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Lavoro subordinato giornalisti: la prova decisiva

Un istituto previdenziale per giornalisti ha impugnato in Cassazione la decisione dei giudici di merito che escludeva la natura subordinata del rapporto di lavoro di due corrispondenti. L’istituto sosteneva che i giudici avessero errato nella valutazione delle prove. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la valutazione delle prove testimoniali sulla natura del lavoro subordinato giornalisti è di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado e non può essere riesaminata in sede di legittimità, specialmente in presenza di una doppia decisione conforme.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro subordinato giornalisti: la Cassazione fissa i limiti del proprio giudizio

La distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è da sempre un tema centrale nel diritto del lavoro, specialmente in settori come quello giornalistico, dove le modalità di prestazione sono fluide. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la valutazione delle prove è un’attività riservata ai giudici di merito. L’analisi del caso in questione offre spunti cruciali sul lavoro subordinato giornalisti e sui limiti del sindacato di legittimità.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una società editoriale su richiesta dell’ente previdenziale dei giornalisti. L’ente contestava il mancato versamento dei contributi per due giornalisti, ritenuti lavoratori subordinati con la qualifica di ‘corrispondente’.

La società si è opposta al decreto, ottenendone la revoca sia in primo grado che in appello. Entrambi i giudici di merito hanno concluso che i rapporti di lavoro in questione non fossero di natura subordinata, ma autonoma. L’ente previdenziale, non condividendo tale conclusione, ha proposto ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso dell’Ente Previdenziale

L’istituto ricorrente ha basato il proprio ricorso su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione e violazione di legge: Si lamentava una presunta contraddizione logica nella sentenza d’appello e un’errata valutazione delle prove. Secondo l’ente, la Corte territoriale avrebbe valorizzato elementi non decisivi per escludere la subordinazione, ignorando il contrasto tra le dichiarazioni rese dai collaboratori in sede ispettiva e quelle fornite durante la testimonianza in tribunale.
2. Violazione del contratto collettivo: L’ente sosteneva che la Corte d’Appello non avesse correttamente applicato l’art. 12 del CCNL di settore, il quale definisce la prestazione del corrispondente come caratterizzata dalla messa a disposizione delle proprie energie lavorative, anche in modo discontinuo e con remunerazione legata alle notizie pubblicate.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sul lavoro subordinato giornalisti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, esaminando congiuntamente i due motivi. Gli Ermellini hanno chiarito che, sebbene l’ente previdenziale avesse formalmente denunciato violazioni di legge, le sue censure miravano in realtà a ottenere un nuovo e diverso apprezzamento dei fatti e delle prove, in particolare delle deposizioni testimoniali.

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: la valutazione delle risultanze probatorie, come l’attendibilità dei testimoni e la coerenza delle loro dichiarazioni, è un’attività che rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Questo giudizio non può essere sindacato in sede di legittimità, a meno che non presenti vizi logici così gravi da renderlo incomprensibile, cosa che nel caso di specie non è stata ravvisata.

Inoltre, la Corte ha sottolineato l’applicazione del principio della cosiddetta “doppia conforme”. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano raggiunto la medesima conclusione escludendo la subordinazione, il ricorso in Cassazione per un riesame dei fatti era precluso ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. Le decisioni dei giudici di merito si basavano sulla circostanza, emersa dalle testimonianze, che i giornalisti non avessero alcun obbligo di mettersi a disposizione della società editrice, elemento ritenuto decisivo per escludere il vincolo di subordinazione.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione non entra nel merito della qualificazione del rapporto di lavoro, ma traccia una linea netta sulle competenze dei diversi gradi di giudizio. La decisione finale sulla natura del lavoro subordinato giornalisti dipende dall’analisi fattuale delle prove raccolte, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. Il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di merito nel quale ridiscutere l’esito della valutazione delle prove. Per le aziende e i professionisti, ciò significa che l’esito di una controversia sulla natura di un rapporto di lavoro dipende in modo cruciale dalla solidità delle prove presentate e valutate nelle prime fasi del giudizio.

Qual è l’elemento chiave per definire il lavoro subordinato nel settore giornalistico secondo la giurisprudenza citata?
L’elemento caratterizzante è lo stabile inserimento della prestazione del giornalista nell’organizzazione aziendale, attraverso cui il datore di lavoro soddisfa in modo stabile una propria esigenza informativa, richiedendo la disponibilità del lavoratore anche negli intervalli tra una prestazione e l’altra.

La Corte di Cassazione può riesaminare le testimonianze per decidere se un rapporto di lavoro è subordinato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione delle prove testimoniali e il giudizio sull’attendibilità dei testi sono apprezzamenti di fatto riservati esclusivamente al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non possono essere oggetto di un nuovo esame in sede di legittimità.

Cosa accade se sia il Tribunale che la Corte d’Appello giungono alla stessa conclusione sui fatti di una causa?
Si verifica la cosiddetta “doppia conforme”. In questo caso, la legge limita fortemente la possibilità di presentare ricorso in Cassazione per motivi legati a una presunta errata valutazione dei fatti. Il ricorso diventa, di fatto, inammissibile su tali punti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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