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Lavoro straordinario pubblico: consenso e pagamento

Un dipendente pubblico ha ottenuto il pagamento per lavoro straordinario. L’ente datore di lavoro ha contestato la decisione, sollevando solo in appello la questione della mancata autorizzazione. La Corte di Cassazione ha stabilito che la contestazione è ammissibile, poiché l’autorizzazione è un elemento costitutivo del diritto del lavoratore. Tuttavia, ha chiarito che per il pagamento del lavoro straordinario pubblico è sufficiente il consenso del datore di lavoro, anche se implicito, e che tale prestazione può essere provata tramite testimoni.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Straordinario Pubblico: Quando va Pagato Anche Senza Autorizzazione Formale?

Il tema del lavoro straordinario pubblico è spesso al centro di contenziosi che contrappongono i diritti dei dipendenti alla necessità di controllo della spesa da parte delle amministrazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: il valore del consenso del datore di lavoro rispetto alla formale autorizzazione. La Suprema Corte stabilisce che, se la prestazione extra è svolta con il consenso, anche implicito, del dirigente, il dipendente ha diritto al compenso, superando la rigidità dei requisiti formali.

Il Fatto: Dalla Richiesta di Straordinari alla Cassazione

Un dipendente di un ente pubblico si rivolgeva al Tribunale per ottenere, tra le altre cose, il pagamento di numerose ore di lavoro straordinario svolte nell’arco di cinque anni. Il giudice di primo grado accoglieva parzialmente la sua richiesta, riconoscendogli il diritto al compenso per le ore extra.

L’ente pubblico proponeva appello, introducendo per la prima volta una nuova argomentazione difensiva: la mancanza di una preventiva e formale autorizzazione allo svolgimento di tali straordinari. La Corte d’appello rigettava il gravame, ritenendo tale difesa una nuova eccezione, come tale inammissibile nel secondo grado di giudizio. La questione giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

Lavoro Straordinario Pubblico: L’Eccezione Tardiva e la Decisione della Corte

Il primo punto affrontato dalla Cassazione riguarda la natura della contestazione mossa dall’ente. La Corte ha chiarito che la mancanza di autorizzazione non è un’eccezione in senso stretto (cioè un fatto che estingue o modifica il diritto, da sollevare a pena di decadenza), ma una contestazione su un elemento costitutivo della domanda del lavoratore. In altre parole, nel lavoro straordinario pubblico, spetta al dipendente che chiede il pagamento dimostrare di essere stato autorizzato. Di conseguenza, il datore di lavoro può contestare la carenza di questa prova in qualsiasi momento, anche per la prima volta in appello, senza che ciò costituisca una difesa tardiva.

Il Consenso del Datore di Lavoro è Decisivo

Superato l’aspetto processuale, la Corte si è concentrata sulla sostanza, enunciando un principio di diritto fondamentale. Per ottenere il pagamento del lavoro straordinario pubblico, l’elemento determinante è il consenso del datore di lavoro (o del dirigente preposto), anche se manifestato in modo implicito o attraverso fatti concludenti. Se il lavoro è stato svolto in modo coerente con la volontà del datore e non insciente o prohibente domino (cioè non a sua insaputa o contro la sua volontà), la prestazione deve essere retribuita.

Questo approccio si fonda sull’articolo 2126 del codice civile, che tutela il lavoro di fatto, e sull’articolo 36 della Costituzione, che garantisce una retribuzione proporzionata al lavoro svolto. Le regole sulla spesa pubblica e sulla necessità di autorizzazioni formali, pur importanti, non possono prevalere sul diritto del lavoratore a essere pagato per un’attività effettivamente resa e accettata dall’amministrazione.

Prova dello Straordinario: Testimoni Ammessi

Un ulteriore chiarimento riguarda le modalità di prova. La Corte ha specificato che il dipendente può dimostrare di aver svolto il lavoro straordinario anche tramite testimonianze. Questo vale persino in presenza di normative (come la legge n. 244/2007) che impongono alle pubbliche amministrazioni di utilizzare sistemi automatici di rilevazione delle presenze per poter erogare compensi per straordinari. La mancanza di tali sistemi, o il loro malfunzionamento, non può tradursi in un danno per il lavoratore.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione distinguendo nettamente tra gli aspetti procedurali e quelli sostanziali. Dal punto di vista processuale, ha ribadito che l’autorizzazione allo straordinario è un fatto costitutivo del diritto del lavoratore. Come tale, il lavoratore ha l’onere di provarlo, e il datore di lavoro può contestarne l’esistenza in ogni fase del giudizio. Ritenere tale contestazione un’eccezione nuova in appello sarebbe stato un errore procedurale.

Nel merito, il ragionamento della Corte mira a bilanciare due esigenze: il controllo della spesa pubblica e la tutela del lavoro. La soluzione viene trovata valorizzando il principio del consenso datoriale. Se un dirigente, pur senza un atto formale, è a conoscenza e accetta che un dipendente svolga lavoro straordinario, si crea un affidamento che merita tutela. La prestazione, di fatto, è stata utilizzata dall’amministrazione. Negarne il compenso violerebbe il principio costituzionale di giusta retribuzione. Le eventuali violazioni delle norme sulla contabilità pubblica non ricadono sul lavoratore, ma possono comportare una responsabilità per i funzionari che hanno consentito lo straordinario senza rispettare le procedure.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un punto di riferimento importante per il contenzioso in materia di lavoro straordinario pubblico. Le conclusioni pratiche sono chiare:

1. Per i lavoratori: È fondamentale poter dimostrare non solo di aver lavorato oltre l’orario, ma anche che ciò sia avvenuto con il consenso, almeno implicito, del proprio superiore. La prova testimoniale è uno strumento valido a tal fine.
2. Per le pubbliche amministrazioni: Non possono negare il pagamento dello straordinario semplicemente invocando la mancanza di un’autorizzazione formale, se di fatto hanno beneficiato della prestazione con il consenso dei propri dirigenti. La contestazione deve vertere sulla prova del consenso stesso.

In definitiva, la Cassazione rafforza la tutela del lavoro effettivamente prestato, affermando che la sostanza del rapporto (il consenso e la prestazione) prevale sulla forma (l’atto di autorizzazione), indirizzando le eventuali responsabilità per violazioni procedurali verso i dirigenti e non verso i dipendenti.

Un’amministrazione pubblica può contestare per la prima volta in appello la mancanza di autorizzazione per il lavoro straordinario?
Sì. Secondo la Corte, l’autorizzazione è un elemento costitutivo del diritto del lavoratore al compenso. Pertanto, la sua assenza non costituisce un’eccezione nuova inammissibile in appello, ma una contestazione sulla prova del diritto stesso, che il datore di lavoro può sollevare.

Il lavoro straordinario di un dipendente pubblico deve essere pagato solo se c’è un’autorizzazione scritta e formale?
No. La Corte ha stabilito che il diritto al pagamento sorge quando la prestazione è stata svolta con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi ha il potere di organizzarla. Questo consenso è l’elemento decisivo.

Come può un dipendente pubblico provare di aver svolto lavoro straordinario se mancano i sistemi di rilevazione automatica delle presenze?
La prova del lavoro straordinario svolto può essere fornita anche tramite testimoni, a prescindere da quanto previsto dalla normativa che impone alle pubbliche amministrazioni l’uso di sistemi automatici per la rilevazione delle presenze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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