Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17684 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17684 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29853-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
I.N.P.G.I. -ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI “NOME“, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3150/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/06/2020 R.G.N. 2590/2014; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 29853/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
RILEVATO CHE
1. Con sentenza in data 1 giugno 2020, la Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, ha respinto gli appelli, principale e incidentale, proposti, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE – quale incorporante RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – limitatamente alla posizione della lavoratrice COGNOME – nei confronti della sentenza emessa dal Tribunale di Roma a conclusione del giudizio di opposizione instaurato dalla società avverso il decreto con il quale le era stato ingiunto il pagamento, in favore dell’Istituto, di euro 269.396,00, oltre accessori, a titolo di contributi assicurativi e sanzioni civili per il periodo dal 2001 al 2006, in relazione alle posizioni di sette lavoratori e che, a parziale modifica del decreto monitorio, la aveva condannata al pagamento delle somme ingiunte relativamente alla posizione di sei di essi.
In particolare, la Corte, condividendo l’ iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto di natura giornalistica l’attività svolta, sulla base della giurisprudenza di legittimità, e il carattere di lavoro subordinato della stessa, alla luce delle emergenze probatorie acquisite al giudizio.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso RAGIONE_SOCIALE quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE affidandolo a sette motivi.
Resiste, con controricorso, l’I.N.P.G.I., Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani ‘NOME COGNOME‘.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., adducendosi la erronea valutazione delle risultanze istruttorie sulla base della ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica.
1.1. Con il secondo motivo di ricorso si allega l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, affermandosi l’insussistenza dei requisiti per qualificare come giornalistica l’attività svolta dai sei lavoratori considerati dalle ingiunzioni.
1.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., allegandosi l’insussistenza dei requisiti per qualificare come ‘subordinata’ l’attività lavorativa svolta.
1.3. Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quanto alla ritenuta irrilevanza della volontà delle parti in ordine alla qualificazione dei rapporti di lavoro considerati.
1.4. Con il quinto motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., dell’art. 2 CCNL di categoria e 1362 e 1363 cod. civ., richiamandosi, altresì, l’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., sulla insussistenza dei requisiti per l’attribuzione della qualifica di ‘collaboratore fisso’.
1.5. Con il sesto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 con riferimento ai numeri 3 e 4 del comma 1 dell’art. 360, con riguardo ai conteggi ed al regime sanzionatorio applicato dall’I.N.P.G.I., sulla base della giurisprudenza di legittimità.
1.6. Con il settimo motivo si denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quanto all’eccezione di compensazione sollevata in sede di opposizione e ribadita in appello.
I primi cinque motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, sono inammissibili.
2.Va preliminarmente rilevato come questa Corte abbia chiarito (cfr., sul punto, Cass. n. 3397 del 2024) che è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.
2.1. Occorre, poi, rilevare, quanto alla dedotta violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018).
Va, poi, precisato, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).
2.2. Nella specie, non solo parte ricorrente non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico, ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’ iter motivazionale, concernenti la a suo avviso inadeguata valutazione degli elementi istruttori reputati come a sostegno del carattere subordinato dell’attività lavorativa svolta dai sei lavoratori.
Invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’ ” omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun
modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass.n. 2268 del 2022).
In particolare, ha rilevato questa Corte (V. Cass. n. 8584 del 2022) che l’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non è inquadrabile un documento (nella specie si trattava della consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice) risolvendosi la critica che ad esso nell’esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio.
Deve concludersi, nella specie, che anche tutte le censure formulate in termini di violazione di legge (2094 cod. civ.) o di norme di contratto, veicolano, in realtà, istanze di rivisitazioni fattuali della vicenda che devono reputarsi sottratte al sindacato di legittimità.
Esse mirano, nella sostanza, ad ottenere che la Corte interpreti diversamente il materiale istruttorio che ha condotto il giudice di secondo grado, il quale ha provveduto con motivazione non implausibile, a ritenere l’espletamento di un’attività lavorativa giornalistica a carattere subordinato.
3.1. Parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
4. Il sesto motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
Parte ricorrente censura la decisione impugnata deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 con riferimento ai numeri 3 e 4 del comma 1 dell’art. 360, con riguardo ai conteggi ed al regime sanzionatorio applicato dall’I.N.P.G.I., sulla base della giurisprudenza di legittimità.
