Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20977 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20977 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23579-2020 proposto da:
COGNOME NOME in proprio e quale Presidente dell’RAGIONE_SOCIALE, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
Oggetto
Opposizione ordinanza ingiunzione
R.G.N.23579/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 29/05/2024
CC
avverso la sentenza n. 946/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/01/2020 R.G.N. 701/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Bologna, con la sentenza n. 946 del 2019, ha confermato la pronuncia del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE depositata il 4.5.2018, con la quale era stata respinta l’opposizione proposta da NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, avverso l’ordinanza n 6569/2017 con la quale veniva ingiunto dalla Direzione RAGIONE_SOCIALE il pagamento di euro 100.271,10 quale sanzione amministrativa per la violazione di norme in materia di lavoro relativamente a quattro dipendenti e avverso l’ordinanza n 6568 con la quale veniva ordinato il pagamento di euro 357,40.
La Corte territoriale ha rilevato che: a) la data di inizio dell’accertamento da parte dell’ITL doveva considerarsi quella del 25.1.2011, allorquando erano stati richiesti alcuni documenti al COGNOME (non rivestendo rilevanza il verbale della Guardia di Finanza del 3.2.2010 finalizzato all’accertamento di violazioni alle disposizioni di natura fiscale e tributaria poi trasmesso, per quanto di competenza all’ITL di RAGIONE_SOCIALE) di talché il verbale unico di accertamento e contestazione n. 29 dell’11.4.2011 era d a considerarsi tempestivo in quanto emesso nel termine di legge di novanta giorni di cui all’art. 14 della legge n. 689/81; b) correttamente in primo grado, all’esito delle risultanze processuali, i rapporti di lavoro dei dipendenti oggetto di accertamento erano stati ritenuti di natura subordinata; c) irrilevante appariva, ai fini che interessavano, la qualificazione della società quale aderente al RAGIONE_SOCIALE come associazione RAGIONE_SOCIALE; d) l’esistenza di un precedente accertamento negativo della DTL, nel 2008, non appariva significativo né era rilevante; e) il rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale dell’ITL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, da parte del Tribunale, doveva ritenersi implicito nell’esame del merito della
vicenda e, in ogni caso, infondato; f) l’art. 36 bis co. 7 legge n. 218/2006 atteneva solo alle sanzioni civili e non a quelle amministrative per cui non era applicabile al caso in esame; g) la quantificazione della sanzione amministrativa era corretta in quanto determinata nei limiti del minimo e del massimo previsti dalla legge, potendo l’applicazione di una sanzione inferiore essere effettuata solo in fase di verbalizzazione amministrativa allo scopo di favorire una rapida e bonaria definizione del contenzioso; h) quanto alla mancata determinazione delle giornate di lavoro in nero e al relativo computo della sanzione ex art. 36 bis della legge n. 248/2006, andava sottolineato che esso prevedeva una maggiorazione in misura fissa di euro 150,00, senza alcuna discrezionalità da parte degli organi amministrativi o da parte del giudice.
Avverso la decisione di secondo grado NOME NOME, in proprio e quale Presidente dell’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi, illustrati da memoria cui ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 co. 1 legge n. 689/1981, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte di appello errato nel conteggiare il termine di 90 giorni stabilito dalla legge per elevare la contestazione e, in particolare, nell’identificare il dies a quo per la decorrenza del predetto termine.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67 co. 1 lett. m) del TUIR, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale ritenuto che la disciplina di cui alla predetta disposizione riguardasse solo i profili previdenziali e contributivi e, dunque, non avesse alcuna influenza nella qualificazione della disciplina da applicare al caso in esame
mentre dall’assoggettamento al regime di cui agli artt. 67 -69 TUIR conseguiva l’assenza di obblighi previdenziali e degli adempi menti tipici dei rapporti di lavoro e, pertanto, il venir meno di tutto il presupposto impositivo e sanzionatorio.
Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2094 cc, in relazione all’art. 360 co. n. 3 cpc, per non avere la Corte territoriale valutato, nei rapporti di lavoro di cui è processo, gli elementi principali che caratterizzavano la subordinazione.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione del prudente apprezzamento della prova da parte della Corte di appello, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non avere la Corte di appello operato una corretta valutazione delle prove considerando e comparando le diverse possibili versioni dei fatti, per poi stabilire quale tra queste versioni risultasse logicamente confermata da un grado più elevato di attendibilità.
Con il quinto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 36 bis comma 7 bis legge n. 248/2006 per essere stati ritenuti gli illeciti amministrativi, relativamente alle contestazioni riguardanti i lavoratori COGNOME e COGNOME, illeciti permanenti quando, invece, le loro prestazioni non erano state continuative bensì saltuarie nel tempo.
Con il sesto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 36 bis co. 7 legge n. 248/2006 e succ. modifiche per non avere valutato la Corte territoriale che i soci COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME non erano lavoratori in nero ma risultavano regolarizzati in relazione alla diversa forma contrattuale ritenuta congrua tra le parti, non essendovi stato alcun occultamento dei rapporti da parte dei ricorrenti.
Con il settimo motivo si rappresenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 3 co. 3 legge n. 7 del 2002 e succ. modifiche, per non avere la Corte di appello censurato la quantificazione delle sanzioni applicate dall’ITL alla luce
dell’applicazione del minimo edittale e del numero delle giornate effettivamente lavorate.
