Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1702 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1702 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30397/2020 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresenta ti e difesi dall’AVV_NOTAIO
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 2003/2020 de lla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 7.8.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Gli attuali controricorrenti si rivolsero al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’accertamento del loro diritto di ricevere dalla liquidazione del RAGIONE_SOCIALE, di cui erano dipendenti, il compenso, a titolo di lavoro straordinario, per il prolungamento dell ‘ orario di lavoro pari a 30 minuti per ogni giorno di effettiva fruizione dei buoni pasto, da quantificarsi in separato giudizio.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale respinse la domanda dei lavoratori, i quali proposero appello, che venne accolto dalla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, la quale accertò il loro diritto a vedersi riconosciuto il compenso per il prolungamento dell’orario di lavoro, come richiesto, nel quinquennio anteriore alla data di ricezione, da parte del RAGIONE_SOCIALE, dell’istanza di tentativo di conciliazione della lite.
Contro la sentenza della Corte territoriale ha quindi proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nel frattempo subentrato in tutti i rapporti pendenti del RAGIONE_SOCIALE. Il ricorso è articolato in tre motivi. I lavoratori si sono difesi con controricorso e hanno altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia « error in procedendo -nulli tà della sentenza (violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) per omessa interruzione del processo in violazione dell’art. 299 c.p.c.».
Si contesta alla Corte d’Appello di non avere dichiarato l’interruzione del processo a fronte dell’eccezione di estinzione
sollevata dal difensore del RAGIONE_SOCIALE producendo i documenti relativi all’approvazione del rendiconto finale di liquidazione e deducendo il conseguente subentro del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nei rapporti pendenti a titolo di successione universale.
1.1. Il motivo è infondato.
Il ricorrente riconosce che l’eccezione di estinzione del processo, sollevata dal difensore del RAGIONE_SOCIALE davanti al giudice d’appello, era del tutto priva di fondamento, perché all’estinzione del soggetto giuridico che è parte del processo non consegue l’estinzione del processo. Sostiene, tuttavia, che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 299 c.p.c., evidentemente sull’implicito presupposto che l’estinzione del soggetto fosse intervenuta nelle more tra la notificazione dell’atto d’appello e il termine per la costituzione del RAGIONE_SOCIALE appellato (v. Cass. nn. 8835/2023, 22944/2018 ; per l’analogo caso , nel rito del lavoro, del decesso dell’appellato dopo il deposito e prima della notificazione dell’atto d’appello, v. Cass. n. 3122/2001 ).
La Corte d’Appello ha invece respinto l’eccezione di estinzione e proseguito il processo senza disporre ulteriori adempimenti per l’integrità del contraddittorio , richiamando la decisione con cui questa Corte di Cassazione ha dichiarato, in un processo avente ad oggetto identica domanda di altro dipendente del RAGIONE_SOCIALE, l’inammissibilità dell’intervento volontario del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nel corso del giudizio di legittimità, motivata con il diniego che il subentro del RAGIONE_SOCIALE nei rapporti giuridici del RAGIONE_SOCIALE integri un ‘ipotesi di successione a titolo universale inter vivos (Cass. n. 29946/2018).
Il ricorrente si confronta con la motivazione di tale precedente di legittimità, rilevando che il RAGIONE_SOCIALE non aveva soltanto trasferito al RAGIONE_SOCIALE tutti i crediti e i debiti, comprese le posizioni in contenzioso, ma aveva anche ceduto il suo patrimonio e cessato la propria attività, in esecuzione di una previsione di legge (art. 2, comma 186, legge n. 191 del 2009) che era volta a contenere la spesa pubblica mediante la « soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali … con successione dei comuni ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto». Inoltre, il ricorrente osserva che per gli enti pubblici, a differenza che per le società commerciali, l’estinzione del soggetto giuridico non si perfeziona con la cancellazione dal registro delle imprese, sicché il giudice d’appello avrebbe dovuto considerare sufficiente a dimostrare l’estinzione l’approvazione del bilancio finale di liquidazion e.
Le considerazioni del ricorrente non intaccano la conclusione raggiunta nel citato precedente in ordine alla non configurabilità di una successione a titolo universale inter vivos , per la quale non è sufficiente che tutti i rapporti giuridici siano passati da un soggetto all’altro, ma occorre che il primo soggetto sia cessato e abbia perso la capacità di essere parte di un giudizio (art. 75 c.p.c.). Lo svuotamento del RAGIONE_SOCIALE non significa e non dimostra che il soggetto giuridico fosse venuto meno. E il fatto che per gli enti pubblici non siano previste l’iscrizione nel e la cancellazione dal registro dell’imprese non vuol dire che il momento dell’estinzione del soggetto debba essere identificato con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione. In particolare, poiché il RAGIONE_SOCIALE era stato posto in liquidazione e commissariato, l’evento rilevante –
ai fini della perdita della capacità di stare in giudizio -sarebbe stata la formale cessazione dal suo ufficio del Commissario Liquidatore, cui invece non si fa alcun cenno nel ricorso. In mancanza di allegazione di tale evento, la cessione dei rapporti dal RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE è stata correttamente trattata come una successione a titolo particolare nel diritto controverso, regolata dall’art. 111 c.p.c. , che non determina l’interruzione del processo.
Il secondo motivo denuncia, testualmente, «2. violazione e falsa interpretazione RAGIONE_SOCIALE artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 8 , comma 2, d.lgs. 66/2003 e dell’art. 45 del CCNL Enti Locali-RAGIONE_SOCIALE 14.9.2000 2.1. omesso esame di fatti storici, decisivi per il giudizio, oggetto di contraddittorio tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), in ordine al godimento della pausa pranzo».
