Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8110 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8110 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12403/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende -ricorrenti- contro
CENTRO DI RIFERIMENTO ONCOLOGICO – CRO AVIANO IRCSS, in persona del legale rappresentante pro tempore , con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
NOME COGNOME NOME
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 154/2022 pubblicata il 09/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza n.1 54/2022 pubblicata il 09/12/2022, ha accolto il gravame proposto dal Centro riferimento oncologico di Aviano (CRO) nella controversia con NOME COGNOME e altri. In integrale riforma della sentenza appellata ha revocato il decreto ingiuntivo opposto.
La controversia ha per oggetto la pretesa -azionata in via monitoria -del pagamento del lavoro espletato nelle pause e nei primi dieci minuti di lavoro sulla base dei cartellini presenze di provenienza aziendale, sul presupposto della declaratoria di illegittimità ed inefficacia delle clausole del regolamento aziendale in materia di riposi e pause e decurtazione dei primi dieci minuti di lavoro, pronunciata in altro procedimento definito dal Tribunale di Pordenone con sentenza n.57/2017.
Il Tribunale di Pordenone rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal CRO, ritenendo che la materia controversa non avesse ad oggetto la domanda di pagamento di lavoro straordinario, da autorizzarsi dal dirigente responsabile, ma l’esecuzione della sentenza n.57/2017.
La corte territoriale ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del gravame ritenendo che la sentenza n.57/2017 non producesse alcun effetto vincolante, ex art.2909 cod. civ., sia diretta che riflessa, perché si era limitata a statuire la illegittimità di talune clausole del regolamento, senza però accertare i «pretesi crediti dei lavoratori e neppure la sussistenza dei presupposti fattuali di ipotetiche poste retributive». Nel merito ha qualificato la domanda
proposta dagli appellati come domanda di pagamento di lavoro straordinario, e l’ha rigettata non risultando prova dello stesso e della sua autorizzazione.
5. Per la cassazione della sentenza ricorrono COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME COGNOME e COGNOME con ricorso affidato a quattro motivi. Il CRO resiste con controricorso, illustrato da memoria. COGNOME, COGNOME e COGNOME sono rimasti intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano «violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in particolare per aver la Corte triestina applicato la norma sulla necessità di provare l’autorizzazione ad eseguire lavoro straordinario di cui all’art. 34 CCNL Sanità 07.04.1999 in una fattispecie in cui non doveva essere applicata e comunque per cattiva applicazione della norma in fattispecie non esattamente comprensibile nella norma stessa, violando così anche le norme di cui agli artt. 2108 e 2126 c.c., oltre che per aver ritenuto che la pausa di 30 minuti dovesse essere autorizzata, laddove il Decreto legislativo del 08/04/2003 – N. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE ) e successive modifiche ed integrazioni, prevede all’art. 8 che qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa che, nella fattispecie, è indicato come non inferiore a 30 minuti e non superiore a 60 minuti nello stesso Regolamento di cui si discute in causa».
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 306 n. 3 c.p.c. per violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte compiuto un errore di percezione sul contenuto oggettivo dei documenti e dell’onere probatorio ritenuto non assolto da parte dei ricorrenti ed
erronea valutazione del compendio probatorio in difformità ai criteri enunciati nelle disposizioni indicate».
Con il terzo motivo lamentano «violazione e falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., con riferimento all’art. 132 c.p.c. per la motivazione meramente apparente della sentenza impugnata».
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono «v iolazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo e controverso nella parte in cui la Corte ha rigettato la domanda di pagamento svolta dai ricorrenti a titolo sanzionatorio per non avere il CRO dato adempimento alla sentenza n. 57/2017 e per aver conseguentemente travisato il contenuto e la portata dei documenti prodotti e non contestati, ritenendo la necessità per i ricorrenti di provare di aver conseguito l’autorizzazione a svolgere l’orario di lavoro come effettivamente espletato e come tale risultante dai documenti incontestati e dotati di valore probatorio inconfutabile».