Con l’ottavo motivo si critica la violazione del prudente apprezzamento della prova da parte della Corte di appello, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, in relazione alle precedenti ispezioni condotte dall’ITL che avevano accertato la regolarità dei ra pporti instaurati dal RAGIONE_SOCIALE con i soci, e ciò anche per gli anni 2006 e 2007: anni che coincidevano con gli anni oggetto della ispezione contestata nel presente procedimento e della applicazione di sanzioni amministrative per lavoro nero di soci già oggetto di verifica e di verbale di regolarità.
Il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
E’ infondato perché la statuizione della Corte territoriale è in linea con i precedenti affermati in sede di legittimità (Cass. n. 8326/2018 e n. 16642/2005) secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, il giudice dell’opposizione, dinanzi al quale sia stata eccepita la tardività della notificazione degli estremi della violazione, nell’individuare la data dell’esito del procedimento di accertamento di più violazioni connesse – data dalla quale decorre ex art. 14, comma 2, della l. n. 689 del 1981 il termine di novanta o trecentosessanta giorni per la relativa contestazione – deve valutare il complesso degli accertamenti compiuti dall’Amministrazione procedente e la congruità del tempo a tal fine impiegato avuto riguardo alla loro complessità, anche in vista dell’emissione di un’unica ordinanza ingiunzione per dette violazioni senza, tuttavia, potersi sostituire all’Amministrazione nella valutazione dell’opportunità di atti istruttori collegati ad altri e posti in essere senza apprezzabile intervallo temporale.
E’, invece, inammissibile lì dove si contesta un accertamento di fatto compiuto dai giudici di seconde cure, con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, nuova formulazione ratione temporis applicabile, i quali hanno ritenuto che il verbale della Guardia di Finanza del 3.2.2010 fosse finalizzato esclusivamente ad accertare elusioni alla normativa fiscale e
tributaria; con la conseguenza che, trasmesso alla ITL di RAGIONE_SOCIALE per le valutazioni di competenza dell’Istituto, l’organo ispettivo aveva richiesto dei documenti al COGNOME in data 25.1.2011 e aveva poi redatto il verbale unico di accertamento e contestazione n. 29 d ell’11.4.2011 nei termini previsti dall’art. 14 legge n. 689/1981: in ossequio al principio in virtù del quale l’accertamento non coincide con la generica ed approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare, secondo le modalità previste dall’art. 13, l’esistenza di tutti gli elementi dell’infrazione, previa valutazione dei dati acquisiti afferenti alle condotte da contestare.
Il secondo motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che l’art. 67 co. 1 lett. m) del TUIR riguarda la riconducibilità o meno degli emolumenti versati ai soci di una associazione di tipo sportivodilettantistico, riconosciuta da parte del RAGIONE_SOCIALE, al regime fiscale di non imponibilità (Cass. n. 41397/2021; Cass. n. 23789/2016). Non invece la materia lavoristica riguardante le problematiche circa la qualificazione sostanziale, in luogo di quella formale, della natura dei rapporti di lavoro con alcuni soggetti che prestavano la loro attività presso l’associazione stessa: accertamento, questo, che opera su di un piano logico-giuridico antecedente a quello degli obblighi fiscali e tributari.
Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e l’ottavo motivo, da scrutinare congiuntamente per la loro interferenza, sono anch ‘ essi non meritevoli di accoglimento.
Con i mezzi su prospettati, parte ricorrente intende ottenere, inammissibilmente, una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie. Ora, come è noto, i motivi del ricorso per cassazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta o che siano attinenti al difforme apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito, spettando solo ad esso
individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass., 6 aprile 2011, n. 7921; Cass., 18 marzo 2011, n. 6288).
Nel caso di specie la motivazione della sentenza è puntale ed insindacabile, avendo i giudici del merito proceduto ad una completa valutazione delle dichiarazioni rese dai testi, sia in fase di accertamento amministrativo che in sede giurisdizionale, condividendo le conclusioni sulla natura subordinata delle prestazioni lavorative svolte dai soci COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME che non potevano essere assolutamente ricondotte nell’ambito dell’esercizio diretto dell’attività sportivo –RAGIONE_SOCIALE.
La Corte felsinea ha anche dato adeguata spiegazione sul perché un precedente accertamento negativo della DTL nel 2008 non fosse significativo in quanto, nel caso oggetto del presente giudizio, erano emersi fatti nuovi, rispetto alle precedenti valutazioni, come la denuncia di uno dei lavoratori alla DTL e le segnalazioni della Guardia di Finanza su presunti imbrogli nella ripartizione degli utili del circolo a mezzo di rimborsi spese successivamente restituiti al circolo stesso: anche in questo caso si tratta di accertamenti di merito, adeguatamente motivati, in un contesto, peraltro di una cd. ‘doppia conforme’ che preclude ogni censura sullo stesso esame, effettuato in modo conforme dai giudici di primo e secondo grado, ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc.
Infine, anche il settimo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Le statuizioni della Corte territoriale resistono alle censure in punto di diritto perché effettivamente la dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 36 bis co. 7 della legge n. 248/2006 attiene solo alle sanzioni civili e non anche a quelle amministrative (Cass. n. 3208/2018; Cass. n. 26489/2018).
Il resto delle doglianze (quantificazione sanzione, mancata prova sulla determinazione delle giornate di lavoro a nero) riguarda anche in questo caso valutazioni di merito, congruamente motivate, della Corte territoriale che non possono essere sindacate in questa sede.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 maggio 2024