2.1. Il motivo è inammissibile, perché, quantunque il ricorso sia formulato, in parte qua , in termini di denuncia di un vizio di violazione di norme di diritto, esso è di fatto volto a provocare un riesame del fatto che compete al giudice del merito e non può essere materia di ricorso per cassazione.
2.1.1. Il richiamo all’art. 2697 c.c. non è pertinente, perché la Corte territoriale non ha deciso la causa facendo applicazione delle regole sulla distribuzione dell’onere della prova (ovverosia ponendo a carico della parte onerata della prova un fatto rimasto incerto), bensì accertando il fatto che «la mancata predisposizione dei turni di sospensione dell’orario di lavoro … non ha consentito ai lavoratori di fruire della pausa lavorativa nella misura concordata».
2.1.2. Quanto all’art. 115 c.p.c., la deduzione di travisamento della prova, che va denunciata ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., postula che l ‘ errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova, ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima, con conseguente e assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre ( ex multis , Cass, n. 37382/2022). Nel caso di specie, invece, il motivo di ricorso è volto a censurare proprio la valutazione della prova.
Nemmeno si può ravvisare un errore di percezione delle allegazioni e contestazioni delle parti laddove, nella sentenza impugnata, si è ritenuta «circostanza pacifica» la mancata predisposizione dei turni di sospensione dell’orario di lavoro per la pausa pasto, da to che la Corte d’Appello ha fatto chiaro riferimento alla mancanza di una regolazione formale, mentre il ricorrente sostiene soltanto che vi sarebbe stata una «consuetudine giornaliera», asseritamente desumibile dall’ordine di servizio del 31.1.2000.
2.1.3. La «valutazione delle prove» non è direttamente sindacabile in sede di legittimità quale violazione dell’art. 116 c.p.c. ( ex multis , Cass. 34786/2021), a meno che il giudice del merito non abbia erroneamente attribuito il valore di prova legale a mezzi di prova che non hanno tale valore oppure, al contrario, abbia pesato secondo il suo prudente apprezzamento prove cui la legge attribuisce un valore vincolante ( ex multis , Cass. n. 6774/2022).
2.1.4. Infine, nessuna rilevanza riguardo all’accertamento del fatto può essere attribuita all’esistenza di una norma di
diritto (art. 8, comma 2, d.lgs. n. 66 del 2003) che impone al datore di lavoro, in difetto di disciplina nella contrattazione collettiva, di concedere, anche sul posto di lavoro, una pausa di almeno dieci minuti tra l ‘ inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro che ecceda le sei ore. Infatti, la semplice esistenza di una norma di diritto nulla prova in merito al fatto che quella norma sia stata, nel caso concreto, rispettata.
Su questo punto specifico, e complessivamente nell’esito del giudizio, la decisione qui assunta dà continuità all’orientamento già espresso da questa Corte in altre cause scaturite dalla medesima vicenda, in quanto intentate da altri lavoratori contro il RAGIONE_SOCIALE (Cass. nn. 9202/2023, 23507/2022, 6166/2022, 6165/2022, 29946/2018).
Identico discorso vale per la previsione di un obbligo di assicurare la pausa pasto nel CCNL RAGIONE_SOCIALE Enti locali del 14.9.2000 (art. 45, comma 2) : l’esistenza dell’obbligo non ha significato ai fini della prova che esso sia stato adempiuto.
2.2. Nella seconda parte della rubrica del motivo di ricorso viene denunciato anche il vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sarebbero stati oggetto di discussione tra le parti, ma nella successiva illustrazione tale estensione della doglianza rimane priva di qualsiasi spiegazione. È dunque evidente che essa non richiede alcuna aggiunta alla motivazione sulla inammissibilità del ricorso.
Il terzo motivo è rubricato «3. violazione art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in ordine al fatto storico dei presupposti, giuridici e di fatto per l’effettuazione delle prestazioni di lavoro
straordinario. 3.1. falsa ed erronea applicazione dell’art. 209 9 c.c. (violazione art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)».
Con questo motivo il ricorrente si lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto che il lavoro straordinario prestato dai dipendenti non era stato autorizzato dal datore di lavoro e non dovrebbe far sorgere, pertanto, un diritto alla retribuzione, ma soltanto, a tutto concedere, il diritto al pagamento di un’indennità per arricchimento senza causa .
3.1. Il motivo è infondato, perché non si comprende in che modo il ricorrente pretenda di considerare un fatto certo, di cui sia stato omesso l’esame, la mancanza di autorizzazione allo svolgimento del lavoro straordinario. La Corte d’Appello ha rilevato che il prolungamento dell’orario di lavoro , disposto dal RAGIONE_SOCIALE, era circostanza pacifica, sicché tutte le prestazioni rese nell’orario prolungato dovevano intendersi come lavoro autorizzato dal datore di lavoro e dovuto dal lavoratore.
Negli stessi termini questa Corte si è già espressa rigettando analoghi motivi svolti in altri contenziosi tra i dipendenti e il RAGIONE_SOCIALE, ove è stato del pari osservato che «la prestazione lavorativa valutata come straordinario dalla Corte territoriale è stata oggetto di richiesta da parte dello stesso RAGIONE_SOCIALE odierno ricorrente» (Cass. nn. 9202/2023; conf. Cass. 6105/2022, 6106/2022).
Rigettato il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate complessivamente in € 4.500 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, spese generali al 15% e agli accessori di legge; con distrazione in favore del difensore antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19.10.2023.
P.Q.M.