Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13657 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13657 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13856/2024 R.G. proposto da: MINISTERO DELLA CULTURA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4441/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20.12.2023, R.G.N. 1842/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/2/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.
la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, ha accolto la domanda con cui NOME COGNOME
vigilante presso gli scavi archeologici di Stabia, Parco Archeologico di Pompei, aveva chiesto il pagamento delle ore di lavoro straordinario svolte fino al 16 giugno 2021 per un corrispettivo di euro 6.494,40, oltre accessori;
la Corte territoriale escludeva che nel caso di specie emergesse una fattispecie di orario c.d. multiperiodale, ovverosia tale, ai sensi dell’art. 22 del CCNL di comparto, da comportare maggiori ore di lavoro in certi periodi e meno ore, a compensazione, in altri periodi, e ciò in quanto nel lungo lasso temporale oggetto di causa si erano sempre e solo superate le ore contrattuali;
essa riteneva quindi che l’inserimento nei turni, obbligatoriamente da seguire, non consentisse di addurre la mancanza di autorizzazione allo svolgimento dello straordinario e che la stessa fosse invece da aversi per implicitamente sussistente, sicché se anche fossero stati da ravvisare vizi nel suo rilascio, le prestazioni dovevano essere remunerate ai sensi dell’art. 2126 c.c.
2.
il Ministero della Cultura ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti da controricorso del lavoratore;
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) e vizio di ultrapetizione per avere la Corte territoriale posto a base della decisione l’applicazione dell’art. 2126 c.c., presupposto giuridico su cui non aveva fatto leva il ricorrente né in primo grado, né in appello;
il motivo è infondato, in quanto è consolidato presso questa S.C., l’assunto per cui la pretesa di condanna del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2126 c.c., al pagamento delle retribuzioni dovute per lo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato, anche
con la P.A., allorquando la pretesa originariamente esercitata di riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con tale datore di lavoro sia esclusa per ragioni di nullità o per divieti imposti da norme imperative, non costituisce domanda nuova e può dunque essere prospettata per la prima volta in grado di appello o anche posta d’ufficio a fondamento della decisione (Cass. 8 ottobre 2019, n. 25169; Cass. 10 maggio 2024, n. 12868);
qui il tema viene in rilievo sotto il particolare profilo della validità dell’autorizzazione allo straordinario, che -come si dirà -non rileva al fine di impedire la remunerazione, anche ai sensi dell’art. 2126 c.c., in presenza di autorizzazione anche solo implicita ed ove la prestazione sia stata comunque resa e dunque valgono, mutatis mutandis , considerazioni del tutto analoghe a quelle di cui al principio sopra richiamato;
2.
il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e in particolare dell’art. 22 del CCNL di comparto;
il motivo richiama la disciplina della banca ore ed assume che la fruizione dei benefici conseguenti allo svolgimento del lavoro straordinario (retribuzione o compensazione con riposi) annotati secondo tale sistema, in tanto potrebbe avvenire in quanto lo straordinario fosse stato autorizzato in modo specifico ed espresso, non potendosi dedurre implicitamente l’autorizzazione dall’emissione di ordini di servizio;
il motivo è infondato;
presso questa SRAGIONE_SOCIALE è infatti maturato un orientamento, qui condiviso ed al quale va data continuità, contrario rispetto a quanto sostenuto nel motivo;
Cass. 27 luglio 2022, n. 23506, in ambito di pubblico impiego privatizzato, ha infatti precisato che l’autorizzazione al lavoro straordinario esprime il concetto per cui « non è remunerabile il
prolungamento della prestazione di lavoro frutto di libera determinazione del singolo dipendente e non strettamente collegato a esigenze di servizio preventivamente vagliate, sul piano della necessità ed utilità per la P.A., dal dirigente responsabile », precisandosi altresì che il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta invece al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo;
il concetto è stato ulteriormente ribadito da Cass. 23 giugno 2023, n. 18063, nel senso che per autorizzazione si intende il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente o prohibente domino , ma con il consenso del medesimo, che può anche essere implicito e che, una volta esistente, integra gli estremi per il necessario pagamento del lavoro straordinario;
3.
il terzo motivo assume la violazione eo falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.), sul presupposto che erroneamente non
la Corte territoriale abbia valorizzato una presunta contestazione dei fatti ad opera del Ministero;
il Ministero trascrive in proposito le proprie difese di primo grado, in cui era stato evidenziato come il ricorrente non avesse mai superato il numero di ore annue che egli avrebbe dovuto svolgere secondo il CCNL e come quello osservato fosse orario multiperiodale;
nelle difese così trascritte si era altresì sostenuto che fosse infondato l’assunto della controparte secondo cui un tale orario non prevedeva un aumento di ore giornaliere stabile nel tempo, occorrendo avere riguardo all’organizzazione del lavoro propria di ciascuna P.A. ed alle flessibilità assicurate da tale forma di impostazione del servizio sul piano temporale;
il motivo non può essere accolto;
le difese riportate nel motivo sono volte a sostenere che non vi fosse stato il superamento annuo del monte ore previsto « come sarà documentalmente comprovato » e ad affermare che l’orario era multiperiodale;
la Corte d’Appello ha però ritenuto che fosse l’orario seguito, evidentemente secondo l’esposizione del ricorrente, a non essere contestato e da tale dato ha desunto che, essendovi stato il superamento in assoluto per un lungo lasso temporale delle ore contrattuali, non si potesse parlare di orario multiperiodale, perché mancava l’alternanza tra ore in eccesso ed ore in difetto che è propria di tale modulo;
la mancata contestazione del lavoro svolto, su cui il motivo non entra in specifico, trascrivendo passaggi in cui il Ministero si riservava la prova del mancato superamento dell’orario annuo, traduce quanto addotto con il motivo di impugnazione in una difesa di merito sulla valutazione dei dati istruttori al fine di stabilire se era stata integrata o meno la fattispecie dell’orario multiperiodale, che la Corte, secondo le ore di lavoro in sé non contestate, ha concluso diversamente, perché quanto emerso è stato da essa ritenuto tale da far viceversa emergere un aumento giornaliero stabile nel tempo, senza che nel lungo lasso temporale valutato si presentassero corrispondenti fasi di riduzione lavorativa, con assetto ritenuto incompatibile con quella speciale forma di organizzazione dei tempi di lavoro propugnata dal Ministero;
in definitiva, la censura esprime una difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; ora anche Cass. 22 novembre 2023, n. 32505);
4. il ricorso va dunque integralmente disatteso; 5. le spese restano regolate secondo soccombenza;
non vi è da disporre sul c.d. raddoppio del contributo unificato; vale infatti il principio per cui il provvedimento con il quale il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 -un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 -bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955; Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori antistatari avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 18 febbraio 2025.
La Presidente NOME COGNOME