Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8104 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8104 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10918/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
CENTRO DI RIFERIMENTO ONCOLOGICO – CRO AVIANO IRCSS, in persona del legale rappresentante pro tempore , con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 143/2022 pubblicata il 14/11/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza n.143/2022 pubblicata il 14/11/2022, ha accolto il gravame proposto dal Centro riferimento oncologico di Aviano (CRO) nella controversia con NOME COGNOME ed altri. In integrale riforma della sentenza appellata ha revocato il decreto ingiuntivo opposto.
La controversia ha per oggetto la pretesa -azionata in via monitoria -del pagamento del lavoro espletato nelle pause e nei primi dieci minuti di lavoro sulla base dei cartellini presenze di provenienza aziendale, sul presupposto della declaratoria di illegittimità ed inefficacia delle clausole del regolamento aziendale in materia di riposi e pause e decurtazione dei primi dieci minuti di lavoro, pronunciata in altro procedimento definito dal Tribunale di Pordenone con sentenza n.57/2017.
Il Tribunale di Pordenone rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal CRO, ritenendo che la materia controversa non avesse ad oggetto la domanda di pagamento di lavoro straordinario, da autorizzarsi dal dirigente responsabile, ma l’esecuzione della sentenza n.57/2017.
La corte territoriale ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del gravame ritenendo che la sentenza n.57/2017 non producesse
alcun effetto vincolante, ex art.2909 cod. civ., nel procedimento de quo , perché si era limitata a statuire la illegittimità di talune clausole del regolamento, senza però accertare «che gli interessati avessero lavorato per dieci minuti oltre all’orario giornaliero, avessero fruito delle pause lavorative, avessero subito delle decurtazioni sulle eccedenze di lavoro orarie» (pag. 6 e 7 motivazione). Nel merito ha qualificato la domanda proposta dagli appellati come domanda di pagamento di lavoro straordinario, e l’ha rigettata non risultando prova della sua autorizzazione.
Per la cassazione della sentenza ricorrono COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME con ricorso affidato a quattro motivi. Il CRO resiste con controricorso, illustrato da memoria. COGNOME, COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME sono rimasti intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano «nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 4 per violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte d’Appello compiuto un errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova e del relativo onere incombente sui ricorrenti».
Con il secondo motivo è denunciata «violazione dell’art. 116 c.p.c. per non avere la Corte dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto privi di valenza probatoria i cartellini presenza di provenienza aziendale circa i tempi lavorati dai ricorrenti ritenendoli perciò onerati della prova dell’esecuzione dei tempi di lavoro aggiuntivi e dell’autorizzazione aziendale ad eseguirlo».
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono «violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per applicazione della normativa sulla necessità di conseguire e provare l’autorizzazione ad eseguire lavoro
straordinario in una fattispecie in cui non doveva essere applicata e comunque per cattiva applicazione della norma in fattispecie non esattamente comprensibile nella norma».
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la «violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo e controverso nella parte in cui la Corte ha rigettato la domanda di pagamento svolta dai ricorrenti a titolo sanzionatorio per non avere il CRO dato adempimento alla sentenza n. 57/2017».
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione. Per quanto concerne il c.d. travisamento della prova, si intende dare continuità al principio di diritto enunciato da Cass. S.U. 05/03/2024 n.5792, nei termini che seguono: «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale».
La corte territoriale ha ritenuto che gli appellati non avessero in alcun modo dimostrato di aver lavorato in pausa e di aver maturato 10 minuti di lavoro in più per esigenze di servizio, con l’inciso «ed i cartellini presenze dimessi nulla provano al riguardo».
Avuto riguardo al principio di diritto sopra richiamato, il preteso travisamento del contenuto dei cartellini presenza non si risolve in una svista, in un errore materiale di percezione, ma nella valutazione della concludenza degli elementi di prova desumibili dai
cartellini presenza alla luce dell’oggetto della controversia, identificato dalla corte territoriale in una domanda di pagamento del lavoro straordinario, ritenuta non fondata, sia perché non era stata neppure allegata la previa autorizzazione allo svolgimento dello stesso, sia in quanto non era emerso che i ricorrenti avessero lavorato nell’arco temporale destinato alla pausa e nei primi dieci minuti successivi alla registrazione dell’ingresso. Si tratta dunque della valutazione delle prove, riservata al prudente apprezzamento da parte del giudice del merito, come previsto dall’art.116 cod. proc. civ., in questa sede non censurabile salvo i casi di prove c.d. legali.
8. Nel terzo motivo i ricorrenti lamentano che la corte territoriale ha erroneamente qualificato la loro domanda come pretesa di pagamento del lavoro straordinario, laddove essi avevano agito in giudizio per il pagamento del «lavoro aggiuntivo». La censura è inammissibile, perché non vengono specificamente indicate quali sarebbero le norme di diritto violate dalla corte territoriale, ed in particolare le norme di diritto o della contrattazione collettiva che fonderebbero la pretesa del pagamento del «lavoro aggiuntivo», quale istituto giuridico specificamente distinto dal lavoro straordinario.
E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, l’orientamento secondo cui il vizio di violazione di legge deve essere dedotto non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni, intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo date affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. S.U. n. 18607/2023 con plurimi richiami a precedenti conformi).
Peraltro, nell’illustrare il quarto motivo di ricorso, sono gli stessi ricorrenti ad ammettere che «può essere vero che i tempi di lavoro aggiuntivi ‘necessariamente’ debbono essere classificati come ‘straordinari’ (pag.15 del ricorso).
Le medesime considerazioni valgono con riferimento anche al quarto motivo di ricorso. L’omesso esame articolato nella censura non ha per oggetto un fatto materiale, ma la valutazione delle risultanze istruttorie già compiuta dalla corte territoriale, ed in particolare degli elementi di prova desumibili dai cartellini presenze e dei conteggi elaborati sulla base dei cartellini medesimi, asseritamente non contestati dal CRO.
Per un verso, come già detto, non si tratta di un fatto storicamente inteso, ma della valutazione di prove soggette al prudente apprezzamento del giudice. Per altro verso nemmeno può ritenersi che la corte territoriale abbia omesso alcun esame sul punto, avendo ritenuto che «i cartellini presenze dimessi nulla provano» (pag.8 motivazione).
Per questi motivi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/03/2025.