soggette ad approvazione ministeriale. Tale autonomia è finalizzata a garantire l’equilibrio di bilancio. Pertanto, la disciplina sanzionatoria generale non si applica automaticamente a questi enti, che devono coordinarsi con essa ma possono prevedere regimi specifici. Nel caso concreto, la società non aveva specificamente contestato le delibere dell’ente su cui si basava il calcolo delle sanzioni, rendendo il motivo di ricorso generico e quindi inammissibile.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte risiedono nella netta distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità. La qualificazione di un rapporto come lavoro subordinato giornalistico dipende da un’analisi fattuale (modalità di esecuzione della prestazione, continuità, inserimento nell’organizzazione aziendale) che è di esclusiva competenza dei giudici di merito. La Cassazione interviene solo se la motivazione della sentenza impugnata è inesistente, apparente, perplessa o contraddittoria, vizi che non sono stati riscontrati nel caso di specie. Allo stesso modo, la Corte ha sottolineato che l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati è un principio cardine del sistema, necessario per la loro sostenibilità finanziaria, che giustifica l’esistenza di regimi sanzionatori distinti da quello generale dell’INPS.

Le conclusioni

La decisione consolida due importanti principi. In primo luogo, le aziende che intendono contestare la natura subordinata di un rapporto di collaborazione devono fondare la loro difesa su prove solide fin dai primi gradi di giudizio, poiché in Cassazione non sarà possibile ottenere una nuova valutazione del merito. In secondo luogo, viene confermata la piena autonomia degli enti previdenziali privatizzati nel definire i propri regimi sanzionatori. Le imprese devono quindi fare riferimento non solo alla normativa statale generale, ma anche e soprattutto ai regolamenti specifici dell’ente di previdenza di categoria per calcolare correttamente contributi e sanzioni.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove per stabilire se un rapporto di lavoro è subordinato?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o i fatti del caso. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. La valutazione delle prove per qualificare un rapporto di lavoro è di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado.

Le sanzioni per omesso versamento dei contributi previste per il sistema generale si applicano automaticamente agli enti previdenziali privatizzati come quello dei giornalisti?
No. La Corte ha ribadito che gli enti previdenziali privatizzati (D.Lgs. 509/1994) godono di autonomia gestionale e possono adottare proprie delibere in materia di sanzioni per assicurare l’equilibrio del proprio bilancio. Tale regime non è automaticamente sostituito da quello generale previsto per l’INPS (es. L. 388/2000), ma deve solo essere con esso coordinato.

Quali sono i requisiti per contestare in Cassazione l’omesso esame di un’eccezione, come quella di compensazione?
Per essere ammissibile, il motivo di ricorso deve essere correttamente formulato. Nel caso di un’eccezione non esaminata, si dovrebbe denunciare un’omessa pronuncia (violazione dell’art. 112 c.p.c.) e non un omesso esame di un fatto decisivo. Inoltre, il ricorrente ha l’onere di riprodurre integralmente nel ricorso il contenuto dell’atto in cui l’eccezione era stata formulata e di indicarne la collocazione nel fascicolo processuale, per permettere alla Corte di verificarne la decisività e la ritualità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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