Il primo motivo è inammissibile. I ricorrenti deducono che la loro domanda non trovava fondamento nella pretesa di aver svolto lavoro straordinario, ma sulla diversa questione relativa al godimento o meno della pausa obbligatoria da 30 a 60 minuti, dovuta ex lege ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n.66/2003, ossia «il diverso diritto/obbligo del dipendente di godere, effettivamente, e non virtualmente, della pausa obbligatoria ed il corrispondente obbligo legale del datore di lavoro di consentire la pausa stessa» (pag.15, ricorso).
Sul punto la corte territoriale ha ritenuto che «nei cartellini prodotti in copia sono infatti segnalate le ore di presenza (in più rispetto al dovuto giornaliero) autorizzate dall’Ente di lavoro (…) e le pause lavorate sempre su autorizzazione del C.R.O. (…) e non vi è dubbio che queste ore siano state recuperate o retribuite (nel senso che i lavoratori non hanno mai affermato il contrario)».
Per un verso il motivo non si confronta con la ratio decidendi, perché la corte territoriale ha escluso che vi fossero state pause non retribuite o non lavorate. In questa prospettiva il motivo sollecita una rivalutazione del fatto e della valutazione delle prove, riservate al prudente apprezzamento del giudice del merito, ex art.116 comma primo cod. proc. civ.
Per altro verso il motivo postula l’esistenza del «lavoro aggiuntivo», un tertium genus rispetto all’orario normale di lavoro e al lavoro straordinario, come previsti dal d.lgs. n.66/2003 in attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE.
Nell’ordinamento vigente -soggetto ai vincoli eurounitari ex art.117 comma 1 Cost. -il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro, così come definito all’articolo 3 d.lgs. 66/2003, è lavoro straordinario (art.2 lett. c) d.lgs. cit.). Non vi è soluzione di continuità tra l’orario di lavoro normale e il lavoro straordinario, dove finisce il primo inizia il secondo, senza la possibilità di interstizi.
Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione. Per quanto concerne il c.d. travisamento della prova, si intende dare continuità al principio di diritto enunciato da Cass. S.U. 05/03/2024 n.5792, nei termini che seguono: «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi
dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale».
11. La corte territoriale ha compiuto una analisi minuziosa dei cartellini presenze prodotti con il ricorso monitorio, e all’esito ha ritenuto che «non vi è dubbio che il C.R.O. abbia pagato la retribuzione attinente alle ore lavorate risultanti dai cartellini presenze (…) nei cartellini prodotti in copia sono infatti segnalate le ore di presenza (in più rispetto al dovuto giornaliero) autorizzate dall’Ente di lavoro (…) e le pause lavorate sempre su autorizzazione del C.R.O. (…) e non vi è dubbio che queste ore siano state recuperate o retribuite (nel senso che i lavoratori non hanno mai affermato il contrario)».
12. Avuto riguardo al principio di diritto sopra richiamato, il preteso travisamento del contenuto dei cartellini presenza non si risolve in una svista, in un errore materiale di percezione, ma nella valutazione della concludenza degli elementi di prova desumibili dai cartellini presenza alla luce dell’oggetto della controversia, identificato dalla corte territoriale in una domanda di pagamento del lavoro straordinario, ritenuta non fondata, sia perché non era stata neppure allegata la previa autorizzazione allo svolgimento dello stesso, sia in quanto non era emerso che i ricorrenti avessero lavorato nell’arco temporale destinato alla pausa e nei primi dieci minuti successivi alla registrazione dell’ingresso. Si tratta dunque della valutazione delle prove, riservata al prudente apprezzamento da parte del giudice del merito, come previsto dall’art.116 cod. proc. civ., in questa sede non censurabili salvo i casi di prove c.d. legali.
13. Le medesime considerazioni valgono con riferimento anche al quarto motivo di ricorso. L’omesso esame articolato nella censura non ha per oggetto un fatto materiale, ma la valutazione delle risultanze istruttorie già compiuta dalla corte territoriale, ed in particolare degli elementi di prova desumibili dai cartellini presenze
e dei conteggi elaborati sulla base dei cartellini medesimi, asseritamente non contestati dal CRO.
Per un verso, come già detto, non si tratta di un fatto storicamente inteso, ma della valutazione di prove soggette al prudente apprezzamento del giudice. Per altro verso nemmeno può ritenersi che la corte territoriale abbia omesso alcun esame sul punto: si rimanda, sul punto, a quanto già osservato in precedenza.
Per questi motivi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/03/2025.