Va rilevato come questa Corte, fin da Cass. n. 11023 del 2006, abbia consolidato il principio secondo cui la disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 116, l. n. 388/2000, non si applica automaticamente all’INPGI, dal momento che quest’ultimo, al fine di assicurare l’equilibrio del proprio bilancio, ha il potere di adottare al riguardo autonome deliberazioni soggette ad approvazione ministeriale, fermo semplicemente l’obbligo, a norma dell’art. 76, l. n. 388/2000, cit., di coordinare l’esercizio di tale potere con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, e ne ha desunto che il nuovo regime sanzionatorio non opera nei riguardi delle obbligazioni contributive riferite a periodi antecedenti al recepimento della disciplina (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 838 del 2016 e 28381 del 2022). A sostegno di tale conclusione (e a marcare il dissenso dall’opposto assunto fatto precedentemente proprio da Cass. n. 6680 del 2002) si è osservato che il potere degli enti previdenziali privatizzati di adottare deliberazioni in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive, da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 509/1994 (come adess o previsto dall’art. 4, comma 6 -bis, d.l. n. 79/1997, conv. con l. n. 140/1997), trova bensì un limite nella
necessità espressa dall’art. 76, comma 4, l. n. 388/2000, secondo cui anche tali forme previdenziali devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive, ma il contenuto di ‘coordinamento’ di tale necessità costituisce d’altra parte sicuro indice della negazione d’una diretta e necessaria efficacia delle norme di previdenza sociale nell’ordinamento degli enti privatizzati e, al contempo, dell’affermazione d’un autonomo potere di adeguare le norme stesse alle interne esigenze di bilancio nonché della possibilità che tale potere sia esercitato in modo non integralmente conforme alle norme della previdenza sociale obbligatoria (così Cass. n. 11023 del 2006, cit., testualmente ripresa da Cass. n. 12208 del 2011, nonché da Cass. n. 24923 del 2023): sostenere il contrario, infatti, equivarrebbe a dimenticare che, così come i contributi previdenziali hanno la funzione di fornire ai soggetti gestori delle forme di previdenza privatizzate la provvista necessaria al conseguimento delle loro finalità di pubblico interesse, le sanzioni civili previste per l’inadempimento o il ritardo (che, vale la pena di ricordarlo, operano sul piano del rapporto obbligatorio e non costituiscono invece espressione di potestà amministrativa sanzionatoria) assolvono alla funzione di predeterminare in via automatica l’importo per il risarcimento del danno per il ritardo o l’inadempimento, in relazione all’incidenza presuntiva di tali fatti sul patrimonio dell’ente creditore (così, tra le più recenti, Cass. n. 24923 cit. Cass. n. 16262 del 2018), di talché non si potrebbe estendere agli enti privatizzati di cui al d.lgs. n. 509/1994 una misura come la riduzione delle sanzioni civili di cui all’art. 116, comma 8, l. n. 388/2000, senza con ciò stesso incidere negativamente sulla stessa possibilità di reperire
la provvista utile all’espletamento delle funzioni pubbliche ad essi commesse.
Se dunque può convenirsi nell’assunto secondo cui il processo di trasformazione degli enti di previdenza di cui al d.lgs. n. 509/1994 ha lasciato inalterato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale da essi svolta, giustificando l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione ( V. Corte cost. nn. 248 del 1997 e 15 del 1999), non altrettanto può dirsi circa la conseguenza che si intende trarne, ossia l’automatica riferibilità della disposizione di cui all’art. 116, l. n. 388/2000, all’ord inamento dell’ente privatizzato: al contrario, la previsione dell’art. 76, l. n. 388/2000, cit., circa la necessità di un ‘coordinamento’ tra quest’ultimo e il sistema dell’assicurazione generale obbligatoria testimonia piuttosto, come detto, d’un autonomo potere di adeguare le norme stesse alle interne esigenze dell’ente privatizzato e, con ciò, della possibilità che esso sia esercitato in modo non integralmente conforme per tempi e modi alle norme della previdenza sociale
Anche più di recente, questa Corte, con ordinanza n. 34703 del 2024, ha respinto identico motivo di ricorso sollevato proprio dalla RCS, chiarendo che i giudici di appello si erano conformati all’insegnamento, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui nell’ipotesi di omesso o ritardato pagamento di contributi previdenziali all’INPGI, va disconosciuta l’applicazione automatica della disciplina sanzionatoria invocata.
Con specifico riguardo alla questione prospettata occorre evidenziare come parte ricorrente, in dispregio dell’onere all’uopo sulla medesima gravante non abbia allegato le delibere cui fa riferimento mentre il recepimento da parte dell’istituto di una disc iplina analoga a quella
recata dall’art. 116 L. n. 388/2000 decorre, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, dal 9 febbraio 2005, in base alla Delibera n. 23 dell’8 marzo 2006.
La RCS non ha specificamente impugnato tale affermazione, limitandosi ad affermare una diversa decorrenza senza in alcun modo esplicitare il contenuto delle delibere invocate; soltanto da quella data, infatti, poteva procedersi all’applicazione del nuovo c riterio atteso che gli effetti dell’accordo siglato dalle parti sociali in data 5 febbraio 2004, in virtù del potere di autonomia gestionale dell’INPGI, erano subordinati alla deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’Istituto il cui iter ministe riale si è concluso solo in data 8 febbraio 2005, condizionando l’applicazione del nuovo regime sanzionatorio disciplinato dalla legge 388alla decorrenza dalla data del provvedimento, con esclusione di date precedenti.
Va rilevato, al riguardo, che l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass. 342/2021).
4.2. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile.
Parte ricorrente si duole dell’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio quanto all’eccezione di compensazione che afferma di aver sollevato in sede di opposizione e asserisce di aver ribadito in appello. In realtà parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., ovvero denunciare di nullità la sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. In ogni caso, non appare possibile addirittura esaminare la censura, in quanto la stessa è diretta a dedurre l’omesso esame di un fatto decisivo, nella totale assenza di qualsivoglia produzione dell’atto introduttivo o, almeno, dell’indicazione della collocazione del medesimo e della eccezione in esso asseritamente formulata.
Va richiamata, al riguardo, la sopracitata giurisprudenza di legittimità ( SU n. 34469 del 27/12/2019) secondo cui, non solo sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c. p. c., le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità.
Parte ricorrente non indica in alcun modo come fosse stata formulata l’originaria domanda né, tampoco, si premura di allegarne stralci onde
appare impossibile a questa Corte stabilirne il contenuto allo scopo di poter valutare, senza incorrere in una rivisitazione del merito, inammissibile in sede di legittimità, il contenuto della stessa e la dedotta omissione da parte della Corte d’appello con le conseguenze in termini di inammissibilità dell’impugnativa ad essa riconnesse .
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 10.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 7 maggio 2025.
La Presidente
NOME COGNOME